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BARBARA ADAMI LAMI: MOTOROLA, OVVERO RICERCA, MERCATO E PERSONALE

BARBARA ADAMI LAMI MOTOROLA

Anno 1983, il mercato della telefonia mondiale conosce il Dynatac, primo telefono «portatile» - si fa per dire - della storia. A produrlo è Motorola, azienda nata negli Stati Uniti nel 1928, che fino a quel momento si era occupata, per lo più, di comunicazione radio. Il salto è di quelli che fanno venire i brividi: dai walkie talkie al primo telefonino mondiale, infatti, il passo è tutt’altro che breve. Motorola l’affronta senza dubbi e gli usi e i costumi di intere generazioni cambieranno in maniera irreversibile. Il vero boom, però, arriva nel 1989 con il MicroTac, un cellulare finalmente piccolo e leggero che irrompe sul mercato con la caratteristica forma a conchiglia che contraddistinguerà il marchio Motorola negli anni a venire.
Il resto è storia, i telefonini cambiano, aumentano i servizi e si passa, quasi senza accorgersene, dagli sms agli mms fino al telefono Umts. L’ultimo «telefonino-icona» Motorola è stato lanciato sul mercato lo scorso dicembre. Si chiama V3 ed è il più sottile attualmente in vendita, appena 13,9 millimetri. Alcuni giurano che avrà un successo addirittura superiore a quello registrato dallo StarTac, e i dati sembrano confermare questa impressione. Nella prima settimana di vendita il telefonino è andato completamente esaurito. Merito del design innovativo e delle caratteristiche tecnologiche che puntano dritte verso il futuro.
Tecnologia e design, sembra essere questa la ricetta vincente di Motorola. Un’azienda di professionisti con un’alta esperienza tecnologica provenienti da diversi settori. È questo il segreto di un Gruppo che, a giudizio dei più, è sempre in grado di prevedere il futuro e di anticiparlo. A parte le battute, non è un segreto per nessuno che Motorola abbia vissuto da protagonista i passaggi chiave dello sviluppo tecnologico degli ultimi anni. All’inizio l’obiettivo era quello di dare un telefonino ad ogni persona; oggi, con un mercato ormai al limite della saturazione, il traguardo sono i servizi aggiuntivi. E così Motorola cerca di offrire ad ogni utente il proprio telefonino. Rispondere alle esigenze dei clienti è diventata la parola d’ordine del Gruppo.
Ma Motorola è anche un’azienda che sta attraversando una vera rivoluzione interna. Per anni leader del mercato del telefonino, con quote prossime al 100 per cento alla fine degli anni 90 attraversa, uno dei momenti più bui. Scelte che non rispondevano alle esigenze dei consumatori e una concorrenza sempre più agguerrita mettevano il Gruppo in grave difficoltà. All’inizio del 2000, però, tutto cambia. La prima variazione sensibile riguarda il management, sia locale sia internazionale. Molti dirigenti se ne vanno e vengono sostituiti da personale esterno proveniente dai settori più vari. Quindi cambiano la comunicazione, il marketing e i prodotti, che diventano sempre più rispondenti alle esigenze del mercato. Nel 2004 l’ultimo grande cambiamento. Il Gruppo, fino ad allora gestito secondo una logica familiare, viene affidato ad Edward Zander, primo amministratore delegato di Motorola esterno alla famiglia Galvin.
Questa «ventata di aria fresca» tocca anche la struttura di Motorola Italia. Nel 1998 arriva Barbara Adami Lami, che viene nominata direttore delle Risorse Umane con il compito di invertire la rotta che si conclude con l’arrivo nel 2000 di Roberto Rossi, amministratore delegato. Gli ultimi quattro anni segnano un profondo cambiamento di tendenza e il fatturato della società si assesta su un trend continuo di crescita.
