STEFANO BALSAMO: MARC ZUCKERBERG È SOLO UN CANOVIANO DI NUOVA GENERAZIONE
Oggi si usa Facebook, il nuovo ma già obsoleto modo di «fare networking», quello che ieri era il «club» e si usava per «socializzare». Socializzatore per eccellenza, Stefano Balsamo - il Marc Zuckerberg (fondatore di Facebook) di allora - ebbe l’idea profetica di creare ponti per grandi manager e dirigenti che avessero semplicemente l’opportunità di fare cenacoli insieme discutendo dei problemi economico-finanziari italiani e internazionali. Insieme a pochissimi amici, officer italiani di banche americane, riuniti attorno a un tavolo del bar Canova di Piazza del Popolo a Roma, nel 1978 fondò senza saperlo e volerlo quello che oggi è il Canova Club, associazione di manager, professionisti e imprenditori provenienti prevalentemente dal mondo dell’economia, della finanza e dell’impresa. Negli ultimi 35 anni, mentre il mondo cambiava, i canoviani ne discutevano nei loro cenacoli così come nelle conferenze, nei dibattiti, nelle manifestazioni culturali, in tutti i loro incontri che, sebbene privati - il Canova non ha mai voluto essere un club formale -, hanno sempre avuto come minimo comun denominatore quello di utilizzare la socialità a scopi solidaristici e benefici.
Domanda. La storia del Canova è la storia di Stefano Balsamo, il suo fondatore. Com’è nata quest’avventura?
Risposta. Dall’umiltà di capire cosa facessero gli altri che operavano nello stesso mio campo. Ed è legata al numero 3, come spiegai anche al presidente (Giulio) Andreotti quando, in un cenacolo al Canova, mi chiese se avessi studiato dai Gesuiti perché il 3 è il loro numero, come il mio, che sono inoltre anche i luoghi geografici, culturali e d’amore della mia vita: Sicilia, Roma, Stati Uniti d’America. Ho sangue e radici siciliane - nato a Catania e vissuto a Palermo per i primi 10 anni della mia vita -, ma sono cresciuto a Roma che è diventata la mia città d’amore e da 49 anni lavoro nel mondo internazionale di J.P. Morgan. Per questa banca lasciai il Credito Italiano - a quel tempo si poteva tra le tante offerte ricevute -, che mio padre aveva scelto per me 5 anni prima dopo i miei studi di Ragioneria- affascinato come tutti dall’importanza di un impiego in banca (a proposito di drammatico cambiamento dei tempi). Ovviamente non potevo immaginare, quando entrai, che J.P. Morgan sarebbe diventata la seconda banca del mondo per capitalizzazione. In effetti, con nessuna lungimiranza, accettai quel posto perché pensavo (erroneamente) che non mi avrebbe costretto a muovermi da Roma, città che amavo e che non volevo lasciare a nessun costo, carriera compresa, come invece mi chiedeva il Credito Italiano. Eppure ben presto mi trovai con la richiesta di girare il mondo, e non più l’Italia, per fare carriera e crescere professionalmente ma io non volevo muovermi da Roma anche perché non ritenevo di possedere quella cultura, oltre che la lingua, essenziale per lavorare in una banca di stampo anglosassone. È da queste premesse che è nato il Canova: aiutato dagli americani e da quel loro pragmatismo che mi lasciò gestire il raggiungimento del budget che mi avevano assegnato. Fu nel 1978 che, con molta umiltà, chiamai pochi altri italiani che come me lavoravano nelle banche estere e li riunii tutti nel bar Canova di Piazza del Popolo a parlare di ciò che facevamo operativamente, ma anche di economia e finanza. Andavamo lì una volta al mese per raccontarci il nostro lavoro in maniera professionale e riservata, ma non ci nascondevamo che scegliemmo quel bar anche per la gradevolezza delle sue frequentatrici, soprattutto straniere.
D. Cosa c’era di simile in circolazione allora?
R. Esistevano ovviamente dei club come il Rotary o il Lions ma la differenza era che, mentre negli altri club le professioni rappresentate erano molte, noi svolgevamo un’attività socio-culturale prevalentemente attinente all’economia e alla finanza perché eravamo tutti soprattutto bancari. Allora c’era una grandissima affluenza di investimenti esteri in Italia che si riversavano nell’industria e nelle banche; ci vedevamo per parlare di quelle nuove attività di sostentamento finanziario alle multinazionali soprattutto americane e inglesi che avevano aperto uffici e attività a Roma e nella zona pontina dove erano previste alcune agevolazioni fiscali; c’erano, tra le altre, Exxon, Procter & Gamble, Johnson & Johnson e la stessa Morgan Garanty Trust aveva aperto a Roma proprio per seguire le loro clienti multinazionali nel nostro territorio. Slowly but surely, il nostro gruppo crebbe e finché potemmo, per un paio di anni, rimanemmo nel bar Canova. Fu però necessario mantenere vivo l’interesse di noi tutti. Non era facile organizzare ogni mese un cenacolo e invitare un ospite d’onore tenendo sempre viva la voglia di partecipare così inventai l’Effemeride, newsletter ante litteram con uno stile autoironico, mai abbandonato, che raggiungeva anche coloro che non erano presenti ai nostri incontri: oggi abbiamo oltre 2.500 contatti. Tra i primi destinatari anche Mario Draghi, all’epoca non proprio conosciutissimo professore a Firenze, ma interessato alle pubblicazioni J.P. Morgan. Da allora è rimasto sempre in mailing list passando per la nomina a Canoviano d’Onore.
