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GIULIANO POLETTI: LA VERITÀ SULLA LEGA DELLE COOPERATIVE

Giuliano Poletti

L’indirizzo è al 417 di Lafayette Street, nella parte bassa di Manhattan dove erano le Twin Towers distrutte l’11 settembre 2001: in cima a una di esse c’era il ristorante Windows on the World. Nell’attentato perirono 73 suoi dipendenti e ora quelli rimasti senza occupazione, insieme ad altri soci, dal gennaio scorso hanno aperto un nuovo locale, già diventato un punto di ritrovo. Il nome è «Colors», un richiamo alle 47 etnie dei soci, tra scampati e nuovi sostenitori - tra i quali la Legacoop italiana -, uniti in una cooperativa che ha coinvolto nell’iniziativa prodotti, competenze e finanziamenti degli associati. 122 coperti, cucina ispirata alle ricette tradizionali dei Paesi d’origine dei promotori: Raymond Mohan è lo chef e 2,2 milioni di dollari l’investimento iniziale. È uno dei risultati positivi di Legacoop che associa oltre 15 mila cooperative che nel 2005 hanno superato i 7 milioni e mezzo di soci, una produzione del valore di 47.900 milioni di euro pari al 3 per cento del prodotto interno, 404.682 dipendenti: un bilancio complessivo che le rendono protagoniste di primaria importanza dell’economia italiana. Presidente dal novembre 2002 è Giuliano Poletti, di Imola, perito agrario, coinvolto dai figli nella passione per la palla a mano, già presidente regionale della Lega. In questi giorni segue con tristezza, «ma anche con rabbia», precisa, le vicende che hanno coinvolto Unipol, compagnia assicurativa controllata dalle cooperative e impresa associata, nella mancata scalata a BNL - Banca Nazionale del Lavoro, accompagnata dalle inchieste della magistratura sulla gestione attuata dal suo presidente e amministratore delegato Giovanni Consorte e dal suo vice Ivano Sacchetti.

Domanda. Come valuta l’azione avviata da Consorte per acquisire Bnl?

Risposta. Penso che l’idea di fondo di dare vita a una grande aggregazione bancario-assicurativa avesse una validità industriale e potesse produrre la formazione nel mercato italiano di un nuovo concorrente e di una maggiore tensione concorrenziale, e che per la natura cooperativa della base proprietaria di Unipol fosse possibile attuare servizi finanziari interessanti per la piccola impresa, per l’impresa cooperativa e per il credito al consumo. Penso anche che l’esperienza del mondo cooperativo possa in qualche modo incrociarsi anche con la cultura dell’impresa bancaria-assicurativa. Quindi l’idea aveva un fondamento e, come tale, da non respingere a posteriori.

D. Unipol offre già servizi bancari e assicurativi. Aggregare un istituto bancario forte come Bnl non è tradire la natura del mondo cooperativo?

R. Direi proprio di no. Potremmo fare due esempi. Da una parte abbiamo una grande presenza nella cooperazione di consumo, nata per rispondere ai bisogni essenziali come i consumi alimentari che oggi rappresentano dal 15 al 18 per cento del reddito di una famiglia. La cooperazione di consumo è la più forte di tutte le aziende della grande distribuzione. Vi aderiscono 6 milioni 250 mila soci. Partiamo da questi dati e dal fatto che la cooperativa di consumo è nata per difendere il loro reddito con la fornitura di beni e di servizi di qualità e a minor costo. Oggi molti altri consumi incidono sul reddito familiare, con strumenti sempre più usati come il credito al consumo e il mutuo per la casa. È evidente che c’è interesse a realizzare tali strumenti. Si può intervenire direttamente, ma sappiamo che non sempre la specializzazione in un filone di mercato è compatibile con la complessità della nostra dimensione. Aver pensato che un gruppo di cooperative decida di svolgere o di promuovere questa funzione mutualistica di servizio al proprio socio non solo direttamente, ma anche attraverso una società partecipata e controllata come in questo caso, è storia di tutti i movimenti cooperativi d’Europa. Moltissime cooperative agricole, per esempio francesi ma anche italiane come Granarolo, detengono il controllo del prodotto ma la trasformazione industriale è realizzata da una società di capitali da esse controllata. Storicamente questo è il nostro modello. Quindi la scelta di Unipol di acquisire una banca non era contraddittoria con lo spirito cooperativo.

D. Non suscitano interrogativi la dimensione dell’operazione e l’ingresso nel mondo bancario italiano sulla cui trasparenza esistono vari dubbi?

