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VITTORIO GIULINI: MODA, È POSSIBILE FAR FRONTE ALLA CONCORRENZA ASIATICA

Vittorio Giulini Liolà

Azienda a conduzione familiare fondata nel 1870 dalla famiglia Giulini e nata come tessitura e filatura di cotone, Liolà nel corso degli anni è passata alla produzione di abbigliamento femminile e di maglieria e oggi occupa un posto di primo piano nella moda da donna italiana. Esponente di spicco del made in Italy, la società appartiene tuttora alla famiglia Giulini, alla quarta generazione. Con sede in Corso di Porta Nuova a Milano, ha legato il proprio nome a 190 boutique sparse nel mondo. Amministratore delegato di Liolà spa è Vittorio Giulini, per 10 anni presidente di Sistema Moda Italia, associazione di industrie della filiera tessile-abbigliamento. Giulini è impegnato anche nella conduzione di un’altra attività di famiglia consistente nella produzione vinicola, realizzata in floride aziende situate in Liguria e nel Lazio. In questa intervista illustra i problemi e le prospettive del settore tessile-abbigliamento.

Domanda. Qual è il quadro del suo settore in questa delicata fase dell’economia internazionale?
Risposta. Siamo in presenza di un mercato che fino a qualche anno fa era considerato maturo, nel senso che era caratterizzato dalla presenza di strutture prevalentemente di medie e piccole dimensioni, apparentemente destinato ad avere un limitato avvenire ma che invece, in breve tempo, ha visto affermarsi giganti nelle sue due estremità, quella dei prodotti di lusso e quella dell’abbigliamento di massa. Nel primo comparto della produzione di capi e di accessori di lusso, le imprese che vi operano sono cresciute fino a diventare, alcune, colossi pari alle grandi imprese del settore industriale. Nello stesso tempo, però, se ne sono sviluppate altre, operanti all’estremità opposta del mercato, ossia nella produzione di abbigliamento destinato alla massa, finendo anche queste con l’assumere dimensioni fino a qualche tempo fa impensabili. Via via la competizione tra le imprese del lusso e quelle che producono per la massa è giunta a livelli che un tempo non erano certamente immaginabili.

D. Che cosa ha consentito a queste aziende di imporsi e come riescono a mantenente dei ritmi di sviluppo così sostenuti?
R. Sia quelle che appartengono al comparto del lusso sia le altre che producono per la massa, sono state avvantaggiate, a mio parere, da due fattori fondamentali: il progressivo, crescente controllo della produzione e contemporaneamente quello della distribuzione, ossia della rete commerciale. Ma ora a questi due fattori essenziali se ne sta aggiungendo un terzo non meno rilevante, costituito dall’acquisizione in proprietà degli immobili in cui la distribuzione si svolge.

D. Che cosa comporta questo nuovo tipo di organizzazione produttiva e commerciale?
R. In un mercato sempre più aperto, sempre più globale, per imporsi in un settore occorre acquisire il controllo di quote sempre maggiori della relativa produzione. Ma anche quando si raggiunge questo primo traguardo, cioè il controllo di una consistente quota di produzione, esso non basta più, perché occorre venderla. E per farlo più facilmente e rapidamente bisogna possedere una rete distributiva; il secondo fattore di successo diventa, pertanto, il controllo di quote sempre maggiori della rete commerciale, ovvero di punti vendita. E questo per due motivi: perché anche nel settore commerciale la globalizzazione comporta la formazione di gruppi sempre più potenti ed estesi, in grado di diffondere o meno i prodotti sul mercato; e perché controllarli consente non solo di «spingere» i propri prodotti, ma anche di eliminare o quanto meno di limitare la diffusione di quelli concorrenti.

D. Detenendo ampie quote della produzione e della distribuzione, a che cosa serve aggiungervi anche la proprietà immobiliare?
R. L’esempio viene dagli Stati Uniti dove grandi gruppi finanziari detengono le maggioranze azionarie di aziende produttrici di beni nonché delle aziende che li distribuiscono; inoltre sono proprietarie dei negozi perché il possesso di questi rappresenta un fattore strategico. Questa evoluzione del mercato costituisce un fatto completamente nuovo per l’Italia, dove siamo stati sempre abituati a considerare la produzione un’attività a se stante, distinta dalla la distribuzione come pure dalla proprietà immobiliare. Sembra di essere passati da una fase industriale a un’altra post industriale, nella quale questi settori di attività, tradizionalmente divisi, sono ormai destinati a compenetrarsi l’uno con l’altro. Il segreto del successo sembra riposto, ormai, nella presenza e nel controllo dell’intera filiera, e non più solo di un brandello di essa.