D. Per trent’ anni il Canova è stato privo di uno statuto proprio per sottolineare quegli intenti amicali e di socialità non legati ad alcuna forma giuridica e di qualsiasi interesse. Oggi, invece, ne ha uno: a che cosa si deve questo cambiamento di rotta?
R. Per far sopravvivere il Canova a me stesso ho dovuto dare una struttura al club, che da un paio di anni si è «rifondato» ufficialmente e si è dato uno statuto con tutti gli organi di gestione tipici. Ma nel concreto nulla è cambiato; non abbiamo mai avuto l’intenzione di allargarci o di creare «succursali» di città, con l’intenzione di voler restar con il numero magico di 99 soci. Ma crescendo in numero, abbiamo dovuto spostarci e dal bar Canova siamo passati all’Hostaria dell’Orso, a quei tempi uno del luoghi più prestigiosi ed esclusivi. Da qui, costretti dai numeri, siamo giunti al Grand Hotel Parco dei Principi, spazio giusto per numeri che non sono più paragonabili alla doppia dozzina dei primi anni né alla cinquantina dell’Hostaria dell’Orso: ora i soci sono circa 150 che, con la partecipazione di sostenitori di solidarietà ed amici, possono formare un’audience anche di 300 persone a cenacolo. Non abbiamo nemmeno mai curato i rapporti con la stampa perché non c’è stato mai bisogno di sviluppare la nostra attività se non attraverso il passaparola tra di noi e quelli come noi.
D. C’è una distinzione tra i soci?
R. La partecipazione è oggi aperta a tutti coloro che possiedono elevate qualità umane, morali e professionali e condividono le tre finalità di amicizia, cultura e solidarietà, e che possono dare valore aggiunto al club. Io e tutti coloro che sono stati invitati da me a costituire il Canova Club 3 anni fa intervenendo all’atto costitutivo, siamo i soci fondatori. I soci ordinari sono coloro che possono dimostrare di contribuire fattivamente, ma anche in modo silente, agli scopi dell’associazione. Poi ci sono i Canoviani d’Onore, personalità di particolare spicco etico, culturale e professionale, quasi sempre già speaker ai cenacoli, scelti e votati dai soci come «bravi e per bene»; infine gli speaker, coloro che sono intervenuti in qualità di oratori alle nostre iniziative. In 34 anni abbiamo ospitato nei soli cenacoli (9 per annata) oltre 40 mila amici e oltre 300 relatori d’onore, il meglio che c’è stato e che c’è in economia, finanza e politica.
D. Cosa fa il Canova, oltre a riunirsi in incontri socio-culturali?
R. Abbiamo creato tutta una serie di belle attività collaterali, all’insegna di «seri, ma non seriosi». Così è nato il premio della letteratura economica e finanziaria al libro di miglior divulgazione, gestito da sempre da Luigi Giovannelli e Nicola Granati; non a caso il primo fu assegnato 24 anni fa a Piero Angela per «Quark Economia»; 20 anni fa abbiamo creato il Canova Giovane con Alessandro Barnaba e Guido Nola, oggi super manager alla J.P. Morgan, attraverso il quale cerchiamo di infondere valori ed etica ai nostri giovani con riunioni che servono anche a prepararli al mondo del lavoro. Ci occupiamo, e per me è il service più importante, anche di solidarietà da 25 anni con gli evergreen Antonio Boccini ed Eolo Poli Sandri, attraverso la onlus Canovalandia, finalizzata soprattutto al sostegno degli anziani bisognosi attraverso interventi concreti, quali fornitura di generi alimentari, arredi, ascensori, autovetture, gasolio, letti, oltre alla gestione della soluzione di problemi strutturali di maggiore rilevanza ed impatto nella vita quotidiana dei non abbienti. Tutto ciò è cominciato con Renato Apuzzo, un allora giovane disabile che è ancora con noi dopo tanti anni quale mascotte della solidarietà, una persona che mette i brividi a sentirlo parlare. È stato lui, che gravi problemi alle mani e alle gambe hanno obbligato a stare sulla sedia a rotelle, a farmi scoprire il valore della solidarietà e le grandi emozioni che può dare. Occupandoci di anziani, invece, abbiamo fatto una scelta razionale: tutti vorrebbero dedicarsi ai bambini, che sono il futuro; dei malati deve occuparsi lo Stato; noi abbiamo scelto di aiutare questi ultimi perché nessuno se ne vuole occupare emozionalmente.
