Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

  • Home
  • Interviste
  • BERNABÒ BOCCA (CIVITA): TURISMO, UNA MICCIA DA ACCENDERE PER INNESCARE LA RIPRESA

BERNABÒ BOCCA (CIVITA): TURISMO, UNA MICCIA DA ACCENDERE PER INNESCARE LA RIPRESA

Nata 25 anni fa da un’idea di Gianfranco Imperatori, l’Associazione Civita prese il nome dal borgo Civita di Bagnoregio, con l’obiettivo di promuovere e valorizzare la cultura italiana. Costituita in origine da un piccolo gruppo di imprese, oggi conta oltre 160 aziende, pubbliche e private, tra operatori della finanza, dell’economia, delle banche; le principali aziende italiane sono socie. L’obiettivo è avvicinare alla cultura persone e ambienti esterofili, cui piace viaggiare e andare all’estero, ma che non conoscono le bellezze del proprio Paese. E svolge questa attività favorendo lo sviluppo di sponsorizzazioni da parte di aziende private, nonché le donazioni che ogni cittadino può fare in favore del patrimonio culturale italiano. L’associazione compie anche studi e ricerche attraverso comitati scientifici impegnati a predisporre modalità di defiscalizzazioni e di donazioni. «Riteniamo che la cultura sia il principale sostegno dell’economia in Italia, e che il futuro di questa sia legato al patrimonio culturale da cui derivano attività indotte di notevoli dimensioni nel settore del turismo–spiega Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi e della catena alberghiera SINA Hotels–. Il mio ruolo di vicepresidente di Civita nasce dalla mia professione di imprenditore in questo settore, perché i punti in comune sono notevoli. I turisti stranieri sono attratti dalla cultura italiana; una volta in Italia, si recano al mare, in montagna o alle terme. Per questo dobbiamo valorizzare il più possibile il patrimonio culturale e le opere d’arte».
Domanda. Civita ha appena compiuto 25 anni dalla sua costituzione. Con quali fini è stata creata?
Risposta. È nata nella convinzione che investire in cultura consente una crescita economica e sociale per il Paese. Un’intuizione rafforzatasi nel tempo insieme alla consapevolezza che una maggiore collaborazione tra i settori pubblico e privato nella conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale sia l’unica via per incrementare le risorse economiche, migliorare l’efficienza nella gestione e innovare i processi. Un bagaglio ideativo che, unito ad azioni di grande concretezza, ci ha posto fra i protagonisti della scena culturale italiana: oltre 200 progetti, indagini e pubblicazioni; più di 50 eventi e convegni annuali; 103 gestioni museali con 11 milioni di visitatori; oltre 50 mostre ogni anno e un fatturato complessivo di 69 milioni di euro. Le 10 imprese aderenti all’origine oggi sono 160, operano nei settori finanziario, assicurativo, energia, servizi, cultura, ricerca, comunicazione e tecnologia. Partendo dall’evento celebrativo dei 25 anni, del 21 gennaio, abbiamo avviato un ambizioso piano di comunicazione per ampliare la nostra comunità e avvicinare alla cultura un pubblico più vasto e differenziato. Una strategia mirata a rendere visibile il marchio «Civita» in tutti i luoghi e occasioni in cui opera e ad accrescere la consapevolezza e l’orgoglio per il nostro straordinario patrimonio culturale. Abbiamo coniato lo slogan «Arte a te» che caratterizzerà la firma Civita nelle iniziative dirette a coinvolgere chi non appartiene alla tradizionale audience culturale.
D. Quali iniziative state organizzando?
R. Quest’anno ci siamo concentrati soprattutto nella predisposizione di studi e di rapporti su come in Italia viene usato il patrimonio culturale rispetto a quello dei concorrenti e su come se ne dovrebbe migliorare la fruizione, al fine di presentare al prossimo Governo una proposta per la defiscalizzazione e la semplificazione burocratica delle donazioni ai musei. Abbiamo preso come esempio il Metropolitan Museum di New York in favore del quale spesso i visitatori compiono donazioni. Se un turista americano visitando gli Uffizi o il Colosseo facesse una donazione, riteniamo doveroso rilasciargli un attestato di socio sostenitore; ciò costituirebbe un incentivo per favorire la raccolta di fondi privati in un settore che negli ultimi anni ha subito un drastico taglio dei finanziamenti pubblici.