R. Proprio questa forse era una delle ragioni, a parte il fatto che in certi momenti alcune operazioni sono possibili. Oggi nel mondo bancario italiano si discute di aggregazioni e associazioni ma non accade nulla. Il problema non è parlarne, ma realizzare le condizioni perché un’operazione possa realizzarsi. Nel caso della Bnl la vicenda ha interessato l’opinione pubblica perché era stata lanciata un’offerta pubblica di scambio dal Banco Bilbao, ed esisteva un problema che riguardava imprenditorialmente l’Unipol, che aveva già il 50 per cento di Bnl Vita e aveva quindi necessità di salvaguardare questa partecipazione, rappresentante il 20 per cento della sua raccolta premi.

D. Che cosa doveva temere Unipol?

R. Giocarsi questa partecipazione perché arriva un nuovo proprietario che può scegliersi un altro partner assicurativo non si può fare senza pensarci. Unipol ha cominciato a occuparsi della Bnl non perché aveva idea di creare un gruppo di Bancassicurazione, progetto che, per ragioni diverse, già stava coltivando in proprio attraverso Unipol banca e i suoi 240 sportelli. L’ha fatto anzitutto perché sul mercato si è presentata questa occasione e non un’altra, poi perché c’era il rischio di perdere una parte importante del target assicurativo. Un gruppo dirigente che pensa al futuro deve domandarsi cosa è giusto e possibile fare. A questa scelta ha aderito la proprietà cooperativa. Credo che non vi sia un problema di legittimità dell’operazione; il problema era nella sua concreta realizzabilità. Un conto è scrivere un piano per dar vita a un grande gruppo cui partecipino imprenditori, finanzieri, manager, piccola e media impresa, cooperative; un altro metterlo in atto.

D. Quindi è mancata la possibilità di realizzare il progetto?

R. La considerazione che mi sento di fare è esattamente questa. I presupposti dell’utilità dell’operazione c’erano. La complessità e opacità del mercato italiano, la posizione della Banca d’Italia che doveva garantire il controllo rigoroso dell’operazione stanno a lato del progetto. I fatti si sono svolti diversamente, ma la conclusione è che il gruppo dirigente dell’Unipol ha costruito un progetto positivo perché, al di là di altri episodi, si è realizzato l’obiettivo da cui si era partiti, cioè detenere il controllo di Bnl Vita. L’investimento fatto per realizzare l’operazione è rientrato per intero, con in più una possibilità di alleanza con Paribas, che poi ha acquisito la Bnl. Nei prossimi anni si vedrà se Unipol riuscirà a trovare forme, modi e strumenti per dare corpo a questa collaborazione.

D. Giovanni Consorte le aveva parlato del piano Unipol relativo alla Bnl?

R. Parlammo genericamente delle vicende Bancassicurazione quando l’Unipol, che è anche una nostra associata, presentò il piano industriale con la volontà di far crescere la banca. Per alcuni anni Unipol ha operato per crescere, essendo nata nel 2001 dall’evoluzione di Banec, Banca Nazionale di Economia Cooperativa, creata una decina di anni prima con una vita faticosa e con pochi sportelli, ma che in 5 anni è arrivata ad averne circa 240. Nel tempo ci sono state acquisizioni e accorpamenti. Dell’operazione Bnl abbiamo parlato quando il progetto è nato, per difendere Bnl Vita. Di questi aspetti oggi si discute pubblicamente e le mie informazioni sono analoghe a quelle avute da tutti gli italiani. Quando il Banco Bilbao si predisponeva all’opa, si è discusso molto di quello che si poteva fare per mantenere la nostra posizione nel ramo Vita. Poiché non ci sembrava che la vicenda potesse concludersi positivamente, si è cominciato ad immaginare un altro modo, come lanciare un’offerta pubblica di acquisto delle azioni Bnl, ma questo dopo aver esaminato la necessità di difendersi in caso di ingresso del Banco spagnolo.

D. Unipol aveva la capacità finanziaria di lanciare un’opa?

R. Si prevedeva di essere nelle condizioni di farla grazie alla dichiarata disponibilità dei soci a capitalizzare quote della società Holmo, la holding che detiene il pacchetto di maggioranza di Unipol, e alla possibilità di realizzare alleanze con istituti bancari a livello mondiale. Teniamo conto che la vicenda ha avuto un iter quanto meno originale perché Banca d’Italia ha impiegato ben sei mesi per rispondere alla proposta dell’opa, un tempo che non ritengo normale in nessun angolo del mondo. Inoltre, impegnate nella revisione di tutti i regolamenti in osservanza anche delle direttive comunitarie, le autorità di vigilanza erano disarmate, non avevano tutti gli strumenti necessari.