D. Il Canova nasce a Roma e resta a Roma?
R. Fino a tempi recenti è stato così, ma ora, per l’insistenza di nostri amici e la pratica assistenza di un giovane professionista talentuoso, Marco Bracaglia, abbiamo aperto a Milano al Westin Palace davanti a 220-290 nuovi amici per cenacolo. I nostri prossimi ospiti saranno l’amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti Giovanni Gorno Tempini e il ministro Roberto Maroni. Prima di loro lo scorso anno abbiamo avuto Vittorio Grilli, Fulvio Conti, Corrado Passera, Massimo Ponzellini, Federico Ghizzoni, Mauro Moretti.
D. C’è solo Milano nella sua vulcanica irrequietezza?
R. Per la verità ci sono altri miei network distinti dal Canova Club. I «Vespri» ad esempio, per raccontare i fatti positivi della Sicilia, o il «Breakfast & Finance», club mattutino molto tecnico delle 7,30, ora in cui ci incontriamo per parlare soprattutto di aspetti tecnico-finanziari, diversamente dai cenacoli serali (che sono più divulgativi, volti a far comprendere l’economia e la finanza anche a chi non è completamente padrone della materia). Il «cenacolo dei 30», club che raccoglie i maggiori decision maker del Paese, ovvero molti degli speaker già al Canova per dare e ricevere feedback, a cena, a membri delle istituzioni al più alto livello, ministri per primi. Poi ho creato il club «Diplomatia» per un collegamento informale e continuo tra ambasciate, istituzioni e imprese italiane e SPF (Stefano’s press friends), il gruppo dei corrispondenti delle testate giornalistiche più famose e prestigiose che in cenacoli riservati ed off the record conoscono da vicino chi guida l’Italia per farsene un’opinione diretta in un ambiente amicale. Altri network stanno per essere formati o sono già pronti, ma attendono il momento giusto per cominciare. Ma razionalmente ci occupiamo anche dei giovani.
D. In quale modo?
R. A loro ho dato totale autonomia e infatti hanno una struttura autonoma, il Canova Giovane. Nelle nostre serate indico loro i nomi degli invitati perché essi stessi possano scegliere personaggi di loro interesse da ospitare nel proprio tavolo; lo faccio perché non sprechino la cena soltanto per mangiare ma possano intrattenere conversazione sui temi che prediligono con senior di prestigio e competenza. Per i giovanissimi andiamo nelle scuole con il progetto «Cru» (Club risorse umane) non solo a raccontare le attività professionali, bensì a «portarle». Al liceo Visconti di Roma, ad esempio, abbiamo portato la professione dell’avvocato, con professionisti di vario stile, dal «lupo solitario», colui che fa tutto da sé, alla struttura familiare, fino alle international law firm.
D. Ci sono i giovani, gli anziani, i disabili canoviani, ma sinora ha parlato solo di uomini, mai di donne. Esiste una «quota rosa» all’interno del club?
R. Una nostra amica radiologa, Carlotta Gaudioso, interessata alla finanza, si è accorta che da noi le donne mancavano e ha avuto un’idea, quella che poi ha svolto nell’acronimo «R.O.S.A.», non perché sia il colore femminile ma per premiare donne di successo per «risultati ottenuti senza aiuti». Un premio, con votazione di donne, che è già alla sua nona edizione e che è stato a sua volta premiato dal presidente della Repubblica in occasione della giornata Donna di un paio di anni fa.
D. Ieri c’erano i club, oggi i social networks: questi stessi sorti a partire dal Canova potrebbero essere assimilati a un gruppo su Facebook. Lei inviava gli inviti al club con i francobolli: cosa è mutato con l’arrivo della tecnologia?
