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LOUIS GODART: NEL QUIRINALE OGNI CITTADINO DEVE SENTIRSI A CASA PROPRIA

Louis Godart Quirinale

a cura di ANNA MARIA BRANCA

Lo diceva Freud che l’inconscio è come un sito archeologico: scavando, si rinvengono i vari stadi della crescita e si può risalire ai momenti di sviluppo precorsi, anche e soprattutto con intenti migliorativi. Allora Louis Godart può a tutti gli effetti considerarsi lo psicanalista del Quirinale poiché da 8 anni scava per ritrovare quei reperti che hanno reso il più alto colle di Roma, e il palazzo che lo rappresenta, ciò che è oggi. Questo scavatore giunge dalla zona collinare tra la Francia e il Belgio ma, prima di passare dalle colline al colle, è in Grecia che, per ben 40 anni, si dedica all’archeologia. Il Mediterraneo gli consegna, fiducioso, i propri misteri facendosi spogliare da un esperto che non si fa tentare dalla speculazione e che lo stesso Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale vuole come consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico della Presidenza della Repubblica. Anche il colle si affida all’umanità dell’umanista come Godart e gli confida i suoi segreti, perché lui li interpreti e li restituisca ai cittadini, anche attraverso le sue pubblicazioni e rendendo accessibile tale patrimonio a tutti coloro che vogliano conoscerlo e comprenderlo.

Domanda. Come è giunto in Italia?
Risposta. La mia è una storia tipicamente europea: sono nato in un piccolo villaggio delle Ardenne, ho studiato Lettere e Filosofia in Belgio e in Francia, ho condotto missioni archeologiche scavando in Grecia per 40 anni e, nel 1973, l’università Federico II di Napoli mi offrì una cattedra, quella di Filologia micenea, presso la facoltà di Lettere e Filosofia, che mantengo da più di trent’anni. Accettando, ho ottenuto la cittadinanza italiana. Veramente mi sento cittadino europeo. Sono rimasto affascinato dal Mediterraneo per un motivo molto semplice: è la culla della nostra civiltà ed è attraverso l’esperienza congiunta di Atene e Roma che l’Europa è divenuta ciò che è.

D. Che cosa del Mediterraneo ritiene fondamentale?
R. L’essere un luogo dove prima di tutto si è imposto, attraverso mille vicissitudini, quel modo di vivere che si chiama democrazia, una conquista che va al di là dei limiti legati ai singoli sistemi politici; e l’essere un mare che, nel corso dei millenni, ha saputo avvicinare le culture più varie.

D. Com’è salito sul colle Quirinale?
R. Lavoro per la Presidenza della Repubblica dal 2002, un’esperienza affascinante. Conoscevo l’allora presidente Carlo Azeglio Ciampi e a lui, che ha una formazione filologica molto sensibile a tutto quello che riguarda l’antichità greco-romana, avevo parlato dei miei scavi e delle mie ricerche. Spesso ci siamo confrontati sulla cultura classica e nel febbraio del 2002 mi ha proposto di lavorare con lui; ho esitato, poi mi sono lasciato convincere e non me ne pento, perché al Quirinale ho cercato di mettere in pratica ciò che avevo imparato nei vari cantieri di scavo durante la mia quarantennale esperienza in Grecia, anche cercando di scoprire le antiche pagine della storia del palazzo. Il presidente Giorgio Napolitano mi ha confermato nell’incarico.

D. Lei ha pubblicato dei volumi completi, ricchi di fotografie, nei quali descrive dettagliatamente il Quirinale nei suoi vari aspetti, architettonici, pittorici, storici. È stato arduo?
R. Affatto. Il Quirinale è un palazzo che ha poco meno di 500 anni di vita. In mezzo millennio di storia esso ha rappresentato per Roma, per la cristianità e per il mondo il palazzo dell’auctoritas in quanto palazzo dei papi e dei re d’Italia, oggi sede della massima magistratura dello Stato repubblicano e unico palazzo nel mondo che per tanto tempo e senza alcuna soluzione di continuità è stato al centro delle vicissitudini politiche e religiose a livello mondiale. Questo significa che tutti i padroni di casa hanno tentato di abbellire la costruzione ed è ciò che conferisce al Quirinale uno straordinario fascino: è il palazzo dove ognuno ha cercato di dare il meglio di sé per renderlo emblematico di un determinato momento culturale.

