ANTONIO CONTE: A ROMA L'ORDINE DEGLI AVVOCATI PIÙ NUMEROSO D'ITALIA
Titolare di uno studio legale di famiglia che vanta una tradizione di ben sette generazioni di avvocati, Antonio Conte è subentrato al padre Emilio Conte, storica figura dell’avvocatura romana, membro del Consiglio dell’ordine di Roma dal 1980 al 1998, ricordato da tutti gli avvocati romani come sempre impegnato in battaglie nell’interesse della classe forense. Nel 2000, quando entrò per la prima volta a far parte del Consiglio dell’ordine, Antonio Conte era il più giovane consigliere mai eletto nel passato. Da allora ha svolto un’intensa attività all’interno della categoria; è stato delegato negli ultimi quattro congressi nazionali dell’avvocatura e del Consiglio nazionale forense, eletto sempre a grandissima maggioranza dagli avvocati romani. Per oltre due anni ha fatto parte anche, nella metà degli anni 90, del consiglio direttivo dell’Aiga, l’Associazione dei giovani avvocati. Segretario dell’ordine degli avvocati dal 2004 al 2010, ora si trova alla guida del più folto nucleo di avvocati italiani, alle prese con problemi certamente più numerosi e pesanti che la categoria deve affrontare sia per il maggior numero di abitanti, sia per la presenza delle istituzioni nazionali e soprattutto di sedi giudiziarie e giurisdizionali competenti per tutto il Paese, in particolare Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Tar del Lazio per determinate controversie tra organi dello Stato. In questa intervista il presidente Conte fa il punto sulla situazione dell’avvocatura romana.
Domanda. Oggi c’è chi dice che quella dell’avvocato non è una professione da consigliare ai giovani. È vero questo?
Risposta. Effettivamente oggi svolgere la professione di avvocato è sempre più difficile. Gli avvocati, insieme al cittadino-cliente, sono coloro che soffrono in prima persona del dissesto della giustizia e pagano a caro prezzo una legislazione caotica, a volte contraddittoria, sovente disorganica. Per trovare alibi qualcuno tenta di coinvolgerli nelle responsabilità di siffatta situazione, ma ciò è manifestamente sbagliato: l’avvocato è spesso in trincea. Deve fronteggiare l’insulto del tempo che passa, che cadenza il declino inesorabile di un’amministrazione della giustizia sempre più carente, e deve assolvere il proprio incarico difensivo tra mille difficoltà, tutelando gli interessi del proprio assistito che chiede giustizia con successo e in tempi ragionevoli. Questo rende l’idea, con due parole, di quanto sia complesso oggi svolgere la nostra professione. L’avvocatura è notevolmente critica, oggi più che mai, nei confronti di una politica che continua ad escludere la categoria forense da ogni tavolo di concertazione legislativo sui problemi della stessa e, soprattutto, sugli atavici limiti strutturali del sistema della giustizia che rallentano drammaticamente lo sviluppo produttivo del Paese.
D. In quali condizioni è l’avvocatura romana?
R. L’ordine di Roma, che è e resta il più numeroso d’Italia con oltre 23 mila iscritti, ha ovviamente amplificate, a livello locale, tutte le difficoltà che vive la categoria nazionale. Il Consiglio dell’ordine, che ho l’onore di presiedere dall’insediamento del febbraio 2010, ha lavorato alacremente per affrontare le tantissime emergenze del foro di Roma. È intervenuto facendo sentire forte la propria voce direttamente con il ministro della Giustizia, chiedendo un piano di razionalizzazione e riorganizzazione degli uffici giudiziari romani. Si sono chiesti interventi risolutivi per l’atavica carenza di organico del personale di cancelleria dei tribunali, l’innesto di giudici togati nelle sedi in cui mancano magistrati, e si sono concretizzati interventi sinergici con i responsabili degli uffici giudiziari sulle note emergenze «esplosive» del giudice di pace civile e penale, settore nel quale tanti colleghi sono costretti a soffrire innumerevoli disagi quotidiani che mortificano tutta la categoria. Abbiamo ottenuto risultati consistenti ma c’è ancora moltissimo da fare.
D. Quali sono i punti di forza e di debolezza dell’avvocatura?
R. Il punto di forza e di debolezza forse è lo stesso: l’ordine degli avvocati di Roma è il più numeroso d’Europa, così come gli avvocati in Italia che sono oltre 240 mila. Ma la nostra categoria è l’unica nella quale «il numero non è forza». Il mio primo obiettivo è stato quello di unire, aggregare la realtà degli avvocati romani portando il Consiglio dell’ordine ad essere punto di riferimento, anche politico, per porre fine alla deliberata esclusione dell’avvocatura dai tavoli preparatori legislativi per la soluzione dei problemi della giustizia. Sono convinto che il giorno in cui la nostra categoria otterrà una netta e nitida interlocuzione con i poteri e le istituzioni dello stato, l’avvocatura potrà essere una risorsa preziosa per incidere effettivamente, in concreto, per tentare di risolvere la drammatica quotidianità degli uffici giudiziari.
D. Lei è il più giovane presidente dell’ordine che sia mai stato eletto a Roma, in una categoria da sempre conservatrice. Questo cosa significa?