D. Com’è risultato lo scorso anno il turismo e quali prospettive ha?
R. L’Italia deve puntare soprattutto ai nuovi mercati costituiti dai Paesi emergenti caratterizzati da crescita economica, e che non sono soltanto Cina, Russia, Brasile, Corea. Il mercato giapponese si sta riprendendo, negli Usa dobbiamo migliorare le posizioni che già abbiamo. Purtroppo, con la riforma del Titolo V della Costituzione, è stata attribuita una competenza esclusiva alle Regioni in materia di turismo, per cui spesso la promozione del «prodotto Italia» è troppo frammentata. Finché operano in Europa, singole Regioni possono ottenere qualche risultato dall’investimento promozionale compiuto, ma una singola Regione che compie promozione in Cina, i cui abitanti a malapena sanno dove si trova l’Italia, disperde solo risorse.
D. Quindi il nostro Paese non è adeguatamente pubblicizzato?
R. È vero, ma noi abbiamo un problema strutturale, quello dei trasporti. Abbiamo un collegamento con la Cina credo pari a un decimo o un quindicesimo di quelli della Francia o della Germania; il collegamento con il Giappone è gestito solo in monopolio dall’Alitalia; andiamo a conquistare mercati nuovi ma non siamo in grado di portare i turisti nel nostro Paese. Il turista è costretto ad andare prima a Francoforte o a Parigi, poi a venire in Italia. Siamo svantaggiati pur avendo il Paese più bello e il patrimonio culturale più importante del mondo.
D. Cosa proporrebbe al nuovo Governo per rimettere in moto il turismo?
R. Dai nostri studi risulta che la fedeltà dei turisti stranieri da noi è più alta della media; chi viene in Italia conserva un bel ricordo della vacanza; il fascino del nostro Paese è invidiato da tutto il mondo; i disservizi passano in secondo piano, in nessun’altra parte del mondo uno straniero trova una città sull’acqua, come Venezia. Abbiamo vantaggi rispetto agli altri, ma i flussi turistici sono contenuti dinanzi a un’offerta molto alta. Disponiamo di 1.200.000 camere di albergo rispetto alle 550 mila della Francia e alle 750 mila della Spagna; per avere la stessa occupazione di camere degli altri Paesi, dobbiamo registrare il doppio dei turisti. I collegamenti ferroviari ad alta velocità sono straordinari da Torino a Napoli, ma a Perugia o ad Assisi il turista non può andare se non con l’automobile, perché i treni regionali impiegano ore.
D. E i collegamenti aerei con Perugia?
R. Perugia è collegata con Trapani, con Tirana e con Londra, ma non credo che da Tirana si registri un grande afflusso di turisti. La raggiungibilità della destinazione di vacanza è determinante nella scelta. A Sharm el-Sheikh in Egitto si arriva in 3 ore e mezzo di volo senza scali. Per giungere in troppe zone d’Italia occorre una giornata di viaggio. Bisogna promuovere non solo il turismo ma presentarci con tutte le carte in regola: moda, enogastronomia, patrimonio culturale. E dotare l’Enit, l’Ice e gli altri istituti di risorse finanziarie sufficienti; e realizzare infrastrutture che permettano ai turisti di raggiungere l’interno del Paese. Nel mio ruolo da senatore sosterrò la necessità di un Ministero unico per il turismo, la cultura e lo sport, che diverrebbe il più importante perché i fattori che riempiono gli alberghi sono i grandi eventi sportivi, le mostre e i musei. Lo scorso mese, in occasione del Sei Nazioni di rugby, a Roma gli alberghi erano pieni delle tifoserie di altre squadre.
D. Ma è un turismo ricco o povero?
R. È vario. Il turismo ricco c’è, ma bisogna andare a prenderlo. A Milano le grandi griffe della moda emettono un numero record di scontrini con il turismo cinese, perché ai cinesi piace lo shopping, non interessa la cultura; bisogna dare alla gente quello che desidera. L’Italia ha tutto. Non capivo perché molti cinesi vanno in Svizzera; me l’hanno spiegato in Cina: avendo la passione per gli orologi, vi si recano per comprarli. Allora diamo ai turisti quello che chiedono, e cultura a chi la cerca. Occorre una promozione mirata Paese per Paese. E dobbiamo puntare sul turismo di alta qualità e sui Paesi in grado di generare grandi numeri: Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Cina e Russia.
