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pierpaolo sileri: laparoscopia del colon ma non solo, l’italia compete a livello mondiale

Pierpaolo Sileri

Laureatosi in Medicina nel 1998 nell’università romana di Tor Vergata, grazie a una borsa di studio e a quello che era ed è il suo maestro - il prof. Achille Lucio Gaspari, specialista in chirurgia generale -, Pierpaolo Sileri si recò negli Stati Uniti dove, dopo un anno di attività, ricevette il primo contratto grazie ai progetti, eseguiti ed approvati, nella ricerca di base e soprattutto nel settore dei trapianti dell’intestino e del pancreas. Vi rimase per tre anni poi, declinando l’offerta di un lavoro, tornò in Europa per specializzarsi a Oxford, dove soggiornò per un altro anno e mezzo prima di rientrare in Italia e concludere la specializzazione nella stessa università in cui si era laureato, appunto Tor Vergata.

Domanda. Com’è sorta la struttura presso la quale operate a Tor Vergata?

Risposta. In un nuovo ospedale, abbiamo creato un centro di riferimento per la laparoscopia del colon. Oggi con la nostra struttura e con la nostra capacità di insegnamento ci troviamo a competere con centri di livello internazionale, esistenti negli Stati Uniti, in Francia, Inghilterra e Germania. Da tutta Europa vengono da noi chirughi per imparare nuove tecniche e nuovi metodi. Facciamo parte dei consigli direttivi di molte società mediche internazionali. Elevatissimo è il livello scientifico, che dimostriamo prevalentemente nei congressi internazionali e nelle pubblicazioni scientifiche.

D. Qual è il vantaggio della vostra organizzazione?

R. Operare in équipe è essenziale, perché nell’interno di essa anche l’ultimo arrivato, il «research fellow», svolge un proprio ruolo. Una nuova idea, infatti, può nascere anche dall’elemento più giovane; per questo motivo, in una squadra che compie questo tipo di lavoro non può esistere un «assolo». Fondamentale è la sinergia tra le chirurgie generali esistenti (unità operative complesse) dirette dai professori Gaspari e Petrella, e le varie branche specialistiche.

D. Avete rapporti con enti, società, organizzazioni esterne?

R. I rapporti con le ditte esterne, anche straniere, fanno parte della normalità del nostro lavoro; alcune di esse finanziano la ricerca, e noi contiamo molto su tali apporti esterni. La nostra utenza, in generale, cresce sempre e chiede sempre di più, perché la gente preferisce rivolgersi alle strutture innovative, nelle quali possano trovare nuove risposte in una situazione in cui spesso, anche a causa della crisi economica, risposte non ve ne sono. La tecnica della laparoscopia da noi praticata è molto richiesta, trattandosi di interventi chirurgici. Grazie ad internet, oggi i pazienti giungono negli studi medici abbastanza informati, anche se non di rado trovano, nella rete, risposte sbagliate; comunque l’utenza è molto esigente.

D. Cosa dite a chi si rivolge a voi?

R. Il paziente deve essere al centro della nostra attenzione, un principio che deriva, oltre che da un giusto metodo etico, anche dalla responsabilità di ogni operatore della sanità pubblica, nella consapevolezza che una considerevole parte delle tasse dei contribuenti è finalizzata proprio alle prestazioni sanitarie. L’efficienza della nostra sanità è di pari livello di quella della sanità americana, nella quale solo chi non è assicurato deve sottoporsi a liste d’attesa molto lunghe. Se io sono tornato in Italia, è perché mi sento italiano, e questo non è poco, anzi è tutto.

D. Perché allora i giovani di talento se ne vanno dall’Italia?

R. Da noi, spesso, si cade nella tentazione di accontentarsi delle condizioni esistenti. Il giovane ricercatore, in Italia come in tutto il mondo, vive invece di obiettivi e di nuovi impegni. La fuga dei cervelli si può evitare o ridurre se a un quarantenne viene concesso un sogno: se gli viene dato un obiettivo, un traguardo da raggiungere. In tale caso quel soggetto non avrà motivo di allontanarsi. Bisogna offrire anche sogni, perché non si tratta soltanto di soldi. Una sistemazione in Italia alla fine sempre si trova, anche se non sempre si fa ciò per cui si è studiato e ci si è formati.