R. È stata una strada lunga, ma nell’ordine più numeroso d’Italia ora si respira un vento di forte rinnovamento. Per la prima volta, dopo molti anni, le tre cariche consiliari di presidente, segretario e tesoriere sono sulle spalle di infracinquantenni e questo ha permesso un’energica azione di cambiamento dell’istituzione, molto apprezzata dai colleghi, non dimenticando mai, però, le luminose tradizioni del Foro di Roma, ad esempio quando abbiamo «festeggiato» con un evento, di cui ha parlato anche la stampa, i 100 anni di permanenza dell’ordine di Roma nel Palazzaccio, dove è stata allestita una mostra fotografica con foto d’epoca dei grandi processi del dopoguerra e dei grandi avvocati che hanno dato lustro al foro di Roma.
D. Perché gli avvocati si sono schierati contro la mediaconciliazione? La considerano una minaccia?
R. Non si tratta di definire la mediaconciliazione una minaccia. È riduttivo e sbagliato. L’avvocatura è intervenuta pesantemente sul ministro della giustizia contestando che il fatto che il decreto n. 28 del 2010 non ha assolutamente recepito le legittime e corrette indicazioni degli ordini forensi e delle associazioni di categoria: vi sono profili di incostituzionalità sulla questione delle obbligatorietà, come il Tar ultimamente ha confermato. Soprattutto il non prevedere l’assistenza legale al cittadino che ricorre alla mediazione ha evidenziato la volontà di espellere il ruolo della classe forense dal nuovo istituto, penalizzando il diritto di difesa del cittadino stesso che, anche e soprattutto in una fase conciliativa, ha bisogno dell’assistenza di un difensore. Gli avvocati auspicano che la promessa del ministro Angelino Alfano di prevedere la difesa tecnica con un’integrazione normativa sia mantenuta, fermo restando quanto, poi, dirà lo scrutinio della corte costituzionale sulla fattispecie dell’obbligatorietà dell’istituto.
D. Come si costruisce la competitività di un avvocato nel 2011?
R. La competitività si costruisce in un solo modo: con la qualità del professionista, con la capacità dello stesso di aggiornamento e formazione continua e con la forza di globalizzare, a livello internazionale, la propria attività. Oggi, però, gli avvocati italiani sono strangolati dal dissesto della giustizia, dalla crisi economica che attanaglia il Paese e dalla mancanza di attenzione legislativa da parte dei politici che non riescono a consegnare alla categoria una legge di riforma professionale attesa da 77 anni. L’ordine di Roma ha più volte chiesto alle commissioni Giustizia delle Camere una rapida approvazione della legge di riforma dell’ordinamento professionale sul presupposto che l’avvocatura sia chiamata ad intervenire efficacemente su alcuni emendamenti dell’articolato che appaiono fondamentali per ottenere un testo che rispecchi le sue esigenze. Ad oggi tutto tristemente tace.
D. Perché l’avvocatura, al contrario della magistratura, non ha un organismo di rappresentanza forte e unito?
R. Sono profondamente convinto della forza della cultura «ordinistica», pur rispettando il ruolo giurisdizionale del Consiglio nazionale forense e il profilo politico dell’Organismo unitario dell’avvocatura. Ma i risultati parlano chiaro: dal decreto Bersani alla mediaconciliazione, la rappresentanza politica dell’avvocatura non è riuscita a portare nessun risultato alla categoria e ritengo che gli ordini - che vengono eletti dai colleghi, che hanno la forza del consenso e che sono ogni giorno a stretto contatto con gli avvocati-elettori - debbano unirsi in una nuova forza «anche sindacale» che consenta all’avvocatura di essere protagonista nella ristrutturazione, ormai non più rinviabile, della giustizia in Italia. Questa «politica» forte dell’ordine di Roma è molto apprezzata dai tantissimi iscritti al foro capitolino e sta raccogliendo consensi rilevanti anche in campo nazionale. Sicuramente il prossimo congresso nazionale dell’avvocatura, a Bari nel 2012, avrà la responsabilità di fare chiarezza su quale dovrà essere la rappresentanza effettiva della nostra categoria.
D. Qual è la posizione dell’avvocatura sulla proposta di legge delega per la liberalizzazione delle professioni, di cui si è parlato molto nelle ultime settimane?
R. Su questo è ancora presto per esprimere un giudizio, poiché non conosciamo ancora la stesura definitiva della legge. Certamente nel sentir parlare di abolizione dell’esame di Stato per gli avvocati c’è da restare sconcertati e allibiti per l’abnormità di tale ipotesi. Un simile provvedimento ucciderebbe la categoria invece di offrire opportunità. Questo non è liberalizzare, ma squalificare definitivamente il ruolo del professionista.
D. Qual è stato il momento più emozionante da quando è presidente degli avvocati romani?
R. Su questo non ho dubbi: il momento più emozionante è stato quando, lo scorso Natale, il Consiglio dell’ordine si è reso protagonista di una bellissima iniziativa benefica in favore del reparto pediatrico dell’ospedale romano Policlinico Umberto I. In particolare ha acquistato una serie di sofisticati strumenti che, collegati alle incubatrici dei neonati, in situazioni critiche consentono di far funzionare organi vitali e li ha donati al reparto di terapia intensiva pediatrica dell’ospedale, guidato dal prof. Corrado Moretti, il quale ha ringraziato l’ordine di Roma. Con grande orgoglio l’avvocatura romana ha voluto essere protagonista di quest’azione che ha permesso di aiutare molti bambini non fortunati.
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