Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

  • Home
  • Interviste
  • PAOLO RUSSO: TUTTO, O QUASI SUGLI AFFARI D’ORO DELLE ECOMAFIE

PAOLO RUSSO: TUTTO, O QUASI SUGLI AFFARI D’ORO DELLE ECOMAFIE

Rifiuti, immondizie, scarti, scorie: tonnellate di avanzi più o meno tossici, nocivi, maleodoranti, vengono espulse quotidianamente da residenze, uffici e industrie, trasformandosi miracolosamente, per misteriose strade, in una fonte di lucro, in una miniera d’oro per organizzazioni senza scrupoli che, incuranti del danno procurato all’ambiente e alla salute dei cittadini, le sottraggono al loro iter legale. Si calcola che i rifiuti diano luogo, in mano alla criminalità organizzata, a un giro di affari ammontante a circa 132 miliardi di euro l’anno. Il fenomeno è così vasto e pericoloso che il Parlamento ha sentito il bisogno di istituire una speciale commissione d’inchiesta sulle cosiddette «ecomafie». A presiederla è stato chiamato l’onorevole Paolo Russo, membro della commissione Ambiente della Camera. In questa intervista l’on. Russo illustra l’attività svolta dalla commissione, i risultati raggiunti, le conoscenze acquisite, i provvedimenti necessari e suggeriti al Parlamento e al Governo, le direttive europee. Emerge il quadro inquietante di un settore che condiziona la vivibilità dell’ambiente.

Domanda. Che cosa ha accertato la commissione da lei presieduta?
Risposta. Abbiamo accertato l’esistenza di una duplicità di azioni: da una parte le grandi organizzazioni criminali che controllano determinati territori e che, data l’esigenza di disporre fisicamente di luoghi adatti, svolgono in essi anche il traffico illecito dei rifiuti; dall’altra l’interesse, rilevato anche in indagini della magistratura, di vere holding del crimine che hanno sezioni dedicate a tale attività, e che sono collegate in qualche modo alla gestione lecita dei rifiuti urbani. In generale tale traffico riguarda, per la maggiore convenienza economica, i rifiuti speciali, derivanti dalle lavorazioni delle industrie. Negli ultimi anni la presenza di imprenditori senza scrupoli, interessati a conseguire utili ad ogni costo, pronti a violare le norme sulla salute dei lavoratori e sulla tutela ambientale, è diventata più pericolosa e dal punto di vista sociale più pervasiva di quella della criminalità organizzata.

D. Come avviene questo traffico?
R. Le ultime inchieste condotte da importanti procure italiane attraverso il Nucleo di tutela ambientale dei Carabinieri registrano un sistema di collegamenti tra imprenditori i quali, senza alcun trattamento chimico, fisico, biologico o meccanico, manipolando le bolle di accompagnamento quindi con una semplice certificazione cartacea, declassificano i rifiuti. Per cui, pur rimanendo sempre gli stessi, questi cambiano nominalmente la natura giuridica e possono essere riversati talvolta nel suolo come compost, talvolta nel sottosuolo, o addirittura vengono sparsi nei campi. Quest’azione criminale è molto più pericolosa perché è molto meno rilevabile ed è molto vicina alle pubbliche amministrazioni. Inoltre, mentre la grande organizzazione criminale è più visibile, più soggetta a denunce e, anche se incute paura, suscita una ripulsa sociale e istituzionale nei suoi confronti, le organizzazioni imprenditoriali di «colletti bianchi» interessate a lucrare guadagni abbattendo i costi suscitano minori riserve per cui anche le attività d’indagine diventano più complesse e difficili.

D. Quali indagini svolge la commissione da lei presieduta?
R. Ha avviato un esame approfondito di quello che riteniamo un nodo importante del traffico di rifiuti, Porto Marghera. Crediamo che in quell’area esista un sistema di entrata e uscita dei rifiuti; significative indagini lo confermano. Intendiamo conoscere a fondo quell’area per far luce su una parte importante del sistema. A tal fine abbiamo costituito una task force che si sta occupando di tutto ciò che entra o esce in quel porto misurando flussi, quantità e qualità, accertando destinazioni e caratteristiche, per comprendere il tipo di trattamento realmente attuato. Indagando a fondo su quel nodo riteniamo di scoprire i punti critici del nostro sistema.

D. A che cosa serviranno i risultati?
R. Il compito della commissione che mi onoro di presiedere non consiste soltanto in attività di studio e di analisi; essa ha anche il dovere di formulare proposte sul piano sia tecnico sia normativo. Quindi pensiamo di offrire alla Camera, al Senato, al Governo e alle Regioni soluzioni idonee, dirette a facilitare il rispetto da parte delle imprese delle prescrizioni in materia, e a istituire un meccanismo più severo nell’attività di controllo e di repressione delle violazioni. Constatiamo, ad esempio, che troppo spesso carichi di rifiuti stazionano immotivatamente in alcune aree del Centro-Sud; se si adottasse una soluzione telematica, dai costi peraltro sostanzialmente contenuti, consistente nell’inserire, nei contenitori di rifiuti speciali, microchip per seguirli e controllarli continuamente, si conoscerebbero con certezza i percorsi che compiono e i luoghi in cui si trovano; questo contribuirebbe a smantellare un’attività illecita alimentata dal sistema dei costi: infatti, più alti sono i costi per il recupero, il trattamento, lo smaltimento dei rifiuti, più alto è l’interesse della criminalità organizzata e delle imprese ai limiti della legalità di abbatterli in modo illecito.