D. Come si inserisce in tale sviluppo il patrimonio architettonico e ambientale del centro storico di Roma?
R. Il complesso del Quirinale fa parte della storia di Roma. Qui nell’antichità avevamo grandi ville aristocratiche, e gli antichi Romani, sotto la Repubblica e sotto l’Impero, avevano già un affetto particolare per esso, il più alto dei colli di Roma, anche legato al culto estremamente antico del dio Quirino, una divinità tipicamente latina che si ricollega ai culti della fertilità. Ma prima di tutto un luogo ameno, dove c’erano vigne e dal quale si dominavano tutti gli altri luoghi della città eterna; per questo motivo gli antichi Romani hanno scelto molto spesso di costruirvi le loro grandi ville aristocratiche. Il colle è stato particolarmente corteggiato dagli imperatori: al posto di quella che oggi è la Corte costituzionale erano site le Terme di Costantino ed è da queste che provengono le due splendide statue dei Dioscuri che abbelliscono la piazza intorno all’obelisco. Esso affonda le radici nella storia di Roma ed è mirabilmente inserito nel panorama urbano e culturale della città.

D. Quando iniziò il momento «religioso» del Quirinale?
R. Dal 1583 i papi scelsero di evadere dall’afa vaticana, e soprattutto dalla malaria, nei mesi estivi, per trasferirsi prima pro tempore, poi in modo duraturo sul colle del Quirinale.

D. In che modo compie il suo intervento di riscoperta del patrimonio culturale del Quirinale?
R. Riscoprire le antiche pagine della storia di questo palazzo vuol dire aprire un libro e leggerne le varie stratigrafie tentando di non cancellare determinate fasi storiche ma rispettando i vari momenti, limite complesso ma reso di minor attrito dalla bravura dei nostri restauratori: l’Italia è, in questo, apprezzabile per la maestria nel restauro delle opere d’arte, non a caso corteggiata da tutti quei Paesi del mondo che intendono salvare una parte della propria memoria affidandone il restauro. Da una parte utilizziamo per il Quirinale le scuole italiane di restauro, centri di eccellenza apprezzati in tutto il mondo, dall’altra lavoriamo a stretto contatto con la Soprintendenza e con l’Istituto Centrale del Restauro e cerchiamo di seguire puntualmente quello che è il dettato della ricerca moderna nel campo.

D. Quale influenza hanno le moderne esigenze di sviluppo urbanistico, di conservazione delle preesistenze, della mobilità crescente della popolazione?
R. È un problema molto rilevante, che non si pone solo con il colle e il palazzo del Quirinale, ma riguarda l’Italia e il mondo. La convivenza tra le varie istanze risulta difficile perché non sempre esistono gli strumenti giuridici in grado di evitare quegli scempi che troppo spesso vediamo. Con uno sviluppo urbanistico spaventosamente caotico si riescono a sfregiare in modo irreversibile paesaggi superiori ed opere d’arte. La questione è legata, come ho detto, in parte all’assenza di strumenti giuridici malgrado l’esistenza di un codice dei beni culturali; ma soprattutto al prevalere degli interessi privati, che cozzano con la salvaguardia del nostro patrimonio e, fatto ancor più grave, all’assenza della cultura relativa. Quando, anche di fronte al consenso di autorità locali, si compiono scempi sui nostri beni culturali, il problema resta la presa di coscienza della bellezza in quanto tale, in modo da poter arginare il danno irreversibile inferto alle opere d’arte.

D. Può citare dei luoghi che, secondo lei, la speculazione privata e pubblica ha rovinato irreversibilmente?
R. Napoli è una città che amo profondamente. Presenta infinite risorse intellettuali e umane, ma è anche lacerata da infiniti problemi. Vedendo nella zona che da Posillipo va a Capo Miseno le terribili offese inferte a un patrimonio che è unico nel mondo, non posso non sentirmi ferito personalmente. Ed è spiacevole constatare come a livello locale gli amministratori non si siano resi conto che, invece di cercare effimeri sviluppi economici, sarebbe stato infinitamente più proficuo per l’economia e la bellezza della zona sviluppare grandi poli turistici e culturali in un luogo che riassume tutta la storia d’Italia dai tempi dalla colonizzazione greca. Ho visto l’antica necropoli greca di Cuma, sventrata dalla speculazione edilizia e, sia pure la Soprintendenza stia provando ad arginare il danno, si tratta di uno sfregio irreversibile.

