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CORTE ARBITRALE EUROPEA. MEDITERRANEO E MEDIO ORIENTE: ALLEARSI PER RIPARTIRE

Dopo aver espresso in passato grandi civiltà, oggi, in piena era industriale, i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente sono costretti a svolgere un ruolo di semplici spettatori di fronte all’intraprendenza di più recenti culture. Che cosa si può fare per superare questa situazione, colmare la distanza tra i vari Paesi o comunque ridurla? Per non continuare a vivere in uno «splendido isolamento» un gruppo di studiosi e di professionisti ha proposto di unire le energie e di riunirsi una volta l’anno, in città sempre diverse, per arricchire la propria conoscenza e per favorire le conoscenze altrui nell’ambito del Mediterraneo e del Medio Oriente. In tale direzione si muove anche la European Court of Arbitration and Mediation (CEA), ossia Corte arbitrale europea, con sede a Strasburgo.
Tra i molteplici vantaggi, l’iniziativa offre la possibilità di reagire dinanzi all’insediamento di entità esterne nell’area in oggetto, e di risolvere eventuali controversie tra gli appartenenti ad essa non rivolgendosi a tribunali o arbitri di altri Paesi, che possono avere difficoltà nel comprendere la loro mentalità. Per dibattere i vari argomenti sul tappeto lo scorso settembre, su iniziativa della Corte stessa e con l’appoggio del Consiglio mediterraneo dell’arbitrato, si è svolto a Roma il primo convegno annuale. Ne illustra gli scopi e i risultati il presidente avv. Mauro Rubino Sammartano.

Domanda. Come è nata e con quali fini la Corte arbitrale europea?
Risposta. Si tratta di un’istituzione esistente sin dal 1960. Fu creata, sotto il patrocinio del Consiglio d’Europa, da camere di commercio, Borsa, ordini professionali di commercialisti, notai, avvocati ecc. Da quell’epoca si occupa di arbitrato e negli ultimi anni anche di intermediazione; opera nei vari Paesi europei. Promuove gli arbitrati e cerca di diffonderne la cultura per mettere a disposizione dei cittadini strumenti di giustizia alternativi e soprattutto più rapidi.

D. È sola, questa organizzazione, ad operare in tale campo?
R. Le istituzioni arbitrali sono molte, ma il regolamento della Corte arbitrale europea è considerato all’avanguardia. Il suo requisito centrale è l’affidamento a un arbitro unico della vertenza da risolvere. Il primo vantaggio che questo sistema comporta è rappresentato da una consistente riduzione dei costi, fino al 70 per cento; un secondo vantaggio è l’emanazione della decisione entro un anno, mentre il giudice e molti arbitri decidono solitamente non prima di tre anni; vi sono stati casi in cui il procedimento è durato perfino dieci anni. Un arbitro unico che decide entro un anno è un grande passo avanti. Il regolamento della Corte contiene anche altre norme che lo rendono ancora più conveniente rispetto ad altri sistemi. Grazie a queste caratteristiche il nostro arbitrato è applicato in Italia, dove la Corte arbitrale europea possiede una delegazione articolata in varie sezioni ubicate nelle principali città: Milano, Roma, Genova, Bologna, Firenze, Palermo, Catania, in Puglia, in Calabria e in Abruzzo.

D. La Corte svolge anche un’azione di stimolo verso i Governi per introdurre nella legislazione strumenti alternativi più rapidi, diretti a ridurre le lentezze della giustizia?
R. Certamente. Proprio perché la Corte esprime una propria linea, io sono stato chiamato a far parte della Commissione ministeriale per la riforma dell’arbitrato. La materia attinente la conciliazione ha suscitato l’interesse del legislatore anche se poi la sua realizzazione ha finito per riguardare varie questioni settoriali, per cui esso ha perduto unità logica e carattere sistematico. Quindi la funzione della Corte non è soltanto quella di diffondere la cultura dell’arbitrato, ma anche di contribuire a mettere in evidenza soluzioni migliori e ad influire sulle istituzioni per assicurare migliori risultati legislativi a vantaggio di tutti i cittadini. Va ricordato, infatti, che si assiste a una profonda insoddisfazione nel settore sia civile che penale della giustizia; si parla di un arretrato di quasi 5 milioni di procedimenti.

D. Si registrano resistenze a queste forme di giustizia alternativa?
R. No, l’arbitrato è stato oggetto di una nuova riforma lo scorso anno. Non è che esso riscuota necessariamente il consenso di tutti, ma è considerato uno strumento deflattivo, capace di ridurre l’arretrato civile e penale. Oggi la giustizia è praticamente bloccata, il parlamento se ne rende conto, per cui è molto interessato all’impiego di strumenti alternativi. Non intende assumere altri magistrati perché tra giudici e pubblici ministeri sono già 9 mila. E questo induce una parte dei parlamentari a propendere maggiormente per il ricorso alla conciliazione, con la quale si spera di ridurre il contenzioso. Una certa resistenza, invece, si registra da parte dei cittadini.