D. Come è distribuita questa attività illecita in Italia?
R. Attraverso missioni, audizioni e altre iniziative abbiamo accertato che la maggior parte dei rifiuti speciali viene prodotta nel Nord Italia, dove è presente un grande sistema industriale. Una significativa parte di essi viene in qualche modo trattata in alcuni nodi, poi è inviata in luoghi di stoccaggio o smaltimento provvisorio, soprattutto in Emilia Romagna e in Toscana che rappresentano il primo tratto di un imbuto che si va restringendo, anche dal punto di vista geografico, dal Nord al Sud del Paese. Dopo essere stati sommariamente trattati e talvolta soltanto diluiti, e dopo impropri passaggi, li ritroviamo nel sottosuolo della Campania, nei greti dei fiumi, o come concime nei campi.

D. Come sono controllati questi rifiuti nelle aziende che li producono?
R. Un intervento che probabilmente dovrà essere realizzato consiste nel collegare in rete gli impianti industriali in modo da attuare un rigoroso controllo dei materiali che entrano, di quelli che vengono trattati, di come sono trattati, e di quelli che escono. Abbiamo un dato teorico: se un’impresa acquista una sostanza per una determinata lavorazione, noi già sappiamo in linea di massima le quantità e le qualità dei rifiuti prodotti; se estendiamo questo meccanismo a tutte le industrie, acquisiamo una capacità di controllo molto significativa. È quello che stiamo facendo a Porto Marghera, tenendo presente ovviamente che il problema dei rifiuti ormai non è più nazionale ma internazionale, e che è soprattutto di natura economica.

D. Quali sono le aree preferite per lo smaltimento?
R. Non appena un’area del mondo, in particolare del sud nel mondo, consente uno smaltimento a bassi costi, essa crea un’attrazione straordinaria che supera regole, leggi, penalità e controlli. Oggi il Sud-Est asiatico rappresenta drammaticamente un luogo naturale di attrazione di questi rifiuti, perché lo smaltimento a basso costo è reso possibile dalle scarse tecnologie esistenti ma anche dall’assoluta assenza di tutele ambientali e sanitarie. È necessario riflettere su queste vicende ed essere consapevoli che il nostro pianeta, ogniqualvolta viene insultato, prima o poi si vendica.

D. L’Italia importa rifiuti?
R. Oggi questo problema si pone sotto un altro aspetto, quello della grande quantità di prodotti fabbricati o assemblati all’estero, in particolare nell’Est asiatico, e venduti in Italia. L’aveva rilevato negli anni scorsi l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Siamo lontani dall’ipotizzare il ricorso a dazi, ma in considerazione dei rifiuti che tali prodotti creano va studiato un meccanismo di tutela affinché siano anch’essi oggetto di valutazioni di compatibilità ambientale. Importiamo masse ad alto contenuto di rifiuti speciali e non abbiamo adottato le misure previste da una direttiva europea in base alla quale chi produce un bene deve farsi carico, anche dal punto di vista finanziario, dell’onere dello smaltimento. Immaginiamo cosa accade in Italia. Ogni italiano, come ogni europeo, in media produce 15 chili l’anno di rifiuti tecnologici: lavatrici, computer, telefonini, televisori, registratori ecc. La direttiva europea, che il Parlamento sia pure in ritardo sta recependo, stabilisce che compete al produttore l’onere di smaltire; per cui si stanno avviando iniziative dal punto di vista normativo ma anche organizzativo per creare una rete che, partendo dal sistema commerciale ma contando anche sulla collaborazione del cittadino, consenta di recuperare questi materiali. La direttiva prevede anche un’altra novità: poiché l’onere dello smaltimento è a carico del produttore, sin dalla fase della progettazione questi è portato a usare materiali facilmente recuperabili.

D. Si può evitare che altri Paesi diventino pattumiere?
R. Per ragioni non solo di competitività ma anche di tutela ambientale dobbiamo preoccuparci che i rimedi adottati in Europa possano in qualche misura essere applicati in altre parti del mondo ove la sensibilità ambientale è ancora scarsa. Dobbiamo introdurre meccanismi di compensazione che consentano non tanto valutazioni di competitività, quanto la possibilità di produrre quei beni nel rispetto dell’ambiente e della salute dei lavoratori. Ma non basta sensibilizzare il sistema produttivo e commerciale, occorre una straordinaria attenzione alla tutela ambientale da parte del cittadino. Oggi lo scenario è ovunque lo stesso: lungo i corsi dei fiumi, sotto i ponti in città si accumulano rifiuti «hi-tech», frigoriferi, lavastoviglie ecc. Per evitarlo ogni Comune deve creare isole ecologiche che consentano un facile accesso e un facile recupero di materiali.