D. È un problema soprattutto italiano o lo ha rinvenuto anche altrove?
R. È un problema dell’Italia senz’altro, ma in generale del Mediterraneo, essendo presente, ad esempio, in Turchia e nella stessa Grecia.

D. In che modo instillare una «cultura dei beni culturali»?
R. È arduo, perché mancano le risorse finanziarie, che sono irrisorie. Il fatto di spendere così poco per la cultura è una follia se si pensa che il patrimonio italiano è potenzialmente una risorsa economica enorme. Altri Paesi con poca disponibilità di beni riescono a sviluppare attività anche con ritorni economici, mentre noi, che siamo il primo Paese per numero di siti riconosciuti come patrimonio mondiale dell’umanità, non sappiamo sufficientemente sfruttarli.

D. Quali iniziative rivestono carattere di priorità nella programmazione delle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia?
R. Faccio parte di una commissione presieduta dallo stesso Carlo Azeglio Ciampi per le celebrazioni di tale solenne ricorrenza. Credo che sia importante scoprire, attraverso la diversità delle regioni, un filo conduttore per l’ossatura del Paese. È evidente che l’Italia è la somma di tante esperienze diverse, e dev’esserci un comun denominatore che le leghi. Cosa c’è di particolare nella storia dell’unità? Ad esempio l’esperienza della lingua italiana e il fatto che essa si sia imposta attraverso un libro di poesia, la Commedia, contrariamente ad altre lingue. Il francese si è imposto grazie al potere centrale di Parigi che ha promosso la lingua dell’Ile de France, il tedesco attraverso la traduzione della bibbia di Lutero, l’arabo con la forza delle armi, mentre l’italiano parlato nel nostro Paese deve la propria esistenza a un libro di poesia. Primo Levi raccontava che ad Auschwitz capì perché si trovava lì solo quando un ragazzo straniero, affascinato dalla musicalità straordinaria della lingua italiana, gli chiese di recitare alcuni versi della Divina Commedia.

D. Di quali cantieri si è occupato all’interno del Quirinale?
R. Prima ho cercato di riscoprire le pagine della storia del colle, e per questo ho approfittato degli scavi nei giardini del Quirinale in occasione della sistemazione di alcuni impianti tecnologici per giungere fino al terreno vergine riportando alla luce degli strati che giungono all’inizio del III secolo a.C. e che consentono di radicare il Quirinale nell’antica storia di Roma. In quell’occasione ho rinvenuto un frammento di statua rappresentante Giunone, che doveva far parte della famosa triade capitolina con Giove e Minerva, un pezzo eccezionale del II secolo. I grandi cantieri in atto nel palazzo stesso riguardano la galleria di Alessandro VII Chigi, cui stiamo restituendo la luce e lo splendore che aveva nel ‘600 e nella quale abbiamo ritrovato le pitture di Pietro da Cortona. Un altro cantiere ha permesso di riportare alla luce il grande fregio del ‘600 nel salone dei Corazzieri mentre da una sala del palazzo vicino agli appartamenti papali sono emerse le immagini di quei grandi cantieri che Paolo V Borghese voleva aprire nel suo pontificato. Si tratta dei granai che erano sopra le Terme di Diocleziano, dello stesso palazzo del Quirinale, di San Pietro, di tutta una serie di fontane in Vaticano, del palazzo Borghese in Vaticano e infine di Santa Maria Maggiore. Ho cercato di applicare al Quirinale i metodi imparati sui cantieri di scavo, convinto che esso avesse un’infinità di stratigrafie.

D. In che modo i cittadini possono accedere a un siffatto patrimonio?
R. La mia idea che sta a cuore al capo dello Stato: il Quirinale è la casa comune degli italiani, e ognuno deve sentirsi nel Palazzo come in casa propria. Questo è il patrimonio della nazione e cerchiamo di renderlo accessibile ai cittadini d’Italia e del mondo. L’immenso patrimonio culturale italiano deve essere proposto al pubblico in modo leggibile e stimolante. I nostri mezzi di comunicazione, in particolare le televisioni, avrebbero il dovere di assolvere a questo compito, ma questo succede raramente. Eppure il pubblico è interessato alla cultura. Ricordo quando Roberto Benigni lesse Dante in televisione. Fu un trionfo, e ciò sta a significare che, quando la gente ha la possibilità di scegliere tra un programma di questo genere e un reality show, sceglie il programma più qualificante.

Tags: cultura Anna Maria Branca Roma architettura restauro istituto centrale per il restauro Napoli Febbraio 2010

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