RODOLFO SABELLI, ANM: le NOSTRE proposte per una riforma della giustizia Più credibile
Completa e celere revisione delle Circoscrizioni giudiziarie; corretta redistribuzione del personale degli uffici; urgenti investimenti per realizzare il processo civile telematico con strumenti informatici di facile uso, formazione del personale ed estensione al settore penale attingendo alla mobilità da altre Amministrazioni; attuazione dell’Ufficio del giudice con il ricorso a specializzandi, praticanti legali, magistrati onorari, stagisti, per smaltire l’arretrato; accesso diffuso ai sistemi di giustizia in rete da parte dei cittadini per informazioni e certificazioni; riordino della magistratura onoraria; regolamentazione dell’accesso alle cariche elettive politiche e amministrative nazionali e locali, e del rientro in ruolo in modo da evitare l’appannamento dell’immagine di imparzialità del magistrato.
Sono alcune delle principali proposte dell’ANM, la maggiore associazione di magistrati italiani, presentate alla vigilia della recente consultazione popolare per contribuire sia al miglioramento del sistema giudiziario sia al risparmio di risorse umane ed economiche. In questa intervista il presidente dell’ANM Rodolfo Sabelli, con un’illustre esperienza nella Procura della Repubblica di Roma, fa il punto sulla situazione della Giustizia alla fine della passata legislatura e illustra alcune proposte della categoria per la nuova legislatura.
Domanda. Negli anni scorsi il magistrato non ha potuto svolgere tranquillamente il compito assegnatogli dalla Costituzione, e questo proprio mentre i cittadini hanno bisogno di avere più fiducia in un potere giudiziario certo, valido, come deve essere quello della Magistratura. Quale dovrebbe essere la prospettiva?
Risposta. Quello che dice è vero, le riforme o proposte di riforma di questi anni hanno riguardato soprattutto l’aspetto ordinamentale, e in particolare l’assetto della Magistratura. In parte ciò è stato compiuto con una riforma che in origine prevedeva soluzioni che fortunatamente non sono state realizzate o sono state corrette. Quelle che si sono varate nel settore penale non sono andate nella giusta direzione. L’intervento sulla prescrizione non ha aumentato l’efficienza del sistema, anzi la consistente riduzione dei termini ha avuto conseguenze negative proprio su reati come la corruzione. In alcuni casi i termini di prescrizione sono stati addirittura dimezzati. Anche la riforma del cosiddetto «falso in bilancio» finisce col favorire la criminalità societaria, perché è nei meccanismi dei bilanci societari che si costituiscono fondi neri da impiegare per corrompere e versare le tangenti.
D. In quale direzione si è evoluta la criminalità?
R. Quella organizzata gestisce ancora il traffico della droga e il mercato delle estorsioni, ma si è sempre più infiltrata nelle istituzioni ed è sempre più collegata al riciclaggio dei capitali, alla criminalità societaria e ai reati contro le istituzioni. Una riforma seria, diretta a conferire maggiore efficacia all’azione repressiva e quindi in grado di compiere opera di prevenzione e dissuasione, avrebbe dovuto rafforzare gli strumenti di controllo. Invece si sono attenuate le possibilità di intervento nel settore societario, ossia la repressione delle falsità contabili in bilancio; se costituiscono ancora un reato, di fatto esse vanno incontro a una depenalizzazione perché sono ridotte a livelli tali che in concreto le indagini non si svolgono o, se si svolgono, non riescono a raggiungere una sentenza definitiva. Noi sosteniamo che bisogna intervenire ma nella giusta direzione, attraverso un cambiamento di tendenza.
D. E sul tema delle carceri?
R. Il presidente della Repubblica reiteratamente invita a risolvere il problema e abbiamo ricevuto anche la condanna della Corte di Giustizia europea. Ma abbiamo assistito a una legislazione contraddittoria perché con la stessa legge, la cosiddetta «ex Cirielli», da un lato si sono ridotti i tempi di prescrizione, dall’altro si è rafforzato l’effetto della recidiva, che ha determinato però un minor ricorso alle misure alternative e un restringimento dei casi di sospensione dell’esecuzione. Interventi quindi contraddittori, che hanno determinato un irrigidimento e maggiori difficoltà nel sistema.
D. Come si può rimediare allora?
R. Andando in direzione assolutamente contraria e prendendo atto che ci troviamo di fronte a una criminalità molto più complessa, societaria, organizzata, strettamente collegata alla Pubblica Amministrazione. Occorre intervenire con forza per snellire il sistema delle sanzioni detentive spesso inefficaci, applicate per periodi molto brevi e in condizioni che non assicurano il recupero del condannato, contrarie al senso di umanità e alla funzione rieducativa della pena. Vanno rafforzate le sanzioni patrimoniali, soprattutto quando il bene giuridico offeso è il patrimonio. Si deve operare la dissuasione colpendo il patrimonio e togliendo interesse alla commissione di quei reati che puntano all’arricchimento. Se chi compie un illecito sa che gli frutterà un’ingente somma, può mettere nel conto anche sei mesi di carcere.
D. È vero che alcune delle ultime riforme hanno o peggiorato o lasciato inalterata la situazione?
R. Riforme nel settore della giustizia penale sono state fatte, ma non sono andate tutte nella giusta direzione. Una riforma indovinata è quella del Codice antimafia, con l’opportuna sistemazione di tutta la legislazione in materia di criminalità organizzata stratificatasi in decenni, e che ha anche innovato. Però anche questo Codice è molto complesso, richiede dei correttivi, contiene dalla legislazione penale a misure di prevenzione, riguarda anche i poteri prefettizi in materia di documentazione antimafia. In materia di prevenzione patrimoniale, parte da una premessa corretta, il recupero dei patrimoni mafiosi e la loro reimmissione nel circuito dell’economia legale, ma il punto di arrivo è incompleto. Perché si tende a privilegiare la liquidazione dei beni quando bisognerebbe valorizzarne l’aspetto produttivo e il recupero delle aziende, sottratte alla criminalità organizzata, anche concedendole a soggetti che le reinseriscano nel circuito.
D. Come giudica la legge anticorruzione recentemente approvata?
R. Presenta dei limiti. La prima parte, dedicata alla prevenzione, contiene disposizioni organizzative, alcune molto penetranti, riguardanti l’organizzazione degli uffici e la Pubblica Amministrazione. Purtroppo in molti settori o non si è fatta prevenzione o non è stata in grado di percepire immediatamente i segnali dei fenomeni corruttivi. Alla fine, l’ultimo baluardo è stato l’intervento della Magistratura, della giustizia penale, ma questa è uno strumento rigido, arriva quando il danno è stato già compiuto, e lo strumento di cui essa dispone è generalmente sanzionatorio anziché di ripristino della legalità infranta.
D. E la seconda parte della legge?
R. È quella strettamente penale, che prevede modifiche delle fattispecie penali. Su questa sono state avanzate varie critiche, si è parlato della «concussione per induzione», che prevede una riduzione della pena edittale ma soprattutto introduce l’incriminazione del soggetto indotto, con tutto quello che ne consegue sulla difficoltà di acquisire poi le prove. Tutta la parte penale della legge anticorruzione si innesta su un sistema inadeguato in materia di prescrizione, anche perché i fenomeni corruttivi sono parte di un sistema più complesso. Riformare singole fattispecie di reato è inutile senza colpire quello che c’è a monte, la costituzione di fondi neri e la criminalità d’impresa, e se non si interviene anche con altri strumenti per colpire l’autoriciclaggio, cioè le condotte attuate dallo stesso soggetto corrotto che reimpiega i proventi della corruzione. Rischiamo di intervenire in modo parziale su una condotta quando non si colpisce sia quello che si fa prima, sia quello che si fa dopo.
D. Basta istituire un responsabile anticorruzione quando sono stati aboliti o depotenziati organi come Comitati regionali di controllo, segretari comunali garanti della legittimità nelle Amministrazioni, prefetti?
R. La legge prevede l’istituzione di un sistema interno, realizzato il quale il responsabile anticorruzione deve soltanto dimostrare che si è adottato un piano rispondente ai requisiti prescritti dalla legge. Il problema però non è realizzare tali condizioni, ma una prevenzione efficace, terreno questo proprio della Pubblica Amministrazione.
D. La riforma della geografia giudiziaria soddisfa le nuove esigenze della Magistratura e dell’Avvocatura?
R. Siamo molto favorevoli alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, le precedenti erano il risultato di stratificazioni molto antiche che avevano le loro origini nell’800. In vista dell’attuazione del provvedimento si sono registrate difficoltà e critiche, perché si tratta di un’operazione complicata in quanto comporta anche la revisione delle piante organiche degli uffici giudiziari. Ora si dovrà vedere quale sarà il personale della Magistratura e ausiliario che lavorerà negli uffici risultanti da questa revisione, che non consiste in semplici accorpamenti.
D. Che cosa prevede più in dettaglio?
R. In alcuni casi il territorio è stato ritagliato, i Circondari sono stati divisi e separati, la revisione delle piante organiche non è facile, anche perché queste probabilmente dovranno definirsi in modo razionale, al di là della necessità derivante dalla revisione delle Circoscrizioni. Il Ministero della Giustizia ha avanzato una proposta sulla quale si esprimerà il Consiglio Superiore della Magistratura. L’ANM formulerà il proprio parere; già alcune sezioni di questa nostra associazione hanno espresso alcune critiche di metodo. Stiamo valutando la situazione, poi presenteremo le nostre osservazioni. Si tratta comunque di una riforma rilevante, che ha eliminato quasi tutte le Sezioni di Tribunale distaccate, costituenti spesso uno spreco di personale e di risorse.
D. Vi saranno conseguenze anche per la popolazione?
R. Certo, ma va tenuto presente che rispetto al passato oggi esistono più mezzi di trasporto e più possibilità di movimento, e ci auguriamo che si ricorra sempre di più agli strumenti informatici. Solitamente si frequentano i Palazzi di Giustizia per lo svolgimento di processi, ma molti vi si recano per chiedere certificati di chiusa inchiesta, di carichi pendenti od altro; questi spostamenti potrebbero evitarsi grazie agli strumenti informatici. Esiste la posta elettronica certificata, perché non usarla?
D. Negli ultimi tempi sono stati combattuti proprio gli strumenti ormai più preziosi e insostituibili per le indagini; possono sostituirsi oggi, e con che cosa, le intercettazioni telefoniche?
R. Sono insostituibili, anche perché sono controlli di varie specie, telefonici, ambientali, informatici. Grandi flussi di informazioni passano ormai per internet, diventato anche questo uno strumento essenziale per le indagini giudiziarie. Si usa addirittura Skype anziché il telefono. Molte riserve sulle intercettazioni partono da osservazioni corrette ma approdano a risultati sbagliati. Va evitata la diffusione di intercettazioni irrilevanti sul piano penale e non riguardanti il procedimento, che violano la riservatezza di persone estranee al processo; è un’osservazione corretta, ma il progetto di riforma della disciplina non si limitava a questo, colpiva i presupposti e le modalità delle intercettazioni e, con l’obiettivo di tutelare la riservatezza, fissava limiti quasi invalicabili, modalità talmente difficili e complicate da costituire una sostanziale dissuasione ad intercettare.
D. Se non si deve intervenire sui presupposti e sulle modalità, ma sull’impiego e sulla gestione delle intercettazioni avvenute, che cosa propone l’ANM?
R. La soluzione da noi indicata consiste nello svolgimento di un’udienza filtro, che in realtà già esiste, nella quale le parti indicano le intercettazioni da acquisire e il giudice dispone l’eliminazione di quelle inutili o di uso non consentito. Il Codice non individua una fase procedimentale in cui questa udienza filtro debba essere collocata; l’acquisizione delle intercettazioni può avvenire anche in dibattimento, e tante volte avviene con una potenziale lesione della riservatezza. Proponiamo di disciplinare più rigidamente questa udienza filtro, lasciando inalterate le altre disposizioni su presupposti e modalità delle intercettazioni, per non depotenziare le indagini.
D. Ritiene tuttora giustificata la legge sulla riservatezza?
R. Il diritto alla riservatezza deve cedere dinanzi ad esigenze pubbliche prevalenti. Di fronte all’azione penale e al contrasto alla criminalità ogni riservatezza deve cedere. Bisogna creare le condizioni perché il dato riservato non venga divulgato e non venga lesa la riservatezza oltre i limiti necessari all’azione di contrasto criminale, ma bisogna sempre tener presente che non c’è lesione se si persegue un interesse pubblico. L’esercizio corretto del potere pubblico non lede in sé la riservatezza, va evitato che i dati riservati vengano manipolati al di fuori del circuito legale.
D. E per le riprese in luogo pubblico?
R. Si vorrebbero imporre agli organi investigativi limitazioni analoghe a quelle previste per le intercettazioni telefoniche, superiori a quelle stabilite per un privato. Secondo la Cassazione, le riprese in luogo pubblico posso essere fatte tranquillamente senza decreto del magistrato. I diritti vanno tutelati, ma non si può imporre all’azione investigativa un limite che non è previsto per l’azione di qualsiasi privato. Si invoca efficienza nella giustizia civile e penale, ma un conto è l’efficienza, uno l’efficientismo. Lo scopo del settore pubblico è rendere un servizio, non realizzare un guadagno.
D. Va abolita l’obbligatorietà dell’azione penale?
R. Va salvaguardata; indebolirla o eliminarla vuol dire creare i presupposti per le diseguaglianze. Invece di continuare a svolgere processi inutili a carico di irreperibili, che si esauriscono con sanzioni minime e che potrebbero essere risolti con la «messa alla prova» anglosassone, dovremmo introdurre strumenti deflattivi e un ordine nella gestione dei processi secondo la gravità, gli effetti sulle persone offese, l’entità della pena, la prossimità della prescrizione, l’applicabilità dell’indulto, cioè criteri rigorosamente oggettivi per evitare discrezionalità e inosservanza del principio di uguaglianza.
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