D. Quanto può contribuire la sensibilità ambientale?
R. È una molla efficacissima ma da sola insufficiente; deve avere un valore di mercato. Esperienze americane ma anche italiane indicano che le stesse aziende produttrici sono interessare al recupero sia pure parziale; negli Usa una parte probabilmente non ancora significativa ma crescente viene recuperata per impieghi diversi. Spinto dal marketing e dalla pubblicità, è in atto un consumismo esasperato che acuisce il problema dei rifiuti; rispetto ad esso abbiamo una possibilità di difesa, lo stile di vita: occorre pensare che alcune straordinarie comodità probabilmente nuocciono alla salute. Quella dei rifiuti sembra talvolta una questione fastidiosa, marginale, invece è centrale per lo stile di vita, il modello di sviluppo, le attività industriali.

D. Quali sono le norme riguardanti gli autoveicoli?
R. Abbiamo approvato una direttiva sui veicoli in base alla quale dal 2006 chi li costruisce deve smaltirli, fino al 2015 secondo determinati standard, successivamente recuperando il 95 per cento di essi. Gli ingegneri delle grandi fabbriche stanno già programmando auto con materiali dalla minore capacità d’impatto ambientale e più facilmente recuperabili anche dal punto di vista economico. Questo è l’impegno per i prossimi anni. Probabilmente nei passati decenni si era più sensibili alla conquista delle libertà civili, al recupero della democrazia; oggi la sensibilità massima è rivolta e deve rivolgersi alla tutela ambientale, e di ciò è consapevole il parlamento che ha introdotto questo impegno nella Costituzione. La mia commissione ha recentemente approvato all’unanimità un documento per sollecitare il Parlamento a prevedere il delitto ambientale nel codice penale.

D. Non è il caso di introdurre agevolazioni fiscali?
R. La leva fiscale può svolgere un ruolo importante nei progetti industriali e nei processi tecnologici. Stimolare con agevolazioni fiscali attività ecocompatibili e quindi con il minor danno possibile per l’ambiente favorisce le imprese e offre benefici significativi a chi opera e a chi ha prospettive di innovazione tecnologica. Ma nella gestione dei sistemi ambientali si è in presenza soprattutto di una carenza e di una pericolosa contrapposizione di controlli. Per alcune competenze il controllo del rifiuto spetta al Comune, per altre alla Provincia, per altre ancora all’Arpa e all’Anpa, rispettivamente Agenzia regionale e nazionale di protezione ambientale; poi sono competenti le forze dell’ordine. Troppo spesso queste competenze non si sovrappongono ma si si giustappongono, basta che una sola attività di controllo si allontani dall’altra per determinare lacune straordinarie. A un formalismo eccessivo sul piano cartaceo, poi, non corrisponde la sostanza. Se chiediamo ai maggiori enti ospedalieri se hanno mai verificato la destinazione dei loro rifiuti speciali, rispondono quel che risulta dal punto di vista formale, che è conforme alle norme e che è attestato dalla cosiddetta «terza bolla», che accompagna i rifiuti all’impianto di incenerimento o di termovalorizzazione, e che poi, timbrata, torna a loro. Non c’è un’azienda ospedaliera che verifichi quanto poi avviene.

D. È possibile superare le opposizioni delle popolazioni agli impianti di trattamento dei rifiuti?
R. Un tempo tutti i settori, giornali, politici, magistrati, forze dell’ordine, si occupavano dei rifiuti in misura marginale. Ora per fortuna c’è una sensibilità crescente per cui si comincia a comprendere che non è una questione di scarti maleodoranti, di cassonetti, di discariche inquinanti, ma è un problema economico di carattere mondiale che influisce sullo stile di vita, sulla vivibilità e sulla vita stessa dei cittadini. In Campania c’è una rivolta contro i termovalorizzatori; probabilmente sono mal localizzati, il sistema è creato male, ci sono errori che abbiamo anche rilevato; ma un dato incontrovertibile è che in Campania non c’è nessun termovalorizzatore mentre c’è la diossina nei campi; in Emilia Romagna invece ci sono 10 termovalorizzatori e non c’è la diossina nei campi. Questo vuol dire che un sistema industriale di gestione dei rifiuti non è un mostro: è una soluzione dal punto di vista ambientale ma è anche un volano di rilievo dal punto di vista economico. Oggi le aziende che operano nel settore ambientale incidono per centinaia di milioni di euro sull’economia del Paese. I preconcetti della gente derivano anche da errati metodi: certe scelte non si debbono imporre, i commissari non funzionano perché vengono da lontano e sono visti come imposizioni dall’alto. Bisogna far partecipare le popolazioni: allora si scopre che quelli che protestano sono poi i primi a collaborare.

Tags: ambiente tutela ambientale contrasto alla mafia rifiuti anno 2005

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa