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FRANCO TRAVERSO: SILFAB, VERSO LA FILIERA INTEGRATA DEL FOTOVOLTAICO

Crea interesse l’uomo che sbarca sulla luna. Sembra che ne crei meno, invece, l’uomo che sbarca sul sole. Franco Traverso l’ha fatto, e si è bruciato al punto tale da voler trasferire parte della propria attività all’estero, nel Nord America. Certo è che investire chiama in causa il futuro; è una scommessa nella maggior parte dei casi, che va sostenuta da un forte credo, quello nelle proprie potenzialità ma soprattutto da un sistema che consenta l’introduzione del cambiamento. Questo pioniere - imprenditore nel settore dell’energia fotovoltaica dal 1981, anno in cui fondò l’Helios Technology acquisendo una tecnologia californiana per produrre celle e pannelli - è oggi amministratore delegato della Silfab spa, multinazionale con sede a Padova operante nell’intera filiera del fotovoltaico, a partire dalla materia prima, il polysilicon, sino alla realizzazione di parchi solari chiavi in mano.
Innanzitutto, un po’ di glossario per un tema che non a tutti è chiaro. Il «Conto Energia», in Italia entrato tramite della Direttiva comunitaria per le fonti rinnovabili - la n. 77 del 2001 recepita dal decreto legislativo n. 387 del 2003 -, consiste nel programma europeo di incentivazione ventennale in conto esercizio della produzione di elettricità da fonte solare mediante impianti fotovoltaici: il privato percepisce somme in modo continuativo per i primi 20 anni di vita dell’impianto purché quest’ultimo sia connesso alla rete. Nessun incentivo è attribuito a impianti destinati ad utenze isolate, non raggiunte dalla rete elettrica. Dal 2005 per accedervi è necessario presentare la domanda al Gestore del sistema elettrico - oggi Gestore Servizi Energetici (GSE) - e dal 2007 la procedura è stata snellita, non essendo più necessario attendere l’accoglimento da parte del GSE delle domande di tariffe incentivate: richiesto l’allaccio al Gestore di rete locale, si può realizzare l’impianto, collegarlo alla rete elettrica ed ottenere il riconoscimento della tariffa, su tutta l’energia prodotta e non solo su quella prodotta e consumata in loco.
Il timore degli operatori del paventato taglio degli incentivi del 10 per cento annuo, rispetto al 4 per cento che essi richiedevano, si è rivelato in parte fondato: dal 2011 i «buoni-sole» potrebbero esser ridotti del 6 per cento. Per questo e per altri motivi oggi, esattamente come quando cominciò la propria attività, resta difficile per Traverso e gli altri imprenditori del sole mantenersi ottimisti sulla possibilità che in Italia - paradossalmente uno dei Paesi più assolati, soprattutto nel Meridione, tanto da essere spesso a rischio siccità - il settore fotovoltaico si sviluppi con criterio e fiducia, anche a ricordare che proprio in questo settore l’Italia è tra i meno sviluppati nel mondo, proprio mentre nell’Illinois un gruppo di ricercatori annuncia di aver creato un tipo di celle in silicio monocristallino spesse un decimo di quelle convenzionali; tipo che, attraverso la propria elevata flessibilità, può essere arrotolato intorno a una matita. Un silicio elastico, in poche parole.
E c’è bisogno di un sognatore che, al pari del nuovo silicio, sia elastico. Franco Traverso, in tempi non sospetti ed anche nelle giornate di pioggia, ha creduto fermamente nel progetto dell’energia solare. In qualità di amministratore delegato della Helios Technology ha sviluppato piccoli e grandi sistemi fotovoltaici ad alto contenuto tecnologico e progettato personalmente numerosi brevetti internazionali. Nel corso degli anni si è dedicato alla produzione di lingotti di alta qualità e di wafer per il settore fotovoltaico, oltre a dare vita a trasferimenti tecnologici in India, Svezia e Sud Africa.
Agli inizi degli anni Novanta ha siglato una joint-venture con un’azienda russa e finanziato una compagnia di Taiwan specializzata nella produzione di wafer di silicio. Più recentemente ha fondato un’azienda estera di produzione di moduli fotovoltaici, di cui è tuttora azionista di maggioranza. La Helios Technology è invece entrata a far parte nel 2006 del Gruppo Kerself, quotato in borsa, costituito nel 1998 per operare nel settore della movimentazione dell’acqua e che dal 2005 sviluppa l’attività d’integrazione verticale nel settore della produzione, progettazione e installazione di impianti solari fotovoltaici di ogni dimensione, in Italia e all’estero, anche attraverso una serie di acquisizioni di aziende di eccellenza.
Franco Traverso è anche tra i fondatori del Grid Parity Project, il progetto della Kenergia avente lo scopo di fornire gli strumenti idonei a verificare nel tempo e con periodicità il livello di competitività dell’energia elettrica fotovoltaica rispetto a quella prodotta, in Italia, con le attuali fonti primarie. La Silfab sarà presente al Salone veronese del Solarexpo 2010, ma con una consapevolezza. Meglio partire che rimanere. Per questo Traverso opta per il Nord America, dove trasferisce il suo progetto di costruire una filiera fotovoltaica integrata perché l’Italia scoraggia ogni forma di investimento mentre il Governo americano, al contrario, appoggia il progetto ed è pronto a dar garanzie per le aziende che investono nelle energie rinnovabili ed è ben disposto verso l’occasione - che l’Italia ha perso - di creare migliaia di posti di lavoro e non burocraticamente scoraggiante. Per un imprenditore il cui scopo è stato sempre quello di «promuovere attivamente l’uso delle energie rinnovabili in modo di ridurre l’inquinamento ambientale e migliorare la qualità della vita sul pianeta», queste sono premesse sufficienti per rinunciare al tricolore.

Domanda. Come si caratterizzava il mercato agli inizi della sua attività?
Risposta. Combattevo contro 3 o 4 multinazionali americane che lavoravano in passivo perdendo anche 20 milioni di dollari l’anno, società petrolifere che puntavano sul fotovoltaico come possibile sorgente di energia futura; la mia società era un «vaso di terracotta» che doveva sopravvivere in un mercato sostanzialmente inesistente. Non era ancora il momento dei Conti Energia e i nostri clienti richiedevano installazioni in zone isolate dove era possibile usare il fotovoltaico, come nelle case di campagna o baite. Gli impianti di telecomunicazione avevano la fetta di mercato più rilevante e la richiesta riguardava l’alimentazione di ripetitori in Italia o all’estero, di centraline, di valvole per il gas tra cui quella della Snam, e partecipavamo a gare internazionali, come nei Paesi arabi o in Africa. Il mercato era molto altalenante, oltre che dispersivo e di dimensioni ridotte.

D. In che modo è riuscito a sostenere il suo progetto in un settore che allora era solo una scommessa?
R. Uno dei fattori vincenti è stata la mia passione per l’elettromeccanica. Grazie alle conoscenze acquisite in materia ho potuto inventare quella componentistica che è andata ad aggiungersi al pannello e ha permesso di integrare il pacchetto offerto al cliente, composto anche da regolatore di carica, batteria e accessori; questo ci ha collocato in una situazione di preferenza rispetto al prodotto americano. Oltre a questo, la vicinanza al mercato è stata certamente un fattore determinante.

D. Chi erano i vostri concorrenti?
R. In Italia c’era innanzitutto l’Ansaldo, primo produttore che poi chiuse perché le perdite nel settore erano elevate; quindi l’Eni con Italsolar, poi Pragma, poi Eurosolare; si tratta di società che lavoravano principalmente con gli appalti dell’Enel, dell’Enea e delle grosse commesse nazionali. C’era un mercato nazionale pubblico al quale partecipavo guadagnandomi spazio anno dopo anno, un mercato privato e un mercato estero, che era quello che ci dava maggior linfa. Concorrenti all’estero erano Arcosolar, compagnia petrolifera americana che oggi non esiste più, ma che allora era un’azienda importante nel fotovoltaico a livello mondiale, Solarex, poi acquisita dalla British Petroleum, Solec da cui ho acquistato la tecnologia, la giapponese Kyocera. Si trattava di aziende internazionali che vendevano con procedure di dumping e avevano costi più elevati dei prezzi di vendita.