Oggi, in Italia, è l’azienda numero due. Questo ha accresciuto il peso della componente italiana all’interno del Gruppo. Un grande merito va attributo al laboratorio di ricerca che ha sede a Torino. Si tratta dell’unico centro di ricerca Motorola nella zona Europa-Asia-Africa in grado di progettare e sviluppare interamente software e hardware di terminali. Ad esempio alcuni cellulari Umts di Motorola sono stati sviluppati interamente a Torino. Ma un’altra fetta di merito va riconosciuta al management, capace di cambiare strategia e di condurre Motorola Italia verso il successo. Il gruppo dirigenziale può godersi il proprio successo, ma con un occhio sempre rivolto verso le nuove esigenze del cliente. Come la stessa Barbara Adami Lami racconta in questa intervista.
Domanda. Lei si occupa principalmente del personale. Che peso ha il capitale umano nella vostra azienda?
Risposta. Ogni volta che ci si trova a parlare di personale ci si imbatte in alcune affermazioni che potrebbero definirsi banali. Si dice, ad esempio, che il capitale umano determini il valore strategico e sia un fattore critico di successo delle aziende: questa frase, che vuol dire tutto e niente, secondo me si adatta in un modo peculiare ad organizzazioni che operano nel settore dell’innovazione tecnologica. Questo perché, quando noi pensiamo all’attività del personale, abbiamo presenti diversi aspetti che comprendono, ad esempio, la parte di carattere più strettamente amministrativo e di organizzazione. Una parte assolutamente vitale, ma che rappresenta ormai una base comune a tutte le aziende. Oggi non c’è più nessuna azienda che non presti interesse e non valorizzi la propria attività gestionale.
D. Dove, allora, questa componente aziendale viene a rappresentare un fattore distintivo?
R. All’interno delle aziende che operano nel settore tecnologico. Perché si tratta di un mondo con tempi di evoluzione molto più rapidi di altri e che, proprio per questo, necessita di un capitale umano con caratteristiche di flessibilità e di capacità di aggiornamento e di adattamento diverse. Rispetto ad altre organizzazioni, infatti, in queste aziende l’aspetto produttivo è secondario rispetto all’aspetto di ricerca e sviluppo. Non è possibile riuscire a competere in un mercato che sempre di più diventa competitivo senza sviluppare un ottimo settore dedicato alla ricerca e allo sviluppo. Quindi la qualità delle risorse umane che operano all’interno di queste aziende è sicuramente uno degli elementi maggiormente caratterizzanti. Non solo per Motorola, ma per tutte le aziende del settore.
D. Motorola ne ha fatto un proprio fiore all’occhiello?
R. Certo, e questo si rispecchia anche nell’organizzazione. Rispetto alle mie esperienze professionali precedenti, infatti, il livello di complessità dell’organizzazione di Motorola Italia è superiore. Anche se questo non si traduce immediatamente con un numero di dipendenti elevatissimo. Ciò accade perché la popolazione lavorativa in Motorola ha un grado scolastico elevato; abbiamo costruito a Torino un centro di ricerca e sviluppo in cui operano più di 300 ingegneri con fasce di esperienza varie, da giovani laureati a professionisti affermati. Questi ingegneri operano su aree di ricerca e di avanguardia. ed è evidente che la gestione di questa popolazione è molto complessa anche perché, misurandosi con la sperimentazione, è facile rendersi conto che, in alcuni casi, quest’ultima deve essere a ciclo continuo. La competizione di mercato, infatti, richiede una capacità sempre maggiore di creare, ad esempio, brevetti. A Torino, da quando è cominciata l’attività, ne abbiamo sviluppato un numero molto elevato. Comunque, per tornare al personale, mi preme sottolineare che questo tipo di popolazione non consente di usare sempre lo stesso modello di gestione. Il capitale umano, laddove c’è ricerca e sviluppo, è una delle chiavi del successo, a patto che venga gestito in maniera reattiva cercando di essere sempre all’avanguardia. Una persona che fa il mio lavoro non può rimanere ferma su competenze standardizzate. Questa è anche una delle ragioni per cui trovo estremamente affascinante lavorare all’interno della gestione delle risorse umane. Faccio un esempio che può chiarire meglio quest’ultimo concetto. Quello che stiamo scoprendo in questi anni è il fatto che le tecnologie che, fino ad oggi apparivano molto diverse e distanti tra di loro, si stanno muovendo sempre più verso punti di convergenza. Quello della convergenza, che è ormai diventato un concetto guida del, ha dei risvolti pratici anche nella gestione delle risorse umane. Il fatto di mettere, ad esempio, seduti vicini due ingegneri con competenze diverse significa creare una relazione per cui, se i due vanno a prendere il caffè, possono avere un’idea. Per cui capisco che dobbiamo avere i migliori ingegneri, ma anche che dobbiamo continuamente stimolarli. Sono personalmente convinta che il modo in cui queste persone vengono motivate e stimolate incide sulla creatività.