D. Esclude il mondo arabo?
R. Il turismo del Medio Oriente è interessato solo ad alcune destinazioni e ad alcuni tipi di alberghi. All’arabo piacciono Roma e Milano per lo shopping e la Sardegna; con gli investimenti compiuti in questa regione dal Qatar, si svilupperà il turismo in una certa area, ma si tratta di piccoli numeri e di poche destinazioni. Se riusciremo a svilupparlo bene, il mercato cinese potrà dare un consistente beneficio al nostro Paese, offrendo ad esso servizi adeguati, non solo l’albergo. La vacanza comporta tante esigenze; dall’arrivo all’aeroporto, taxi regolari e non abusivi, città pulite e illuminate, mangiare bene, strade senza buche, senza barboni e delinquenza.
D. Insomma industria o turismo?
R. Il nostro è un Paese di vacanza; mentre crediamo di essere un grande Paese industriale, le industrie si trasferiscono all’estero, restano le attività di servizi e dobbiamo attrezzarci per queste. Nel Mezzogiorno si è provato a sviluppare insediamenti industriali che sono stati un fallimento; lo sviluppo del Sud non può prescindere dallo sviluppo turistico perché vi sono regioni straordinarie che potrebbero vivere solo di questo. Ma se rileggiamo le leggi finanziarie degli ultimi 15 anni, non vi si trova nemmeno una volta la parola turismo; ci si è occupati di tutto, meno che di esso.
D. Come rilanciare il settore in un momento di spending review e recessione?
R. Dinanzi a una spesa pubblica di 830 miliardi di euro all’anno, quanto propongo costerebbe 50 milioni, somme che possono trovarsi, pensiamo all’Iva prodotta dalle attività indotte; oltretutto in Italia sul turismo l’Iva è del 10 per cento, in Francia del 5,5. Inoltre si pagano l’Irap e l’Imu. Secondo uno studio della Federalberghi, l’Imu sugli alberghi è più alta dell’80 per cento rispetto all’Ici; inoltre paghiamo l’Ires e la Tare sui rifiuti urbani, che entrerà in vigore il primo luglio. Sugli alberghi gravano imposte come se fossero residenze. Se pagassimo quanto gli altri, batteremmo tutti.
D. Quali saranno le sue proposte in particolare per il turismo?
R. Se riusciremo a rilanciare le imprese, queste ricominceranno ad investire, ad assumere disoccupati, avviando la ripresa; se continueremo a tassarle, proseguiranno a tagliare posti di lavoro e a non investire. Occorre agevolarle, detassare gli utili non distribuiti in modo che possano essere reinvestiti, defiscalizzare le assunzioni di giovani; invece si continua a tassare i soliti noti, non si fa una vera lotta all’evasione. Va eliminato il limite di mille euro per i pagamenti in contanti, in Francia e in Austria è 15 mila; poiché la legge consente di andare all’estero con 9.999 euro in tasca, l’italiano va in Francia e paga in contanti. Il limite impostoci è fuori della realtà; la sola circolazione di carte di credito è auspicabile, ma dovrebbe essere adottata a livello europeo.
D. Imporre le carte di credito non significa favorire le banche?
R. Quando stabilì il limite dei mille euro nei pagamenti in contanti, il Governo Monti si impegnò a rinegoziare le commissioni percepite da banche e società di carte di credito, perché le imprese non possono essere obbligate ad accettare solo questo tipo di pagamenti su ognuno dei quali devono corrispondere 3,5 euro. Comunque la norma non deve applicarsi solo all’Italia. Un tedesco in vacanza in Francia paga in contanti, in Italia deve pagare con carta di credito. Ad un’impresa italiana un finanziamento bancario costa il 7-8 per cento, ad una concorrente straniera lo 0,5; e per l’Iva da noi si paga il doppio. Senza strumenti adeguati non può competere, non si può costringerla a partire svantaggiata, deve battersi ad armi pari.
D. Il movimento «Le professioni per l’Italia» propone di scoraggiare i viaggi all’estero dei turisti italiani anche con sconti negli alberghi; che ne pensa?
R. Come provocazione, l’anno scorso proponemmo addirittura di concedere un beneficio fiscale a chi trascorre le vacanze in Italia, sotto forma di detrazione dalla denuncia dei redditi di parte della spesa effettuata per la vacanza, ma ci risposero che sarebbe stata un’infrazione delle norme europee perché si sarebbe concesso un vantaggio competitivo all’Italia rispetto agli altri Paesi. In un momento di crisi economica come la presente bisognerebbe cambiare le regole dell’Unione Europea. Gli Usa l’hanno fatto. Quando è stato introdotto il limite dei mille euro in contanti, abbiamo osservato che non si potevano penalizzare solo gli italiani rispetto al resto dell’Europa.
D. Che cosa avete ottenuto?
R. Siamo riusciti a farlo togliere per gli extracomunitari, per cui un russo o un americano in Italia può pagare in contanti, ma un tedesco, un inglese, un francese no. È la dimostrazione concreta dello scollamento tra la politica e l’impresa e dell’adozione di scelte ideologiche che creano un danno all’economia. Lo stesso per il turismo nautico: praticando il terrorismo con la tassazione sulle barche che ha fruttato un decimo di quanto si aspettavano, hanno indotto a trasferire la barca in Croazia o in Francia, ad avvantaggiare l’indotto all’estero. L’edilizia è in ginocchio, i costruttori neppure ritirano dai Comuni le concessioni per nuove realizzazioni, le banche non concedono mutui alle famiglie, e loro non riescono a vendere gli immobili, ma gli si fa pagare l’Imu sull’invenduto. Mentre l’evasione fiscale continua a prosperare.
D. Perché i Governi non hanno pensato a ciò, compreso il Governo Berlusconi presieduto da un grande imprenditore?
R. Secondo me, perché non hanno mai avuto persone che glielo spiegassero, e perché si sono limitati a considerare solo l’andamento del turismo a Cortina a Natale e in Sardegna a Ferragosto. E perché continua la convinzione che basta chiamarsi Italia per attrarre flussi di turisti da tutto il mondo. Mentre ci si cullava in questa convinzione, gli altri Paesi costruivano infrastrutture spesso con i fondi europei che noi non siamo riusciti ad impiegare per mancanza di progettualità. Gli altri Paesi hanno ottenuto anche i nostri; con essi la Spagna ha costruito aeroporti, autostrade, ferrovie, si è dotata di una rete infrastrutturale malgrado sia un Paese più in crisi di noi. E ci ha superato per flussi turistici, mentre non possiede alcun motivo per superare l’Italia.
D. Lei pensa di poter essere di aiuto almeno in questo settore?
R. Sono entrato in politica per cercare di avvicinarla ai problemi delle imprese, e in particolare del turismo; per portare avanti provvedimenti realmente utili alle imprese e soprattutto di effetto immediato, perché il rilancio del turismo e dell’indotto può contribuire a risollevare l’economia.
D. Come rilanciare il turismo se mancano infrastrutture adeguate?
R. Nonostante le carenze, riusciamo a sopravvivere. Se l’Alitalia si alleasse con qualche linea aerea di Paesi turisticamente interessanti, potrebbe aumentare la raggiungibilità del Paese; così pure se si riuscisse a risolvere, una volta per tutte, il problema dei visti turistici, perché per un russo o un cinese ottenere il visto per venire in Italia è molto più complicato che per andare in Francia; sembra che cerchiamo deliberatamente di non farli venire. È vero che per elaborare un piano di infrastrutture all’altezza degli altri Paesi occorrerà molto tempo, ma bisogna adottare subito qualche accorgimento. Le manifestazioni sportive e culturali sviluppano varie attività, occorrerebbe un organismo che candidi l’Italia ai grandi eventi internazionali.
D. Cosa ritiene necessario per superare una situazione di ingovernabilità?
R. Il Paese ha un urgente bisogno di riforme strutturali, i partiti dovrebbero trovare un punto d’incontro su 4 o 5 di esse e dar vita ad un Governo di larghe intese per traghettare il Paese verso una situazione più chiara di quella emersa dalle urne. Se si andasse di nuovo a votare con la stessa legge elettorale, si riprodurrebbero gli stessi problemi.   

Tags: Aprile 2013 turismo hôtellerie fisco

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa