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SAVINA NEIROTTI: TORINO FUCINA DI IDEE E PROGETTI PER IL CINEMA ITALIANO E INTERNAZIONALE

a cura di ROSSELLA GAUDENZI

 

Anno di festeggiamenti e compleanni cinematografici è stato il 2012 per il capoluogo sabaudo: trent’anni di vita del Torino Film Festival e un lustro per il TorinoFilmLab. Nato nel 2008 come laboratorio internazionale a frequenza annuale, quest’ultimo assiste i talenti emergenti del panorama internazionale nel loro primo o secondo lungometraggio grazie ad attività di training, development e funding. Costola del Torino Film Festival, è promosso dal Museo Nazionale del Cinema e dalla Film Commission Torino Piemonte, ed è partito con un budget annuo di un milione di euro versato da Regione Piemonte, Comune di Torino e Ministero per i Beni e le Attività Culturali. I programmi di training e development si svolgono in parallelo durante l’anno e si concludono con il Meeting Event, durante il quale vengono assegnati i Development Awards che permetteranno ai filmmakers premiati di continuare a sviluppare i progetti nell’anno successivo. Dei 20 progetti premiati in cinque anni, 13 sono già usciti nelle sale cinematografiche o sono entrati in produzione. Illustra l’attività e le prospettive del TorinoFilmLab il direttore Savina Neirotti.

Domanda. Chi ha voluto la nascita del TorinoFilmLab e perché?

Risposta. Dal 1999 al 2001 direttore della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dal 2004 direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino e poi nuovamente a fine 2011 direttore della Mostra di Venezia, durante gli anni della sua prima direzione di quest’ultima Alberto Barbera aveva osservato il nascere, nel resto d’Europa, di iniziative che si occupavano della fase precedente ai Festival, che riguardavano soprattutto lo sviluppo di sceneggiature. Quando si presentano progetti, la formula di maggior successo per produrre film in Europa è la co-produzione. All’epoca le eccellenze nella cooperazione erano il co-production market dell’International Film Festival di Rotterdam, Cinemart, e le operazioni legate maggiormente alla formazione, proprie della Cinéfondation di Cannes. Barbera era consapevole dell’esistenza, negli altri Paesi, di cospicui fondi regionali che finanziavano il cinema; aveva il desiderio di far propria una simile esperienza. L’iniziativa di Torino nacque pertanto da un nostro incontro fortunato.

D. Che ruolo svolgeva lei?

R. Provenivo dalla Scuola di narrazione Holden e mi occupavo di formazione. Nel 2005, volendo aprire i corsi al resto d’Europa, avevo ideato lo Script&Pitch, per la formazione di sceneggiatori professionisti, primo passo verso il TorinoFilmLab. Avevo vinto un bando dell’Unione Europea e all’interno della Scuola avevo cominciato a dirigere, con risultati più che discreti, questo laboratorio di durata annuale. Il progetto aveva un problema di finanziamento non tanto all'estero quanto in Italia, e per questo ne parlai con Alberto Barbera.

D. Che cosa avvenne allora?

R. Da uno scambio di pareri nacque il TorinoFilmLab; un’idea originale non in sé, ma per il modo in cui si sono messi insieme gli elementi per «l’assemblaggio dei pezzi». Il laboratorio ha infatti come sottotitolo i termini «training, development, funding». La finalità era quella di passare da una fase di lavoro all’altra e di creare una fucina in cui fosse possibile rimanere e crescere, per poi uscire ad incontrare il mercato. I tempi di questa fase nel cinema sono tra i più lunghi; è normale che i primi risultati siano palpabili oggi, dopo cinque anni di fatiche.

D. In questo quinto anno del TorinoFilmLab cominciano a raccogliersi i frutti, tra cui la distribuzione in Italia dei film «Buon anno Sarajevo» e «La bicicletta verde». Come lavorerete in futuro nella distribuzione?

R. Da un anno TorinoFilmLab lavora ad allacciare rapporti privilegiati con operatori video-on-demand di qualità, come la francese Univers Ciné con la quale siamo entrati in partnership, e che riunisce otto Paesi europei: si permetterà a un più vasto pubblico di vedere il meglio del cinema indipendente dagli schermi di casa, con arricchimenti di contenuti e notizie sui festival. È difficile che questi film vengano immessi nel mondo video-on-demand, poiché occorre aspettare tempi legati alla distribuzione; vogliamo invece creare un’area curata da noi, uno spazio di qualità. Inizieremo con 4 o 5 opere che nel tempo aumenteranno: non solo film che finanziamo con i fondi di produzione e che saranno prodotti, ma anche opere come «La bicicletta verde», sviluppata all’interno di Interchange, il nostro corso legato al mondo arabo, e che non ha partecipato al Meeting Event né vinto alcun fondo di produzione. È un film ben sviluppato e che riconosciamo come nostro.

D. Quante sono e di che si occupano le sezioni del Laboratorio?

R. Sono sei. Script&Pitch è il corso iniziale, dedicato allo sviluppo delle sceneggiature per professionisti; esso parte da idee allo stato embrionale di stesura, ed ospita 16 progetti da presentare al Meeting Event. I progetti migliori hanno la possibilità di inserimento nel FrameWork, programma dedicato a quelli in sviluppo, basato su formule di co-produzione e di finanziamento, un workshop aperto a registi e produttori; i lavori sono scelti da Script&Pitch ed eccezionalmente c’è la possibilità di accedervi da altre vie.

D. Che cosa è invece Interchange?

R. È un progetto voluto dal Dubai International Film Festival, nella cui co-produzione il mondo arabo incontra l’Europa. In quel mondo non esiste un’industria cinematografica ma risorse finanziarie e storie. Per cui i Paesi arabi hanno deciso di mettere le loro forze in comune con l’Europa e, anziché agli Stati Uniti, si sono rivolti al TorinoFilmLab. Noi svolgiamo corsi in loco ai quali chiamiamo registi e produttori sebbene non ne esistano di veri e propri; vi sono però figure factotum di regista, produttore, direttore della fotografia. Cerchiamo di farli lavorare in team e presentiamo le loro realizzazioni nella Sezione del Festival di Dubai specializzata per progetti attinenti al mondo arabo.

D. Le altre sezioni del Laboratorio cinematografico torinese?

R. Writer’s Room è un particolare programma transmediale rivolto a produttori, story architects, game designer, scrittori, registi, pensato per essere fruito su piattaforme multiple: cinema, televisione, libri, fumetti, videogiochi, internet, social network. È un’opera complessa che rappresenta il futuro perché si espande in più media. Interessante è la selezione di un autore all’anno, gestita da professionisti di diversi campi che lavorano in gruppo al progetto. Dello staff di quest’anno fanno parte un informatico inglese, una sceneggiatrice indiana, una ballerina esperta nel linguaggio del corpo.

D. Ed Audience Design?

R. È dedicata all’elaborazione di sistemi di audience engagement: è un programma minimo, di 4 persone selezionate all’anno per lavorare in parallelo con Script&Pitch. Audience Design affronta il tema del rapporto da raggiungere con un pubblico. Parlando di audience, solitamente si pensa a quella della massa, per cui il filmmaker di qualità non vuole scendere a compromessi. Ma esiste anche un’audience di nicchia che può essere interessata al progetto e va raggiunta; è un’analisi che va fatta non quando il film è completato, ma all’inizio. I quesiti sono: come costruire una community e a chi rivolgersi se si sta realizzando un determinato film. Si parte da un dialogo tra il filmmaker ed esperti appassionati di social network, di transmedia, di cinema, interessati ad operare con lo sceneggiatore.

D. E l’ultima sezione?

R. È AdaptLab, ultima arrivata, inaugurata quest’anno, realizzata in collaborazione con l’International Book Forum del Salone Internazionale del Libro di Torino. È il laboratorio dedicato all’adattamento cinematografico delle opere letterarie. Siamo partiti con otto libri italiani, selezionando sceneggiatori di tutta Europa interessati a un corso sull’adattamento e a lavorare su commissione. Abbiamo ricevuto proposte da tutto il mondo; abbiamo accoppiato gli otto libri ad otto sceneggiatori di Paesi diversi, che li hanno adattati, e che abbiamo fatto incontrare con produttori ed editori. Stiamo a guardare cosa accade; pare che gli sceneggiatori si siano appassionati a due o tre progetti, ne stanno discutendo e hanno contattato dei produttori. Ciò che volevamo creare era uno spazio di dialogo di qualità.

D. A quanto ammonta il budget finanziario annuo del TorinoFilmLab?

R. Eravamo partiti con un budget iniziale di circa 1.140.000 euro così stanziati: un milione dalla Regione Piemonte e dal Comune di Torino, circa 900 mila dalla prima, il resto dal Comune; circa 40 mila dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali; 100 mila dal programma Media dell’Unione Europea per Script&Pitch. Dopo cinque anni la situazione è questa: 750 mila euro da Regione Piemonte e Comune di Torino, 30-35 mila dal Ministero e tutto il resto dall’Unione Europea e da partners stranieri, per un totale che è intorno a 1.400.000 euro l’anno. Quindi siamo passati da un finanziamento totalmente locale ad uno per il 50 per cento italiano, per il 30 per cento dell’Unione Europea avendo vinto 6 bandi su programmi incrociati, e per il 20 per cento di partners esteri, di provenienza ogni volta diversa perché ogni volta svolgiamo workshops in Paesi diversi.

D. La legge di stabilità per il 2013 ha previsto un taglio di 11,5 milioni al Fondo Unico per lo Spettacolo. Ne risentirà il TorinoFilmLab?

R. Il milione di euro della Regione Piemonte è sceso a 650 mila euro in questi cinque anni, ma il taglio maggiore è avvenuto nel 2012. I fondi europei sono stati tutti confermati per il 2013 e per il 2014, e già conosco i partners dei prossimi due anni. Peraltro il TorinoFilmLab è un progetto del Museo nazionale del Cinema e Fondazione Maria Adriana Prolo, che comprende museo, cineteca, fototeca, fonoteca, bibliomediateca, sale cinematografiche e i tre festival di Torino Film Festival, cioè TorinoFilmlab, GLBT Film Festival e CinemAmbiente.