D. Quali dovrebbero essere le caratteristiche di un dipendente della Motorola?
R. Direi la creatività, con una matrice ingegneristica. Mi spiego. Motorola è un’azienda a matrice ingegneristica, la storia del Gruppo nasce innanzitutto dalla tecnologia e si evolve verso prodotti che sono quasi, se non del tutto, di largo consumo. Quindi la capacità delle sue persone è quella di passare attraverso un’impostazione metodologica forte, attraverso procedure e processi, arricchendola con aspetti di creatività. Perché l’idea, comunque, viene nel momento in cui c’è la creatività.
D. Nell’immaginazione collettiva l’ingegnere non è ritenuto proprio il contrario della creatività?
R Credo che ci sia stata una trasformazione significativa delle caratteristiche delle persone che operavano all’interno del settore della telefonia cellulare inserite nell’area commerciale. Se pensiamo a cinque anni fa le persone avevano tutte delle provenienze tecniche. Oggi, al contrario, hanno prevalentemente esperienze professionali nel settore del largo consumo. Quindi credo vi sia stata una trasformazione significativa, conseguenza della cambiata percezione del prodotto da parte del mercato. La politica da seguire con il personale può consistere nell’attendere che i prodotti offerti diventino di largo consumo, quindi proporre ad esso di impegnarsi in un’attività diversa: al contrario, può essere una così totale partecipazione all’attività principale da ipotizzare innesti che all’inizio possono sembrare curiosi, ma che nel tempo daranno risultati. Per noi l’esperimento di avere persone provenienti dal largo consumo è stato un’esperienza di grande successo, anche perché siamo riusciti a farlo nel momento in cui ci siamo accorti che il mercato cambiava. Ecco un altro elemento distintivo, una caratteristica importante: la capacità di anticipare il mercato. Quanto più le persone che coordinano le risorse umane sono sempre attente e interessate a ciò che accade, tanto più possono essere utili all’azienda. Se non lo sono, mi domando perché un’azienda le tenga ancora. Anche perché entrano a far parte dei cosiddetti costi fissi con scarsa produttività.
D. Che peso ha la creatività italiana all’interno di un gruppo mondiale come Motorola?
R. Torniamo ancora al discorso del capitale umano. Spesso la capacità di influenzare le linee strategiche di un’azienda è data sia dalle dimensioni degli affari - e devo dire che l’Italia ha un ruolo primario nella penetrazione della telefonia cellulare -, sia anche dalle persone. Per Motorola l’Italia ha un peso rilevante che le deriva sia dalla propria fama nel settore del design che da quella di alcune università scientifiche. Non dimentichiamo, inoltre, che è un Paese molto affascinato dal telefono come oggetto, e questo fa sì che possiamo prevedere fenomeni che non si siano ancora sviluppati in altri Paesi.
D. Quali sviluppi immaginare oggi?
R. Quello che mi sembra ragionevole pensare e prevedere, ma di cui non ho ancora individuato i tempi, è il fatto che la nostra vita cambierà, e cambierà soprattutto perché le tecnologie a disposizione consentiranno di fare molte più cose in molti luoghi diversi. Il fatto di poter essere collegati alla propria casa mentre si è in giro nel mondo, la possibilità di poter controllare il proprio sistema di allarme ovunque si sia, di continuare ad avere la visione di un unico evento passando dalla macchina alla casa e dalla casa all’ufficio, secondo me modificherà il modo di vivere e lavorare. Il concetto dell’ufficio come posto nel quale ci si reca tutte le mattine potrebbe, in un mondo ideale, non so quando, essere smontato. In questa situazione, ogni tanto, la sensazione che ho è che la tecnologia sia più avanzata rispetto al grado di preparazione che abbiamo. Per questo possono esistere forme di diffidenza. Quando penso a queste possibilità, le associo al concetto di «rete». Quanto ognuno di noi sia preparato ad affrontare questa trasformazione e ad immaginare le conseguenze, credo sia uno dei grandi temi che dovremo affrontare.
D. Come la tecnologia ha cambiato la sua vita?
R. Quello che mi sembra più curioso è che oggi uno sale in macchina e lì comincia la giornata lavorativa. Grazie alle tecnologie la giornata lavorativa viene esasperata. I telefoni continuano a suonare, le e-mail arrivano a qualsiasi ora del giorno e della notte e, alla fine, uno si collega quando può e dove può. Vedo questa trasformazione con positività perché consente, ad esempio, di andare a prendere i figli all’asilo sapendo che alcuni lavori potranno essere eseguiti al rientro a casa, la sera.
D. Non ha ragione chi vede con preoccupazione questa eccessiva presenza delle tecnologie nella vita?
R. Credo che la soluzione risieda nella capacità delle persone di gestire i mezzi e di evitare di essere sovrastati dalla tecnologia. Questa, infatti, è uno strumento che bisogna saper usare e controllare. Faccio un esempio. Io faccio un gran uso del telefono al lavoro, sono sempre disponibile per consigli ed emergenze ma in alcune fasce orarie lo spengo per poter separare la vita lavorativa da quella privata. Quindi, anche il modo che abbiamo di porci di fronte a certe tecnologie impone una sorta di scelta. Ognuno sceglie come comportarsi in alcune situazioni, credo che anche di fronte alle tecnologie sia necessario porsi dei limiti.
D. Come descriverebbe se stessa?
R. Una quarantenne curiosa che ha sempre cercato di mettersi nelle situazioni in cui poteva trovare divertimento, e ha sempre cercato di trovarlo anche nelle situazioni che apparentemente non ne riservavano. Sono una persona dal bicchiere mezzo pieno e mi piace quando è tutto pieno specialmente di un buon vino rosso barricato. Ho fatto scelte che possono sembrare curiose. Ho una laurea in Lettere che avevo deciso di prendere per il semplice fatto che mi piaceva e sono arrivata oggi alla conclusione che, tanto più una persona è motivata e interessata a qualcosa, tanto meno conta quello che ha fatto. La voglia e la motivazione unite a un po’ di buon senso solitamente portano al raggiungimento dei risultati. Sono sicuramente molto disponibile nei confronti delle opportunità che mi vengono offerte dalla vita.
D. Perché ha scelto Motorola?
R. Per curiosità. Avendo una laurea in Lettere ho avuto un iter professionale che non era quello tipico di chi, con la laurea conseguita in Bocconi, entra in una multinazionale americana. Vi sono arrivata attraverso esperienze molto diverse. Ho lavorato nella consulenza all’inizio, poi nell’editoria, nel settore del credito e infine sono passata al largo consumo. Ad un certo punto mi hanno offerto di entrare in Motorola e devo dire che una delle ragioni per cui ho accettato consisteva nel fatto che mi sembrava di aver conosciuto vari settori, ma non quello tecnologico.

Tags: telecomunicazioni telefonia smartphone anno 2005

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