D. Che è avvenuto nel frattempo?

R. Un operatore economico che lancia un’opa a determinate condizioni basate su regole vigenti, non può sentirsi rispondere, il 6 gennaio dell’anno successivo, che nel frattempo le norme sono state modificate. La risposta deve basarsi sulle norme vigenti nel momento della richiesta. Poi si è assistito alle vicende di Antonveneta e della Banca d’Italia, a liti, alle polemiche politiche, al marasma che riempie i giornali. I problemi emersi in questo iter hanno legittimato tutte le cautele e le attenzioni degli organi di vigilanza. Non ho appunti da fare, è comprensibile che chi deve autorizzare un’operazione esamini con cura il problema, l’ambiente, le condizioni in cui questa si realizza. Comunque la conclusione è stata quella nota, prendiamo atto di come è andata.

D. Quale giudizio dà di Consorte?

R. L’ho sempre considerato, per i risultati, un bravo dirigente e manager. Nella sua lunga carriera, nel suo lavoro all’interno del nostro mondo ha ottenuto risultati positivi quando si è occupato di ristrutturare le cooperative di consumo e quando ha assunto la direzione dell’Unipol, in un momento in cui c’erano problemi seri. Negli anni 80 e 90 per dotare il Gruppo di strumenti come il leasing e il merchant bank si erano compiute operazioni dimostratesi non valide, per cui il ramo assicurativo si trovava in difficoltà. Si chiese a questi dirigenti di ristrutturarlo e di rilanciarlo; fu fatto con molta forza e oggi Unipol è il terzo gruppo assicurativo italiano. Da questo punto di vista Consorte è assolutamente fuori discussione. Il suo carattere un po’ rude e la sua estrema decisione si accompagnano a qualità professionali fuori discussione nell’affrontare e risolvere i problemi. È un dirigente dal quale l’ultima cosa che mi sarei aspettato è che, nello svolgere la propria attività, potesse pattuire compensi diversi per attività diverse. Nel nostro mondo questo non è tollerabile, è stata una sorpresa.

D. Non sembra questa vicenda evocare tangentopoli?

R. Penso e mi auguro di no. Non ho alcun elemento al di fuori di quelli che conosciamo tutti; se Consorte dice che i fondi hanno quella motivazione, non ho elementi per dire diversamente. Ma al di là di questo, stando a ciò che è accertato e dichiarato, debbo dire che nel mondo cooperativo quella situazione non è tollerabile. E il fatto che in tempi rapidi gli interessati abbiano dato le dimissioni e si sia proceduto alla loro sostituzione testimonia che questa non è l’opinione di alcuni, ma un sentimento molto profondo che la proprietà ha trasmesso ai manager, i quali hanno preso atto che la fiducia era venuta meno. È uno degli elementi per me di grande sorpresa e mi ha procurato grande amarezza.

D. Come ha reagito alla vicenda il mondo cooperativo?

R. L’iniziativa dell’opa è stata largamente approvata, anche con qualche orgoglio. Non tutte le oltre 15 mila cooperative associate e i 7 milioni e mezzo di soci, ma gran parte si domandavano: «Perché il mondo cooperativo non dovrebbe compiere queste grandi operazioni?». Rispetto ad alcuni fatti che poi sono emersi c’è stata grande amarezza perché l’organizzazione vive sulla reputazione e sulla fiducia e il fatto che un dirigente la metta a repentaglio è ritenuto un grande danno.