D. Quali sarebbero i motivi?
R. Non conoscono bene l’istituto dell’arbitrato. Si sono fatta l’idea che si tratti di una sorta di una clinica di lusso, costosissima a causa di arbitri che operano senza essere collegati a una seria istituzione arbitrale, che avanzano richieste esosissime, che usano questo sistema per spremere al massimo le parti. Questo loro presunto comportamento indigna il cittadino, il quale inoltre esige un arbitro imparziale. Spesso si assiste, infatti, a manovre di «apparentamento» tra arbitri, come avviene in certe nomine dei docenti universitari per le quali si sceglie un amico per fargli o per restituirgli una cortesia. Questo comportamento danneggia l’istituzione, non piace ai cittadini.

D. In che modo deve comportarsi allora un arbitro?
R. Deve fornire un’immagine trasparente, corretta e pulita dell’arbitrato, altrimenti alimenta i timori del cittadino. In Italia si registrano tra i 2 mila e i 3 mila arbitrati all’anno quando il contenzioso conta milioni di cause. In un incontro che ho avuto con il presidente della Commissione Giustizia della Camera nell’ultima Legislatura ho fatto presente che il problema dell’arretrato della giustizia non si risolve intervenendo nel contenzioso societario al quale loro avevano dedicato molto tempo, ma in quello delle locazioni, degli incidenti stradali e del lavoro, i tre settori che l’appesantiscono enormemente.

D. Che cosa occorre fare per indurre gli interessati ad applicarlo?
R. Nell’applicazione alle controversie sui contratti di locazione qualche progresso potrà farsi, e forse anche in quelle relative agli infortuni stradali. Più difficile appare nelle cause di lavoro, anche se in altri Paesi le relative soluzioni sono tutte arbitrali; così è negli Stati Uniti, dove le decisioni delle cause di lavoro sono in larga parte arbitrali; ma da noi questo non avviene.

D. Qual è la disciplina vigente nell’ordinamento italiano? Sono in vista ulteriori riforme?
R. Sull’arbitrato penso che per qualche anno non avremo novità perché l’ultima riforma è stata quella del 2006. Essa ha migliorato un po’ la situazione ma il ricorso all’arbitrato aumenta lentamente, non come potrebbe e dovrebbe, perché il cittadino è giustamente spaventato da tutte le disfunzioni esistenti. È vero che ognuna delle due parti in causa può scegliere un proprio arbitro di fiducia, ma il problema sorge quando si tratta di scegliere il terzo, come dispone la legge. La Corte arbitrale europea prevede la nomina, invece, di un unico arbitro. Il nostro sistema elimina i dubbi sul terzo arbitro ma basterebbe sbagliarne uno per guastare la nostra immagine. In sostanza la riforma ha migliorato tecnicamente l’istituto, per cui il suo uso cresce lentamente.

D. Le norme cui è soggetto l’arbitro sono le stesse del giudice?
R. Alcune. L’arbitro è un soggetto privato, quindi non è tenuto a tutti gli obblighi di un giudice; comunque deve osservare precise regole, in alcuni casi deve astenersi dall’attività, viene rimosso se trascura i propri doveri e può anche rispondere per i danni arrecati.

D. I tempi di un arbitrato sono sempre molto rapidi?
R. Non in tutte le istituzioni che lo praticano. Molte camere di commercio hanno creato una propria istituzione che poi non usano molto; quindi ve ne sono molte ma ne funzionano poche. Conoscono bene e ricorrono all’arbitrato le grandi società per una serie di motivi: non si affidano alla magistratura ordinaria a causa della sua lentezza e della possibilità di decisioni sbagliate; i loro interessi in gioco sono rilevanti per cui preferiscono mettersi d’accordo e risolvere subito i contrasti; evitano problemi sul piano internazionale; il maggior costo dell’arbitrato viene inserito nel bilancio societario. Inoltre, a fianco dell’arbitrato figurano la mediazione o conciliazione assistita.

D. In che cosa consiste?
R. Sia pure con maggiori difficoltà, anche questo istituto sta acquistando un po’ di terreno; in Italia e in generale nell’Europa continentale è pochissimo impiegato, in Inghilterra e negli Stati Uniti, invece, lo è molto perché in questi due Paesi il ricorso sia all’arbitrato sia al giudice ordinario è molto più costoso. Per cui il cittadino preferisce tentare una cosiddetta conciliazione assistita dinanzi a un conciliatore, il quale incontra le parti prima insieme, poi separatamente, sulla base di una precisa procedura; nel giro di due o tre giorni spesso si ottengono buoni risultati. In Italia, invece, la conciliazione spesso si riduce a una domanda posta dal giudice o dall’arbitro, i quali sanno che non è possibile mettere d’accordo le parti; comunque, sia pure lentamente, il sistema anglosassone comincia a prendere piede anche da noi.

D. Quali sono stati gli scopi del convegno?
R. Nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, dove siamo stati sempre presenti, godiamo di considerazione maggiore che in Europa e in America; ma di fronte alle nuove civiltà quelle prime due aree sono in una situazione precaria. Per questo occorre riunire le nostre vecchie e gloriose culture e riprendere lo slancio. Non siamo più il Caput Mundi ma possiamo fare qualcosa. Ad esempio, risolvere il contenzioso tra noi, e non rivolgerci agli Stati Uniti, all’Inghilterra, alla Svezia, dove esiste una mentalità del tutto diversa e non è facile per essi capire la nostra mentalità.

Tags: camere di commercio avvocatura Novembre 2007 notariato

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