D. In che modo è riuscito a ritagliarsi la sua fetta di mercato?
R. Innanzitutto aggiungendo la componentistica e fornendo un prodotto completo, in modo da differenziare la mia posizione rispetto ai concorrenti. Mi sono dedicato anima e corpo alla progettazione e all’innovazione tecnologica, creando una competenza interna all’azienda per realizzare impianti performanti e produrre le celle e pannelli più efficenti. Con questi requisiti negli anni 90 ho sviluppato la presenza all’estero.

D. I suoi studi l’hanno portata a fare queste scelte?
R. Sono diplomato in Meccanica, cominciai a frequentare l’università ma l’abbandonai per seguire l’azienda paterna che ancora oggi opera nelle materie plastiche; da autodidatta cominciai a studiare Fisica e Chimica e acquisii quelle competenze che poi ho sfruttato inventando i processi che sono poi stati alla base del successo della mia azienda.

D. Una scelta difficile, se si pensa che il fotovoltaico allora era, soprattutto in Italia, molto lontano. Cosa l’ha spinta?
R. Ero affascinato dall’idea di produrre l’energia dal sole. Quindi, tramite un amico, conobbi un professore dell’Università di Ferrara che lavorava nel settore del silicio e aveva contatti con l’azienda americana dalla quale successivamente acquisii la relativa tecnologia.

D. Nel 2007, con Silfab ha voltato pagina avviando un progetto di produzione di polisilicio di grado solare. Come ha preso la decisione di entrare nella produzione di silicio?
R. Negli anni 80 e 90 fino ai primi anni del nuovo millennio il silicio che utilizzavo alla Helios Technology proveniva dagli scarti dell’industria dei semiconduttori. All’epoca progettai un processo chimico per rimuovere i dispositivi elettronici dal silicio ed utilizzarne la base per costruire le celle fotovoltaiche. L’uso di un materiale di scarto, quindi di basso costo, mi consentì per diversi anni di non andare incontro alle enormi perdite che invece hanno subito i miei concorrenti. Non ho brevettato il metodo, ma esso ha permesso alla mia società di allora, la Helios, di sopravvivere non solo grazie alla produzione di componentistica e impiantistica che ogni giorno veniva implementata con nuove applicazioni. Il mio progetto di produzione di polysilicon puntava invece a risolvere la problematica, più recente, di carenza della materia prima del settore fotovoltaico.

D. Negli ultimi anni ha introdotto profondi cambiamenti strutturali nelle sue società: come?
R. Nel 2006 ho capito che era il momento di un cambiamento. Il settore fotovoltaico andava sviluppandosi: per questo ho venduto il 70 per cento delle quote della Helios Technology alla Kerself che, a partire dal 2006, è pertanto entrata nel settore delle energie rinnovabili. Con tale accordo abbiamo fatto un salto di qualità, che ha comportato l’installazione di nuove linee produttive ed un aumento della capacità produttiva. Nel 2007 ho invece fondato Silfab con l’obiettivo di costruire la filiera integrata del fotovoltaico a partire dal polysilicon. Per questo progetto abbiamo dovuto però rinunciare all’Italia per il concatenarsi di vari fattori: la crisi finanziaria, la drastica riduzione del prezzo del silicio sceso dai 400-500 dollari al chilo fino ai 50-60, l’elevato costo dell’energia e il difficile accesso al debito. Abbiamo così dovuto guardare all’estero e ci siamo orientati a riposizionare il progetto in un Paese, il Nord America, che ha tanta energia, addirittura idroelettrica, a basso costo.

D. La crisi ha inciso sul settore fotovoltaico?
R. Proprio nel pieno della crisi, nel 2008, ho coinvolto altri soci e la compagnia è stata oggetto di una capitalizzazione per 84 milioni di euro, con l’obiettivo di realizzare la filiera e attrarre altri investitori, nonostante la prudenza non spinga a rischiare. Abbiamo trovato più facilmente investitori per la realizzazione di parchi solari piuttosto che per la parte industriale. Abbiamo investito 40 milioni di euro in Puglia per realizzare 9 parchi di nuova generazione da 1 Megawatt ciascuno, che a breve collegheremo alla rete elettrica. Sono dotati di tecnologie avanzate e pertanto hanno rendimenti energetici molto elevati, risultando particolarmente appetibili per gli investitori.

