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GIUSEPPE VADALÀ: ALIMENTI E AMBIENTE, COME GARANTIRNE LA SICUREZZA

Giuseppe Vadalà, Sicurezza Agroalimentare e Agroambientale del Corpo Forestale dello Stato

a cura di ANNA MARIA CIUFFA    

Ai consumatori devono essere assicurati prodotti sicuri e di alta qualità e quindi deve essere controllato ogni singolo anello della catena alimentare nel percorso dal campo alla tavola. È il principio cui si ispira la direttiva emanata lo scorso anno dal ministro per le Politiche agricole Luca Zaia, basata sulla cosiddetta «tolleranza zero» verso le sofisticazioni, adulterazioni, violazioni nel settore agroalimentare. «Tolleranza zero» resa ancora più necessaria dalla globalizzazione dei mercati internazionali che consente l’afflusso sul mercato di enormi quantitativi di derrate alimentari prodotte a bassissimi costi ma non altrettanto sicure per la salute di masse di consumatori. Oggi, avverte il Corpo Forestale dello Stato, la sicurezza non è più solo quella di tipo militare, economica, finanziaria, energetica, ma anche alimentare e ambientale; e proprio a tale Corpo, oltreché ad altri organi dello Stato, spetta il compito di garantirla. In questa intervista spiega come ciò avvenga Giuseppe Vadalà, responsabile della divisione Sicurezza agroalimentare e agroambientale del Corpo Forestale dello Stato, una struttura impegnata tutto l’anno, giorno e notte, nella lotta contro contraffazioni alimentari, sofisticazioni, falsificazioni, importazioni di derrate di dubbia provenienza, ottenute con sistemi e materie pericolose per la salute, dannose, a causa della concorrenza sleale, per l’immagine dei prodotti nazionali e per le aziende produttrici.

Domanda. Nei mercati affluisce oggi una crescente quantità di prodotti agroalimentari stranieri. Come garantirne la sicurezza per i consumatori?
Risposta. La globalizzazione dei mercati ha aumentato la concorrenza e contribuito alla diminuzione dei costi e quindi dei prezzi ma, considerato che tali prodotti provengono da aree situate non a qualche centinaio bensì a migliaia di chilometri di distanza, un obiettivo prioritario è quello di garantire al consumatore la sicurezza sia delle materie prime prodotte in altri Paesi, sia dei processi tecnologici, impiegati oggi nelle produzioni a differenza degli anni passati. In Italia il livello dei controlli è molto elevato rispetto ad altri Paesi. I controlli devono essere principalmente preventivi e vanno attuati sia all’ingresso delle materie prime sia quando queste vengono lavorate nel territorio nazionale. Tre Ministeri si occupano di questo: quelli delle Politiche agricole e forestali, della Salute, e dell’Economia e delle Finanze, quest’ultimo attraverso l’Agenzia delle Dogane e la Guardia di Finanza. Inoltre l’Italia fa parte di un sistema europeo di allerta in campo agroalimentare, per cui ogni anomalia segnalata in uno dei Paesi membri dell’Unione Europea viene comunicata a tutti gli altri e scattano l’allarme e la prevenzione ai più alti livelli. All’interno dell’Unione per i prodotti agroalimentari vige un sistema analogo a quello istituito con gli Accordi di Schengen per la libera circolazione delle persone, per cui nel momento in cui per gli alimenti si è aperto il mercato europeo, si è reso necessario aumentare i controlli per garantire la qualità dei prodotti e la salute dei consumatori. Nel 2009 il Corpo forestale dello Stato, sulla base delle direttive del ministro, ha aumentato del 250 per cento i controlli effettuati sul territorio nazionale (da 1.174 si è passati a 4.167), e del 100 per cento gli illeciti amministrativi contestati (da 161 a 342) e i reati accertati (da 29 a 75).

D. Può considerarsi superata la PAC, ovvero la politica agricola comunitaria diretta a tutelare gli interessi dei coltivatori e pertanto anche dei consumatori?
R. La PAC ha garantito per un lungo tempo l’autosufficienza nella produzione delle principali derrate alimentari; ci si era illusi di poterla mantenere, ma non è possibile. L’Europa ha bisogno di importare una consistente quantità ad esempio di grano. L’Italia è tra i principali produttori di pasta e ha bisogno di una quantità di frumento che non ha; sulle autostrade un tempo si incontravano colonne di Tir di pomodori che trasportavano pomodori dai luoghi di produzioni del Sud a quelli di trasformazione nel Nord del Paese; ora vanno in direzione opposta non perché siano prodotti in Liguria o in Toscana, ma perché vengono scaricati nei porti ingenti quantitativi, destinati alla lavorazione in Italia.

D. Quale è la causa di ciò?
R. Principalmente il costo della manodopera, in Italia più alto che in molti altri Paesi emergenti, e quindi la forte concorrenza straniera. Per garantire la sicurezza dei prodotti agroalimentari esiste in campo internazionale il Codex Alimentarius, basato su criteri dettati dalla FAO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al quale tutti i Paesi del mondo si attengono. In base al Codex Alimentarius, se un prodotto risulta non sicuro tutta l’Europa lo blocca alle frontiere, e questo dovrebbe avvenire negli altri Stati, ma ciò dipende dall’organizzazione di ogni Paese; ogni Stato ha un proprio livello di controlli. Quindi il Codex è l’indispensabile presupposto normativo internazionale, ma non basta.

D. Come si controlla la sicurezza dei prodotti stranieri?
R. In Italia le verifiche sulle importazioni vengono fatte a volte a campione, quando le derrate entrano in quantitativi massicci; ma esiste tutta una filiera di controlli, di competenza del Ministero della Salute e dei veterinari, compiuti negli allevamenti e negli stabilimenti di lavorazione. Comunque per la sicurezza agroalimentare occorre anche una maggiore coscienza e conoscenza da parte di tutti. In Italia siamo stati abituati a produrre quasi tutto ed è molto diffusa la passione per la cucina; quindi siamo abbastanza sicuri che tutto venga effettivamente prodotto in maniera salutare. Ma la globalizzazione, ossia l’apertura dei mercati internazionali e la maggiore facilità dei trasporti, ha totalmente modificato la situazione in ogni settore. Oggi dobbiamo convincerci che mangiare tanto e male non giova alla salute; occorre mangiare meno e meglio, anche spendendo qualcosa in più. Comunque esistono prodotti alimentari che si possono comprare a buon prezzo.

D. Quali esempi può suggerire la vostra esperienza?
R. Per accertarne la destinazione, recentemente abbiamo controllato uno stock di 20 tonnellate di castagne cinesi giunte in Italia; abbiamo scoperto che possono anche essere usate, una volta trasformate, in farine come alimento negli allevamenti. Dobbiamo controllare che quelle che finiscano sulle nostre tavole siano sicure. Negli anni scorsi abbiamo accertato che nel peperoncino veniva introdotto un colorante nocivo per la salute, e l’abbiamo fatto ritirare immediatamente dal mercato. Proprio in queste settimane abbiamo bloccato un lotto di propoli contaminato con antiparassitari non più consentiti dall’Unione Europea. Per la sicurezza alimentare non c’è altro rimedio che aumentare la prevenzione, conoscere gli elementi contaminanti che si nascondono nelle derrate, e che si rivelano soltanto con le analisi chimiche.

D. Si può migliorare il sistema dei controlli?
R. Si tratta di un sistema complesso; oltre ai tre Ministeri indicati, esiste anche un Comitato apposito che ne coordina le attività. Dobbiamo studiare cosa si può fare di più; certamente si può migliorare il coordinamento, il che è abbastanza semplice. Bisogna soprattutto indagare se dietro le frodi agroalimentari si nascondano grandi speculazioni e ingenti guadagni, favoriti dal fatto che i rischi sono molto limitati. Le sanzioni sia per le contravvenzioni amministrative sia per i reati in questo campo sono piuttosto esigue. Occorrono norme più severe che ci permettano di colpire in modo più efficace. Un’inversione di tendenza si è registrata con l’emanazione della legge 99 del 2009, che ha introdotto nel codice penale il reato di contraffazione dei prodotti agroalimentari, e che ha innalzato il livello di deterrenza. Con la stessa legge è stato previsto il rafforzamento delle azioni volte alla tutela della qualità delle produzioni agroalimentari, della pesca e dell’acquacoltura, nonché per il contrasto delle frodi in campo agroalimentare e nella filiera ittica, attraverso le attività svolte dagli organi di controllo del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali tra cui il Corpo Forestale dello Stato.

D. Cosa può fare il consumatore per la sicurezza agroalimentare?
R. In una società così complessa e ad alto rischio di illegalità la collaborazione del cittadino con tutte le forze dell’ordine è essenziale per rendere la vita più serena. Il Corpo Forestale dello Stato è a disposizione dei cittadini 24 ore al giorno al numero telefonico 1515 per ricevere segnalazioni relative ad illeciti ambientali e agroalimentari. Ogni anno in Italia compiamo migliaia di controlli agroalimentari, e ogni nostro intervento rasserena il consumatore. Quando fanno la spesa, i cittadini devono fare attenzione alle scadenze; l’etichettatura della carne, che consente di conoscerne l’origine, prima del manifestarsi nel 2002 della BSE o encefalopatia spongiforme bovina, non esisteva; oggi si assiste ancora a casi di macellazione clandestina, che colpiamo duramente. L’etichettatura ci permette di compiere i controlli, ma se non c’è alcun obbligo di indicare l’origine, almeno su alcuni alimenti, cosa possiamo controllare?

D. Che cosa intende dire?
R. Che dobbiamo chiederci perché nel 2010 non esiste ancora in tutti gli alimenti l’obbligo dell’indicazione dell’origine di essi o delle materie prime con cui sono prodotti. Prima della globalizzazione dei mercati non se ne sentiva l’esigenza, i pomodori erano prodotti in Italia, era impensabile che le uova per preparare i dolci giungessero dalla Cina, il pangasio dal Vietnam, le cagliate per preparare le mozzarelle anche dalla Lituania. Occorre, quindi, una maggiore presa di coscienza da parte dei consumatori, della pubblica opinione in generale, per richiedere controlli maggiori, per sapere se la mozzarella di bufala che si compra proviene da Napoli, dalla Germania o dalla Lituania.

D. In quale modo si può impedire questa confusione?
R. Ovviamente è impensabile limitare il commercio, pretendere che la Cina non si sviluppi economicamente con la propria capacità di crescita, imporre ad essa, al Brasile o al Sudafrica di produrre di meno perché danneggiano troppo; si può però chiedere loro di produrre secondo le regole, di adeguare le legislazioni nazionali, consentire la rintracciabilità, questioni che riguardano tutti i Paesi, anche il nostro come abbiamo visto per alcune tipologie di alimenti, pena la chiusura delle singole aziende. Il punto nodale è l’obbligo di rintracciabilità degli alimenti, che già esiste per esempio per la carne e per il pesce. Se aumenta la sicurezza dei consumatori, l’etichettatura tutela anche i produttori perché consente loro di spuntare prezzi maggiori per chi affronta maggiori sacrifici imprenditoriali per creare prodotti alimentari di qualità. La sicurezza e la qualità degli alimenti deve essere monetizzata, deve valere economicamente di più.

D. Nella stessa Unione Europea, però, si incontrano difficoltà e ostacoli. Per quale motivo?
R. In effetti anche di recente, quando in Italia è stato messo a punto il decreto sull’olio, esso ha trovato qualche ostacolo. Questo si spiega con l’esigenza di non restringere la concorrenza. Anche altri Paesi europei vantano prodotti di eccellenza, per cui il miglioramento di quelli italiani non deve danneggiare il libero mercato, necessario per di più perché consente di avere prezzi minori. Dobbiamo favorire la concorrenza grazie alla riduzione dei costi, ma bisogna conoscere come questo sia possibile, cosa vi sia dietro i prodotti provenienti da altri Paesi. Anche noi esportiamo prodotti agroalimentari e il consumatore straniero deve sapere cosa contengono.

D. Il Corpo Forestale ha anche il compito di tutelare l’ambiente. Come si raccordano le due attività?
R. Dobbiamo tutti imparare a convivere con il problema ambientale perché, anche se non potremo riavere un pianeta come duemila anni fa, lo sviluppo sostenibile è un obiettivo da perseguire in pratica ogni giorno anche dal punto di vista etico. Il territorio italiano è per il 70 per cento montano o collinare; se abbandonate, montagne e colline prima o poi franano, abbattendosi in aree abitate; abbiamo quindi il dovere di fermare il fenomeno non solo per noi, ma per le nuove generazioni. A tal fine, oltre a quella produttiva, la funzione principale del bosco è idrogeologica e consiste nel tenere ferma la terra. Ecco perché i problemi della sicurezza ambientale e agroalimentare sono strettamente connessi.

D. In che senso?
R. Nelle aree di montagna e di collina in cui c’è sviluppo economico non c’è degrado, e le popolazioni vi restano. Strettamente legato a ciò è anche il problema degli incendi boschivi, che si moltiplicano dove non c’è l’interesse economico dell’uomo e subentrano l’abbandono di terreni e il degrado. Lo Stato può concedere qualche incentivo ma è impensabile che possa accollarsi il costo della difesa idrogeologica per milioni di ettari. Occorre far sì che contadini, agricoltori, allevatori, restino nelle colline e nelle montagne. La presenza di immigrati che svolgono i lavori che gli italiani non vogliono più fare è utile ma non basta, dobbiamo stimolare in tali zone produzioni di eccellenza, il made in Italy da esportare rappresentato oggi da 194 prodotti con marchio a denominazione o indicazione geografica protetti dall’Unione Europea, per consentire che un maggior numero di persone resti in tali territori. Con il turismo, l’agriturismo, le produzioni agro-silvo-pastorali ed altro dobbiamo creare in queste zone le condizioni per lo sviluppo, non dobbiamo bloccarlo solo perché in montagna non si deve toccare nulla. Dobbiamo aiutare la piccola proprietà terriera boschiva e agricola, il piccolo coltivatore diretto, il contadino. La tecnologia può aiutare perché consente a queste categorie di restare a contatto con l’innovazione più spinta e di progredire economicamente nello stesso modo del settore industriale.

D. Occorre riabilitare e resuscitare l’agricoltura?
R. Ci eravamo illusi che l’industrializzazione potesse soddisfare il fabbisogno agroalimentare, ma non è stato così. L’agricoltura costituisce tuttora un’attività vitale, innanzitutto per i solidi valori etici che conserva, quindi per l’economia, la salute, l’indipendenza dall’estero, il benessere della popolazione. Il territorio rurale non va abbandonato e degradato; se riusciremo a ricostituire i boschi aiuteremo l’agricoltura, salvaguarderemo il territorio, ridurremo l’anidride carbonica e l’inquinamento atmosferico, eviteremo gli incendi di terreni incolti. Non sono azioni semplici né facili, perché per esempio abbiamo gli Appennini, ossia aree montuose di difficile coltivazione, dal clima sfavorevole e condizioni disagiate che giustificherebbero un aiuto e un sostegno per chi vi resta.

D. Come è organizzato e quali sono le esigenze del Corpo?
R. Non facciamo parte della cosiddetta «cultura del lamento», ma piuttosto è importante la cultura dal coordinamento. Coordinando le forze siamo più efficaci. Numericamente siamo pochi in tutto il territorio nazionale, abbiamo il compito di contribuire a garantire la sicurezza ambientale e alimentare e operiamo anche per la protezione civile. Complessivamente il Corpo conta 9 mila unità facenti capo a 1.100 stazioni e a 120 tra comandi provinciali e regionali. All’inizio della carriera una guardia forestale percepisce 1.100 euro netti al mese e solo dopo 20 anni di servizio potrà raggiungere una retribuzione di 1.600-1.800 euro. Il lavoro è appassionante, perché consiste nel risolvere i problemi della gente. I nostri comandi e le nostre stazioni si trovano in zone montane nelle quali a volte non sono presenti altre forze di polizia; i nostri uomini presidiano il territorio, hanno un grande attaccamento al lavoro, la gratificazione economica non è per loro il primo obiettivo.

D. Come ridurre il divario tra i prezzi all’origine dei prodotti agroalimentari e quelli al consumatore?
R. Spesso la grande distribuzione organizzata, che oggi è il principale attore sul mercato, fissa i cartellini consentendo ai consumatori di acquistare a prezzi relativamente contenuti. La gente compra dove i prezzi sono bassi. Per l’olio avviene proprio questo: grazie ad annate di sovraproduzione e alla grande concorrenza si riesce a comprarlo al banco addirittura anche a 2,50 o 3 euro al litro. Ma il consumatore va messo in condizione di poter scegliere fra un olio da 3 euro e uno da 10; deve conoscere tutta la scala, perché ha capacità di spesa diverse. Al consumatore va detto se il prezzo dell’olio che compra è giustificato. E questo possiamo farlo solo con i controlli. Non si può offrire l’olio extravergine di oliva a 2,50 euro al litro o una bottiglia di vino con etichetta a un euro perché esistono limiti per la salute umana e di qualità al di sotto dei quali non si può scendere.

D. Per facilitare il vostro lavoro occorrono nuovi interventi legislativi?
R. Per ottenere una maggiore sicurezza alimentare occorrono norme più cogenti che ci consentano di compiere più indagini e di attuare una maggiore prevenzione nei riguardi di frodi sottili e ben nascoste, che richiedono adeguati mezzi investigativi; attualmente questo tipo di reati ha compiuto un rilevante salto di qualità. La nostra risposta deve essere adeguata a questi maggiori rischi per la tutela della salute dei consumatori e della legalità del mercato per i produttori.

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