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LUCA PALAMARA: TRIBUNALI, SÌ ALLA RIFORMA MA PER MAGGIORE EFFICIENZA

Varato in piena estate, proprio nel clou delle vacanze il 13 agosto scorso, il decreto legge n. 138 contenente «ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo» riguarda anche la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, una riforma più volte richiesta dall’Associazione Nazionale Magistrati per migliorare l’efficienza del servizio giustizia. «È apprezzabile l’iniziativa del Governo, anche se la scelta dello strumento della legge delega, inserita con un emendamento all’interno della manovra finanziaria, rischia di impedire un’adeguata riflessione sui contenuti dell’intervento»: questo è stato il primo commento espresso, sull’iniziativa del Governo che li riguarda, dall’associazione stessa, e per essa dal suo presidente Luca Palamara. Pur condividendo i criteri di massima indicati nel primo articolo del nuovo testo, entrando però nel merito del provvedimento l’autorevole organo di rappresentanza della categoria manifesta alcune perplessità per le difficoltà che le nuove norme incontrerebbero nell’attuazione e che esse stesse susciterebbero. In particolare, non sembra razionale escludere dalla possibilità di accorpamento, ritiene il presidente Palamara, i tribunali che esistevano il 30 giugno scorso nei comuni capoluogo di provincia senza coordinare questa operazione con la progettata soppressione di alcune province e senza considerare le caratteristiche dei vari tribunali presenti.
Un’altra osservazione critica riguarda il numero previsto degli uffici giudiziari in un distretto. «Appare nello stesso modo irrazionale–aggiunge infatti il presidente Palamara–, la previsione diretta a garantire comunque in ogni distretto la presenza di almeno tre degli attuali uffici giudiziari a prescindere dalle dimensioni sia del distretto stesso sia dei tribunali». Palamara porta l’esempio del distretto di Perugia dove, oltre ai due uffici giudiziari esistenti nelle sedi provinciali di Perugia e di Terni, secondo la previsione dovrebbe rimanere in vita almeno un terzo ufficio giudiziario sub provinciale; in base alla riforma prevista sia nel primo, sia nel secondo caso si rischia di mantenere in vita tribunali di dimensioni ridotte o addirittura ridottissime. L’Associazione Nazionale Magistrati ritiene pertanto necessarie «decisioni coraggiose» da adottare già in sede di elaborazione della legge delega.

Domanda. Quali dovrebbero essere queste decisioni, sulla base delle vostre proposte?
Risposta. In particolare, anche richiamandosi alle conclusioni della Commissione tecnica per la finanza pubblica istituita presso il ministero del Tesoro, l’ANM ha individuato in un organico di 20 magistrati, tra procura e tribunale, la dimensione minima assolutamente inderogabile di un ufficio giudiziario. Sarebbe auspicabile che una tale indicazione costituisse il criterio direttivo della legge delega.

D. È stata prospettata anche una soluzione basata sull’accorpamento in un’unica procura di più procure attinenti ai vari tribunali. Secondo voi sarebbe una formula positiva?
R. Assolutamente no. L’idea di accorpare più uffici requirenti in un unico ufficio di procura, competente a svolgere le funzioni requirenti relative a più tribunali, è del tutto fuori dal sistema; una soluzione del genere rischierebbe di provocare gravi disfunzioni sul piano organizzativo. Infatti, se è vero che verrebbero mantenuti sia i tribunali sia le procure nelle attuali sedi di provincia, verrebbe invece prevista la soppressione in maniera disgiunta degli uffici sub provinciali. Come conseguenza, potrebbe ad esempio restare in vita il tribunale di Alba ma non la relativa procura, che invece potrebbe finire accorpata a un ufficio requirente più grande.

D. Quali sarebbero gli effetti «pratici» di questa soluzione? Che cosa propone invece, in proposito, l’Associazione Nazionale Magistrati?
R. Si andrebbe incontro ad una «centralizzazione dell’esercizio dell’azione penale», senza considerare le complicazioni di carattere organizzativo derivanti dalla molteplicità delle esigenze dei diversi tribunali. Al riguardo l’Associazione Nazionale Magistrati ritiene preferibile piuttosto la trasformazione dei tribunali interessati in sezioni distaccate del tribunale accorpante o, in via subordinata, l’assegnazione delle funzioni di gip e di giudice collegiale al tribunale presso il quale si trova la procura. Queste sono le soluzioni molto più concrete e pratiche, proposte dalla giunta esecutiva centrale dell’ANM.