D. Quali conseguenze porta questa riorganizzazione produttiva?
R. Se questo quadro è corretto, è chiaro che sono destinate a subirne le conseguenze tutte quelle imprese che svolgono o la sola produzione o la sola distribuzione; è il caso di alcuni grandi magazzini americani, cioè di storiche aziende di distribuzione che hanno avuto molti problemi e sono passate di mano numerose volte, mentre si assisteva all’esplosione di nuove catene di negozi facenti parte di gruppi proprietari anche di aziende produttrici.

D. Se la direzione dello sviluppo è questa, quali prospettive ha dinanzi a sé un’impresa di piccole o di medie dimensioni operante, ad esempio, nel settore tessile-abbigliamento?
R. La risposta è semplice. Se svolge solo attività di produzione, ha una unica possibilità, quella di diventare «terzista», cioè di mettersi a produrre per conto di terzi, ovvero di una grande azienda che operi in tutta la filiera. Se svolge invece solo attività di distribuzione, l’unica strada che ha dinanzi è quella di aggregarsi alla struttura distributiva di una grande impresa di produzione. Se vuole, infine, mantenere la posizione che occupa o se non è in grado di diventare una grande impresa del lusso o una grande impresa dell’abbigliamento di massa, ha un’altra soluzione. E qui comincio a parlare di me stesso: la soluzione, cioè, di scegliersi una nicchia di prodotto completamente diversa da quelle esistenti sul mercato, nicchia che ovviamente va potenziata con il controllo diretto della produzione. Così ho ragionato io, e questo è il caso Liolà.

D. Qual è stata esattamente la vostra scelta?
R. Essendo la nostra un’impresa di medie dimensioni, abbiamo deciso di diventare leader in una nicchia di prodotto rappresentato dal tessuto a maglia, per la cui realizzazione disponiamo di venticinque tecnologie, una diversa dall’altra, che ci consentono di ottenere prodotti non imitabili in quanto difesi da una barriera imponente. Certamente non potremo rivolgerci a un mercato da miliardi di euro di fatturato, perché non esiste un numero talmente grande di persone che prediligono il nostro stile; però offriamo un prodotto che consente a qualche decina di migliaia o a qualche centinaia di migliaia di persone in Europa di indossare, senza spendere un patrimonio, capi di abbigliamento completamente diversi sia da quelli del lusso sia da quelli della massa.

D. Oltre alla produzione e alla distribuzione, i grandi gruppi controllano ormai anche i mezzi di comunicazione: come può una media impresa raggiungere il grande pubblico?
R. Ho pensato anche al problema di far conoscere i nostri prodotti ai consumatori. La soluzione non poteva essere che quella di aprire punti vendita diretta o in collaborazione con i negozianti; così è nata l’idea di entrare nella distribuzione, ovviamente con un prodotto di nicchia. Ma occorreva scegliere i luoghi. Abbiamo escluso strade centrali come Via del Corso o Via Condotti a Roma, abbiamo optato per le località in cui risiede la nostra clientela. Quindi per i bei quartieri residenziali delle città, a ridosso dei Centri storici, in zone tranquille, signorili, come a Roma i Parioli, Vigna Clara, il quartiere Trieste, Ludovisi e altri. A Londra non siamo a Regent Street ma a Chelsea, il più bel quartiere residenziale della città, così a Parigi.

D. Avete acquistato anche i relativi immobili?
R. Abbiamo 44 negozi di proprietà e li abbiamo affidati in gestione ai commercianti a canoni di affitto contenuti, mantenendo comunque il controllo della nostra immagine. Anche se abbiamo dovuto pagare molte tasse, questo sistema ci ha consentito di realizzare in trent’anni notevoli risparmi e di non dipendere assolutamente dalle banche, anzi di disporre di consistente liquidità. Negli ultimi due anni sono aumentate notevolmente le difficoltà in quanto tutte le aziende hanno dei problemi, anche quelle che vanno bene. Tuttavia noi siamo riusciti ad attuare quasi una rivoluzione, consistente nel rendere il prodotto sempre più di alta gamma e sempre più appetibile e innovativo.