D. Come vengono gestiti i finanziamenti ricevuti?

R. Vanno al Museo che li ripartisce tra le varie componenti. Localmente chi tratta per tutti è il Museo nazionale del Cinema. Il mio progetto prevede l’indizione di bandi per ottenere il 50 per cento delle risorse mancanti al TorinoFilmLab. Abbiamo lavorato molto con i bandi dell’Unione Europea e con le partnership, ed ora sarà forse più semplice ottenere fondi perché ci siamo costruiti un’identità. I nostri corsi svolti in Paesi stranieri ci fanno conoscere e sostenere all’estero: offriamo vantaggi al Paese ospitante che sostiene i costi del workshop. Parlo di circa il 20 per cento dei costi; il lavoro di ricerca dei fondi è estenuante perché ogni partner non può erogare più di tanto: ottenere anche 10 mila o 15 mila euro è un’estrema fatica.

D. Quali somme richiede ogni singolo progetto?

R. Oltreché nei sei corsi esaminati, le attività del TorinoFilmLab consistono nell’annuale Meeting Event e nei fondi di produzione, ossia nella nostra quota di coproduzione dei film. Premesso che il fondo medio del corso Script&Pitch copre il 50 per cento dei costi, il costo annuo dei workshop di Script & Pitch, Writer’s Room e Audience Design è di 300 mila euro. Il 50 per cento di questa somma, pari a 150 mila euro, proviene dall’Unione Europea ed è destinata in parte a coprire i costi del personale e le spese generali, che non possono superare il 25 per cento dei costi totali. Nell’impiego dei fondi il TorinoFilmLab è estremamente oculato: ha solo due project manager e un ufficio ospitalità fissi, 12 collaboratori esterni in gran parte stranieri e una gestione agile e dinamica, il che consente bassissimi costi di ufficio.

D. E le altre iniziative?

R. Interchange ha un costo di circa 200 mila euro, Adapt Lab di altrettanto, somme provenienti dai fondi dell’Unione Europea, dall’International Book Forum e da partners vari. FrameWork non ha alcun finanziamento e costa da solo 100 mila euro; il Meeting Event circa 200 mila, infine 350 mila-400 mila euro vanno ai fondi di produzione. Tranne FrameWork, ad ognuna di queste componenti corrisponde un bando di concorso. Per la gestione di FrameWork, invece, non abbiamo mai ideato un bando perché in questo settore lasciamo la totale libertà. Siamo arrivati a questa situazione: per Script&Pitch arrivano ogni anno 100 domande dall’Europa e 100 dal resto del mondo; in base alle regole stabilite nei bandi, se ne possono accogliere 10-12 dall’Europa e solo 5 da Paesi extraeuropei. Dove è che non possiamo accettare condizioni? Sul programma che dà direttamente accesso alla giuria e rende il massimo onore al merito, ossia il FrameWork.

D. In quali termini si può parlare di crisi economica e di ritorno finanziario per il TorinoFilmLab?

R. Essendo l’iniziativa per il 50 per cento dei costi ancora sostenuta finanziariamente, mi sento di poter affermare che, quando si parla di crisi, è crisi per tutti: si taglia nella cultura e si taglia nel Torino Festival, quindi le difficoltà sono pari a quelle di tutti. I fondi stanziati nel 2012 sono scesi del 35 per cento; per il 2013 non ci si può ancora pronunciare. Però mai, come nel 2012, abbiamo ottenuto i fondi dall’estero e il budget è rimasto complessivamente intatto. La crisi si è sentita indubbiamente, ma con un team funzionante si riesce a farvi fronte, lavorando di più, in maniera eccellente e senza sprechi.

D. Quale progetto preferisce?

R. È difficile rispondere perché ognuno ha un significato profondo: Script&Pitch è stato il primo laboratorio grazie al quale ho capito cosa doveva essere il Torino Festival, un luogo di sperimentazione e una fucina di idee. Interchange ha presto conquistato un brand per il Festival; per mia natura mi avvicino all’AdaptLab che mette insieme molti mondi e assorbe molte mie energie. Ogni azione rappresenta bisogni e sfaccettature diverse, ed è sempre più difficile mantenere l’equilibrio generale. Nel 2008 si sperava di lanciare un progetto che man mano si consolidasse e concedesse attimi di riposo: è accaduto il contrario. Non si può abbassare la guardia, si deve fare sempre di più con minori risorse.

D. Non sono troppi tre festival di cinema: Venezia, Torino, Roma?

R. Trattandosi di manifestazioni culturali, non giudico a priori. Il problema è come sono realizzati, con quali collaborazioni e identità; è questione non di quantità ma di qualità. Inutile fare doppioni. Il TorinoFilmLab opera invece secondo un’ottica diversa, non è un festival, è un laboratorio che si radica nel territorio ma ha un respiro e una riconoscibilità internazionali. 

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