D. La scorsa primavera l’associazione ha definito la proposta del Governo di introdurre la cosiddetta prescrizione breve dei reati un «colpo mortale al funzionamento della giustizia penale in Italia»; effettivamente con quella soluzione aumenterebbero i casi di impunità per gli autori di gravi reati?
R. Quella misura porterebbe ad una duplice, grave conseguenza, consistente in un ingente aumento dei casi di «denegata» giustizia e, in sostanza, nell’impunità per gli autori di gravi reati. E questo proprio mentre l’Unione Europea da tempo ci sollecita, invano, ad assicurare un’effettiva ragionevole durata dei processi, e ad evitare proprio che questi si concludano con la prescrizione. In realtà la prescrizione breve non riduce affatto la durata dei processi ma costituisce solo un incentivo, per gli imputati, a cercare di far durare il più a lungo possibile il processo.

D. Quanti processi però già attualmente «saltano» a causa della prescrizione normale?
R. Dopo la riforma del 2005, oggi sono circa 150 mila i processi che ogni anno si chiudono con la prescrizione, senza accertare la responsabilità dell’imputato e quindi senza rispondere alle istanze di chi è stato vittima di un reato, di chi ha subito un danno e chiede pertanto invano quella giustizia cui ha diritto. La prescrizione breve contrasta, inoltre, con le convenzioni internazionali sulla lotta alla corruzione sottoscritte o ratificate dall’Italia; e nei riguardi delle persone incensurate viola il principio costituzionale di eguaglianza. I cittadini desiderano sia che il processo si svolga in tempi ragionevoli, sia che le decisioni siano efficaci, ossia che le condanne siano effettive, che i responsabili non restino impuniti.

D. Quali sono i reati più gravi che la prescrizione breve favorirebbe?
R. La legge sulla prescrizione breve uccide i processi, costituisce un’amnistia permanente per numerosi gravi reati come la corruzione, l’evasione fiscale, la truffa, la truffa ai danni dello Stato, l’appropriazione indebita, l’omicidio, le lesioni colpose, i reati ambientali e quelli che causano infortuni sul lavoro. In tutti i Paesi occidentali l’inizio del processo blocca la prescrizione, in Italia i brevi termini di prescrizione spingono l’imputato ad allungare i tempi del processo. Con queste norme, per una corruzione gravissima o per una frode fiscale per milioni di euro, scoperte a distanza ad esempio di quattro o cinque anni dal fatto, l’imputato avrà la certezza dell’impunità per l’impossibilità di celebrare tre gradi di giudizio nel breve termine residuo. Non solo: avrà diritto anche alla restituzione del profitto del reato sottoposto a sequestro. È, inoltre, una legge che viola il principio di eguaglianza perché l’omicidio commesso da un incensurato si prescriverebbe prima di un furto commesso da un recidivo; e per lo stesso reato commesso da due persone, una incensurata e l’altra no, si potrebbe arrivare alla prescrizione per l’una e alla condanna per l’altra. In tanti anni non è stato fatto nulla per assicurare ai cittadini una giustizia più rapida e più efficiente, mentre oggi si cerca di approvare a tamburo battente una legge che estingue i processi e nega giustizia alle vittime dei reati. La prescrizione del reato costituirebbe una resa dello Stato al crimine, un’ulteriore offesa alle vittime, una sconfitta per la giustizia.

D. Nei mesi passati si è addirittura profilato uno scontro di imprevedibili conseguenze tra politica e magistratura quando ai cittadini è stato rivolto un appello a manifestare in piazza contro i giudici. L’iniziativa è stata poi accantonata. È possibile che tra due delle maggiori Istituzioni dello Stato, essenziali e indispensabili per il Paese, si debba giungere a questo punto?
R. L’associazione che presiedo ha espresso in proposito «vivo sconcerto e grande preoccupazione». Giustamente è stato stigmatizzato quanto accaduto nei pressi del tribunale di Milano in occasione di un processo a carico del presidente del Consiglio. L’appello alla piazza, la denigrazione dei magistrati, il clima di crescente e organizzata ostilità esibita dinanzi ai luoghi in cui ogni giorno migliaia di cittadini sono processati in nome della legge ed altre migliaia aspettano, e si aspettano, giustizia appaiono un tentativo di delegittimazione di un fondamentale potere dello Stato. Il risultato di tali azioni è solo un turbamento della serenità dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni. Principio fondamentale dello Stato democratico di diritto è la celebrazione dei processi nelle aule di giustizia, dove ad ogni imputato la Costituzione e le leggi assicurano diritti e garanzie processuali. La magistratura italiana ha affrontato con alto senso dello Stato momenti tragici della storia repubblicana, ma gli spettacoli inscenati fuori dal Palazzo di giustizia non hanno precedenti nei Paesi democratici.