D. Quali prospettive di sviluppo avete e qual è il vostro programma in proposito?
R. Visto che non dobbiamo quotare la società in borsa, che non dobbiamo rendere conto agli azionisti, che non dobbiamo esibire risultati colossali, abbiamo come scopo lo sviluppo naturale di un marchio che non deve essere drogato e non deve presentare difetti. A questa politica ci siamo attenuti, e dobbiamo riconoscere che ci ha dato e ci sta dando risultati molto interessanti. Anche in Cina, dove siamo presenti. Siamo riusciti a trovare nuove tecnologie per la maglieria che abbiamo acquistato e adottato, ottenendo una soddisfacente risposta sul mercato. Quindi possibilità di espansione ne abbiamo, e se sono naturali sono da noi ben accette.

D. Siete comunque interessati anche voi alla riduzione dei costi. Che cosa fate per ottenerla? Non pensate di trasferire all’estero una parte della produzione?
R. Certamente siamo interessati, e in tale direzione abbiamo attuato interventi di razionalizzazione dei processi produttivi. Per esempio, dal momento che abbiamo tre stabilimenti in uno dei quali si registrava un intenso traffico commerciale dinanzi alle due rotonde di cui dispone, abbiamo concentrato la produzione di maglieria nello stabilimento principale, ottenendo una riduzione dei costi. Ma non abbiamo trasferito all’estero la produzione. Abbiamo adottato un altro metodo: acquistiamo all’estero, ad esempio in Cina, prodotti ad altissima intensità di manodopera, che facciamo disegnare per ottenere capi «coordinati» con quelli made in Italy da noi direttamente realizzati. Si tratta di prodotti che in Italia non potrebbero farsi. Faccio un caso pratico: una blusa tutta ricamata a mano, che noi vendiamo al pubblico a 250 euro, se dovessimo farla ricamare in Italia dovremmo venderla a 5 mila euro, perché il costo della manodopera da noi è a livelli del tutto proibitivi.

D. Come il made in Italy potrà far fronte alla concorrenza asiatica?
R. Inutile nascondersi il fatto che non è più possibile realizzare prodotti che hanno un altissimo contenuto di mano d’opera in un Paese, l’Italia, che registra i costi più alti del mondo; se si tratta invece di prodotti ad altissimo contenuto di tecnologia non vi sono problemi. Noi occupiamo quasi 300 persone, ma impieghiamo le tecnologie più avanzate abbinando pertanto il prodotto di queste con quello artigianale, magari per dotare un capo di una particolare finitura realizzata a mano. Ma il rapporto tra i due fattori deve essere logico, altrimenti si va fuori mercato e allora produrre non ha più senso.

D. Qual è la vostra clientela?
R. È abbastanza assortita, in quanto è distinta in tre fasce. Una prima fascia è costituita da donne con forte personalità che vestono con gusto personale. Una seconda fascia, corrispondente al 25 per cento, è rappresentata da chi indossa taglie grandi, dalla 48 in su; sono donne dai 30 anni in poi, che preferiscono indumenti caratterizzati da una grande vestibilità e che le fanno sentire a proprio agio. Infine abbiamo una fascia di clienti molto interessante e in crescita, formata dalle donne in carriera, che preferiscono una bella maglia per una serie di motivi pratici: perché non va stirata, le fa apparire sempre in ordine, quando viaggiano possono riporla nella borsa a mano senza bisogno di portarsi la valigia, e sono sicure che potranno presentarsi comunque perfette.

D. Si tratta di una clientela affezionata?
R. In generale abbiamo una clientela molto fedele, che in gran parte torna regolarmente perché, una volta acquistato un nostro prodotto, non lo trova in altri negozi. Infatti non abbiamo outlet, discount, rivendite irregolari. Chi acquista i nostri prodotti non se li ritrova poi anche in rivendite di periferia, ma solo nei nostri negozi. Equivalgono a un marchio di lusso, ma spendendo 800 euro invece di 2 o 3 mila e avendo un prodotto della stessa qualità.

Tags: made in italy aziende agricole moda anno 2006

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