D. Il presidente della Lega non era nominato o indicato dalla direzione del Pci?

R. In questi anni no. Nel primo dopoguerra forse, ma non recentemente e in particolare nel mio caso. La Lega sceglie i propri dirigenti in totale autonomia e non chiede consiglio a nessuno da molti anni. Che ci sia stato, fino alla crisi della prima Repubblica, un forte collateralismo tra organizzazioni sociali, sindacali ed economiche, e partiti politici, non è un mistero. Nella Lega delle Cooperative c’erano componenti organizzate, formate da comunisti, socialisti, laici; non era segreta la relazione tra forze politiche e cooperative, sindacati, organizzazioni varie. Ma non avveniva diversamente in altre organizzazioni e partiti politici. Però, da quando quella situazione si è interrotta, il cosiddetto «socio di riferimento», come Lanfranco Turci alla sua epoca chiamava il partito, non esercita alcuna funzione. Che una parte dei dirigenti cooperativi abbiano svolto attività legate alla politica o alla pubblica amministrazione è il frutto di una prassi storica. Personalmente ho 53 anni, a 19 anni ero iscritto al Pci, sono perito agrario, ho cominciato a fare il tecnico agricolo, poi sono stato assessore all’Agricoltura, presidente di Legacoop a Imola, presidente regionale della Lega e vicepresidente nazionale. Non sono peccati per i quali si debba essere catalogati. C’è stato un periodo storico che nessuno nega, di cui anzi va riconosciuto il merito perché partiti, sindacati, organizzazioni sociali hanno ricostruito il Paese dopo la guerra. Dovremmo riconsiderare la storia di quegli anni e i risultati raggiunti, anziché coprirla di oblio.

D. Qual è il vostro atteggiamento nella nuova situazione determinatasi?

R. L’organizzazione si è data una regola interna, un codice di comportamento etico, compie scelte del tutto autonomamente. La Lega delle cooperative ha firmato il Patto per l’Italia che non andava bene ai Ds, l’accordo con il Governo Berlusconi per il trattamento di fine rapporto insieme ad altre forze sociali ed economiche, il documento per lo sviluppo del Sud. Abbiamo convenuto con questo Governo sulla riforma del diritto societario, sulla modifica dei trattamenti fiscali. Non abbiamo avuto comportamenti di opposizione. Su temi cooperativi nel 90 per cento dei casi la posizione della Lega è stata analoga a quella della Confcooperative e di altre organizzazioni. Bruno Trentin ci ha accusato di essere collaterali alla Confindustria, per altri noi siamo collaterali ai Ds. Io ho un solo dovere di lealtà nei confronti di associati, cooperative e soci. Poi si discute con tutti, ci si confronta con tutti, si dicono dei «sì» e dei «no», si accettano proposte e se ne rifiutano altre. Non credo vi siano atti che testimonino la mancanza, in questa organizzazione, di capacità di elaborare proprie posizioni, di autonomia nel definirle. Noi dobbiamo tutelare le cooperative, non altro.

D. Quali sono i rapporti Unipol-Ds?

R. Nelle decisioni strategiche Unipol ha sempre agito in totale autonomia. La proprietà ne esprime i dirigenti senza alcuna interferenza. È una società quotata, ha proprie regole, deve rispondere al mercato. Con i Ds non c’è nulla di diverso da quello che normalmente c’è tra un’organizzazione di imprese e forze politiche. Che una parte del gruppo dirigente di Legacoop storicamente abbia avuto relazioni o condivida idee politiche è abbastanza fisiologico e determina confronti, dibattiti e interessamento ai problemi delle cooperative che un’altra forza politica può non avere. Ma questo dipende dal fatto che per storia, tradizione o scelta ideale, alcuni dirigenti cooperativi sono più in sintonia con una forza politica che con un’altra; dal punto di vista istituzionale, della funzione di Legacoop, non c’è nessun rapporto privilegiato con nessuna forza politica.

D. Non può accadere che si favorisca chi ha le stesse idee anziché un altro?

R. Quando si tratta di opere pubbliche, di lavori e servizi, si applicano regole e si ricorre a gare di appalto. Nei giorni scorsi la gara per la costruzione della nuova linea metropolitana di Roma è stata vinta dalla cordata Astaldi, formata da una grande impresa di costruzioni e da un consorzio tra cooperative di costruzioni e altre imprese. Nulla di strano se le cooperative rappresentano il 17 per cento del Consorzio.

D. Non avete un trattamento fiscale agevolato?

R. Abbiamo comparato i bilanci di 5 imprese cooperative tra le più grandi con imprese medio-grandi dello stesso settore; è risultato che, a seconda dei settori, la cooperativa paga tra l’80 e l’85 per cento rispetto alle altre, con un minor carico fiscale tra il 15 e il 20 per cento. È soggetta a tutte le imposte al 100 per cento; per l’imposta sul reddito delle imprese, se è a mutualità prevalente paga sul 30 per cento degli utili, altrimenti sul 70. Ma la minor tassazione si applica solo sugli utili non distribuiti che vanno a riserva indivisibile per sempre; su quelli distribuiti, salari, retribuzioni ecc., si paga il 100 per cento.

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