D. Lo scorso settembre l’ANM ha proclamato lo stato di agitazione contro la manovra economica. Quali sono le ragioni?
R. Il comitato direttivo centrale dell’associazione ha espresso contrarietà alle misure contenute nella manovra economica approvata, che penalizzano esclusivamente i dipendenti pubblici senza colpire in alcun modo i possessori di grandi ricchezze e gli evasori fiscali, e senza intervenire sulle numerose fonti di spreco del denaro pubblico. In particolare, il comitato ha sottolineato l’evidente iniquità e la contrarietà al principio di eguaglianza e di parità contributiva del mantenimento del contributo di solidarietà per i redditi superiori ai 90 mila euro solo per il pubblico impiego e dell’eliminazione dell’analoga previsione per i redditi dei privati, per i quali è previsto un prelievo di gran lunga inferiore, e per i redditi privati superiori ai 300 mila. Per i magistrati tale misura si aggiunge agli ulteriori tagli e prelievi sulla retribuzione previsti dalle precedenti manovre economiche. Il comitato direttivo centrale dell’ANM ha proclamato pertanto lo stato di agitazione della categoria e annunciato l’attuazione, insieme con le organizzazioni del pubblico impiego, di iniziative locali e nazionali dirette a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla grave iniquità della manovra e sulla pericolosa e costante delegittimazione della funzione pubblica. E ha dato mandato alla giunta esecutiva centrale di organizzare, eventualmente in accordo con le altre associazioni, ricorsi giurisdizionali sul contributo di solidarietà.

D. E il vostro giudizio sulle misure dirette alla lotta all’evasione fiscale in generale?
R. Mancano norme veramente efficaci. Negli anni passati l’evasione fiscale è stata favorita dai ripetuti provvedimenti di condono. Nessun intervento risulta inoltre adottato per svolgere un’effettiva azione contro la dilagante corruzione nei settori pubblico e privato, causa principale degli sprechi nella pubblica amministrazione e della diffusione di patrimoni illeciti.

D. Per quale motivo avete criticato l’avvio, da parte del ministero della Giustizia, di ispezioni dirette ad accertare il comportamento di alcuni uffici giudiziari?
R. Per una possibile interferenza di queste nelle indagini. Siamo infatti perplessi e preoccupati per l’iniziativa del ministro della Giustizia di disporre ispezioni nelle procure di Napoli e di Bari. L’inchiesta amministrativa affidata agli ispettori ministeriali può interferire sullo svolgimento dell’attività giudiziaria. È vero che si tratta di un’iniziativa rientrante tra i poteri del ministro, ma per le modalità e i tempi in cui è stata avviata rischia di alterare il corretto rapporto tra le attività di indagine degli uffici di procura e il potere ispettivo del ministro.

D. Non siete d’accordo neppure sulle modifiche alle norme di procedura relative alle testimonianze nei processi. Quali sono i motivi?
R. Le modifiche al codice di procedura penale sull’ammissione delle prove in dibattimento, sulle quali il Governo ha posto la questione di fiducia, avranno effetti devastanti sul funzionamento dei processi penali, perché potranno determinare di fatto la paralisi di tutti i dibattimenti attualmente pendenti. Con le nuove disposizioni, infatti, verrebbe eliminata la possibilità per il giudice di escludere l’ammissione di prove manifestamente superflue o irrilevanti, mentre potranno essere escluse solo quelle «non pertinenti». Chiunque comprende che in questo modo il difensore dell’imputato potrebbe chiedere e ottenere l’ammissione di un numero indefinito di testimoni sulla medesima circostanza, purché non manifestamente «non pertinente».

D. Che cosa potrebbe avvenire in casi del genere?
R. Un esempio: l’imputato che volesse dimostrare come prova d’alibi la sua presenza in una città diversa da quella nella quale è avvenuto il fatto, potrebbe chiedere e ottenere la citazione, come testimoni, di tutti gli abitanti di quella città, senza alcuna possibilità per il giudice di escludere uno o più testimoni. Ancora: l’imputato in un processo per uxoricidio potrebbe chiedere e ottenere l’ammissione, come testimoni, di tutti gli amici, parenti e conoscenti sull’esistenza del vincolo coniugale tra lui e la vittima, prova questa pertinente ma altrettanto manifestamente superflua. Si tratta pertanto dell’ennesima legge finalizzata a interferire su procedimenti giudiziari in corso, anche a costo di paralizzare la macchina giudiziaria e di esporre al ridicolo l’intero sistema. L’Associazione Nazionale Magistrati ha il dovere di denunciare che con queste norme non sarà più possibile celebrare alcun processo in Italia e che gli imputati anche di fatti gravissimi saranno prima inevitabilmente scarcerati per la decorrenza dei termini di custodia cautelare e poi prosciolti per prescrizione.

Tags: Ministero della Giustizia codice penale giustizia magistratura Luca Palamara Novembre 2011

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