R. Tutto questo è vero e c’è un aspetto di fondo, caratterizzato da una resistenza passiva naturale. Oggi si è aperti a tutte le innovazioni, non importa quanto siano giuste o sbagliate, belle o brutte, perché si è aperti nell’apprendimento che facilita la conoscenza di quello che incontriamo. Si è pronti all’innovazione perché questo è il modo per vivere meglio. Il computer ti apre a tutto il mondo. Noi del Canova non avevamo un desiderio espresso di fare proseliti perché in fondo eravamo contenti di ciò che facevamo per noi prima di tutto. In relazione al nuovo modo di fare social network trovo che esso sia molto utile a tanti fini, specie a quello professionale, ma ancora stento a capire come si possa stabilire un rapporto emozionale tra persone se manca una frequentazione fisica, specie se si hanno solo contatti. Il successo nel tempo del Canova è testimoniato anche dal fatto che, andando a Milano, con mia grande sorpresa ho trovato moltissimi interessati alla nostra attività, e ciò è avvenuto perché il club era già conosciuto grazie al networking fatto di carta, di lettere mensili personalizzatissime. A mio giudizio, mentre il digitale permette una comunicazione velocissima a tutto il mondo, resta difficile mantenere nella testa e nel cuore l’informazione resa, mentre inviando le nostre informazioni sia pure elettronicamente ma sempre nel formato di una lettera personale, i lettori fermano l’argomento come fosse una missiva personale one to one. E quasi certa reazione in chi la riceve. Questa è la fondamentale differenza degli effetti rispetto a un invio anonimo, senza intimità ed emozionalità.
D. Ancora usa l’invio cartaceo o anche il Canova si è digitalizzato?
R. Invio le Effemeridi mensili agli indirizzi postali di coloro che me ne fanno richiesta e non vogliono cambiare mezzo. L’85 per cento dei soci riceve le comunicazioni in formato elettronico anche perché il cartaceo ha dei costi rilevanti, ma non solo: l’invio del nostro almanacco (comunicazioni settimanali sulla vita del club e dei suoi soci) ad esempio, comporterebbe l’esigenza di farlo seguire da successive comunicazioni cartacee: impraticabile.
D. Quanti sono oggi i partecipanti a vario titolo del Canova?
R. Amiamo dire che siamo 99 perché storicamente abbiamo sempre detto questo numero, ma in effetti siamo molti di più. Memore della lezione che avevo imparato negli altri club i quali, colmi di professionisti che avevano necessità di vendere i propri servizi, si sostanziavano nello scambio di biglietti da visita, avevo espresso la mia preferenza per un club di manager, anche perché davano maggior prestigio al club. Per tanti anni questa scelta è stata vincente, ma non avevo previsto che il club potesse divenire obsoleto. Quando cominciai avevo 33 anni con amici più o meno della mia età e, trascorsi quasi 35 anni, tutti quei manager sono ora in pensione, mentre sono rimasti alla ribalta i professionisti che avevo estromesso. Essi si sono presi una rivincita sulle mie scelte strategiche. Ho dovuto così cambiare registro, veramente già da qualche anno, portando dentro quelle figure che prima non avevo identificato come target, professionisti e imprenditori, e ciò ha comportato un allargamento numerico.
D. Se lei «è» il Canova, cosa c’è nel futuro del club dopo di lei?
R. A questo scopo, mi sto dedicando a un progetto, il «Canova Futuro», per trasferire agli amici-soci più giovani, la responsabilità di tutte le attività-service che ho creato negli anni, con onori ed oneri per chi fa. In particolare, sto chiamando i giovani ad affiancare i vari attuali responsabili in modo che possa in seguito verificarsi un passaggio naturale e graduale. Spero così che il Canova mi possa sopravvivere ma soprattutto possa continuare a servire i soci e la collettività quali membri attivi e consapevoli della big society. Mi pare giusto dire anche che questo modo di socializzare a me ha salvato il lavoro e, in un certo senso, spiega la mia longevità professionale, alimentata dalle fitte, antiche e prestigiose relazioni sociali che il network Canova mi ha assicurato in quasi 35 anni. Ho detto che il prossimo speaker sarà il ministro Maroni. Il primo che quella mezza dozzina di amici, che non sapevano che stavano fondando un club, chiamarono al bar Canova per parlare delle cambiali finanziarie, era un oscuro professore di Scienza delle Finanze dell’università di Macerata di nome Giulio Tremonti.
D. Solo banca e club sono esistiti nella sua vita?
R. No. Sono un grande viaggiatore, con oltre cento Paesi visitati; adoro ballare; sono un grafomane, ma il mio vero grande amore è giocare a pallone… ma non mi piace perdere.
D. Per fare tutto ciò le sue giornate possono essere di 24 ore?
R. Per fare tutto ciò, oltre la moglie giusta da 44 anni, ho tantissimi cari e veri amici che mi aiutano in service, cioè per il puro piacere di farlo, per essere al servizio degli altri. Sono almeno una trentina e tutti meriterebbero di essere citati (e ringraziati); per non fare torto a nessuno li ringrazio tutti attraverso il Comitato esecutivo che li rappresenta e che presta un service spesso quotidiano: Sabina Ciuffa, Oliviero Franceschi, Gabriella Gerace, Paolo Gianani, Giuseppe Ibrido. Grazie a loro. Grazie al Canova. Grazie alla vita che mi ha dato tanto.
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