D. Cosa contraddistingue la Silfab dalla concorrenza italiana ed estera?
R. In questa fase, non avendo ancora una vera e propria sede produttiva, usiamo materie prime tratte dalla nostra catena all’interno della compagine sociale. La Sino-American Silicon Products, ad esempio, nostra socia di Taiwan, è attiva nella ricerca, nello sviluppo, nella produzione e nella vendita di lingotti e wafer di silicio, inclusi wafer con substrato diffuso e fortemente concentrato, nonché wafer in silicio mono e multicristallino. Un altro socio, la Pan Asia Solar con sedi a New York, Hong Kong e Londra, e attiva nel settore delle energie rinnovabili, ha un’esperienza nel solare fotovoltaico di oltre 25 anni; la sua presenza risulta essere di primaria importanza per la Silfab: i suoi soci fondatori operano infatti nell’industria dell’energia solare come partner e investitori di aziende di successo attualmente quotate negli Stati Uniti. La PAS, attraverso un’affiliata, opera infatti nella produzione di celle solari ad alta efficienza. La mia fabbrica di pannelli in Croazia, che opera già da 10 anni, ora produce per la Silfab utilizzando le celle dei miei soci. È in questo modo che incontriamo il mercato, offrendo un prodotto di alta qualità.

D. Burocraticamente quali difficoltà ha trovato in Italia?
R. Avevo il sogno di una filiera tutta italiana e ho dovuto accantonare l’idea a causa dei costi elevati, ma non ho abbandonato la speranza di realizzare la parte «midstream», ossia dal lingotto o dal wafer alla produzione di celle e moduli, e non appena appariranno migliori prospettive di mercato renderò concreto il mio progetto in Italia, dove purtroppo l’aspetto più certo è l’incertezza: non si sa cosa sarà del Conto Energia e ciò frena gli investimenti. Oltre alle difficoltà legislative, vi sono quelle burocratiche e non solo: gli stessi Verdi ed ecologisti a livello locale sono i peggiori oppositori delle energie alternative.

D. Perché crede che le difficoltà di sistema, anche quelle poste dagli ecologisti, siano pregiudiziali?
R. Per la sindrome Nimby, «not in my backyard», ossia «fate tutto quello che volete ma non qui da me». Molte Regioni, Province ed Enti che rilasciano le autorizzazioni pongono tutti i divieti possibili in modo che il fotovoltaico non possa concretizzarsi. Anche le procedure autorizzative per i parchi fotovoltaici spesso sono legate alla valutazione di impatto ambientale. È un percorso ad ostacoli.

D. Dove l’Italia è più frenata?
R. Per esempio nell’agricoltura: le campagne si stanno spopolando e, quando finiranno i contributi europei, anche i giovani spariranno; già oggi alcuni agricoltori preferiscono non seminare pur di non subire perdite e, nonostante queste considerazioni, non si vuole che si realizzi su quei campi un impianto fotovoltaico, a basso impatto ambientale, che permetterebbe loro di ottenere una rendita per i prossimi venti anni, oltre al reddito agrario. Le Amministrazioni, miopi, si giustificano sostenendo che non intendono sottrarre terreno all’agricoltura. Per questo sto cercando di creare un modello nuovo di energie rinnovabili, la cui realizzazione lasci sul territorio un segno positivo, un profitto che aiuti la comunità locale, dia posti di lavoro e crei un indotto concreto anche per i locali.

D. Come sono coinvolti gli investitori?
R. Ci contraddistingue la compartecipazione azionaria dei parchi, ora poco usata sul mercato. Poiché, per le esperienze negative proprie o altrui, l’investitore è diffidente, se lo desidera restiamo nella quota azionaria e co-investiamo, a dimostrazione della professionalità della Silfab. Nel 1986 ho fornito all’Enea pannelli che ancora oggi registrano l’80 per cento della potenza originaria. Purtroppo il mercato del fotovoltaico al momento è spinto da fondi speculativi stimolati da possibilità di forti guadagni che ne pregiudicano la qualità.

D. Investite anche nella ricerca?
R. Disponiamo di un budget dedicato allo sviluppo delle competenze per poter creare la catena del valore in Italia. Il programma di ricerca è attivo e ambizioso, ma purtroppo è autofinanziato in mancanza di altro sostegno. Sembra proprio che facciano il possibile per distoglierci dall’impresa.

Tags: energia rinnovabile Giosetta Ciuffa fotovoltaico Marzo 2010

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