D. Allora i giovani non fuggono dall’Italia perché da noi non trovano un lavoro?

R. Credo che chi fugga dall’Italia non lo fa per il guadagno, non perché non ha un lavoro, ma perché desidera altro. Io me ne andai per poter fare, oggi, quello che i giovani di oggi potranno fare fra cinque anni, per avere la possibilità di imparare tecniche avanzate da professionisti bravi e affermati. Noi abbiamo non solo tecnologie, ma anche intelligenze migliori, lo dimostra il fatto che negli Stati Uniti gran parte dei leader, dei primari nella medicina, sono europei. Noi soffriamo piuttosto di carenze strutturali e materiali, ci mancano le disponibilità, soprattutto adesso con la crisi economica. Ma una gran parte delle invenzioni sono nostre. Il servizio sanitario nazionale eroga assistenza a tutti, certamente questo è un vantaggio per la popolazione, ma il sistema va razionalizzato. Nel complesso, non siamo secondi a nessuno.

D. In Europa qual è la situazione?

R. Inghilterra, Germania e Francia sono al livello dell’Italia. La prima ha, probabilmente, un sistema migliore relativamente alla razionalizzazione della spesa: nell’ospedale di provincia il livello di cura dei pazienti è analogo a quello della grande città. Se dovessi consigliare a un giovane un tipo di formazione, indicherei senza dubbio l’Inghilterra, ove vigono sia un sistema mutualistico sia una cultura europea che pone al centro dell’attenzione il benessere del paziente. Personalmente mi sono formato in Inghilterra. Abbiamo medici laureatisi in Italia che sono andati in Francia, dove si sono trovati benissimo. La Germania è un Paese più difficile, ha caratteri più rudi e una lingua lontana dalla nostra.

D. Perché aumenta continuamente il numero dei malati?

R. L’utenza delle strutture sanitarie cresce per l’aumento del numero degli anziani e dell’età media nei Paesi industrializzati. La soglia si è spostata in avanti. Inoltre l’utenza di oggi è molto accorta e consapevole delle proprie possibilità. Una donna di 70 anni, ad esempio, è autonoma, guida l’automobile, vuole stare bene; un’ampia quota di pazienti chiede il ripristino delle funzioni del corpo per cui preferisce la chirurgia funzionale. In generale, grazie alla diffusione della cultura il paziente chiede di più ma cresce anche la tensione nel rapporto tra il medico e il paziente. Ci troviamo ad intervenire chirurgicamente su pazienti molto anziani, ultraottantenni ed anche ultranovantenni. Sempre più frequentemente operiamo pazienti vicino ai 100 anni. Non operiamo solo con il team interno del reparto chirurgico, ma anche con specialisti di altri campi, in una multidisciplinarità ampia, estesa perfino al settore medico legale.

D. Quali vantaggi comporta la vostra tecnica?

R. La chirurgia laparoscopica mini-invasiva del colon offre maggiori vantaggi per il recupero del paziente, meno stress per lui ma più stress per il chirurgo. Evitando il bisturi e in assenza di problemi derivanti da aderenze, ernie e situazioni tumorali, il paziente torna prima a casa. Altri vantaggi il maggior rispetto di organi come i nervi, la riduzione delle disfunzioni sessuali nell’uomo ma anche nella donna. Un «taglio» fa sentire il paziente malato, mentre l’intervento all’interno dell’organismo attraverso accessi naturali assicura una sensazione di benessere e un recupero maggiore. Il rischio di ricovero dopo un intervento di laparoscopia è venti volte più basso, non c’è un altro esempio di pazienti con un simile decorso post-operatorio. Nel morbo di Chron, ogni 10 anni una buona percentuale di pazienti deve tornare sotto i ferri, per cui non staranno mai bene. Se si aggiunge il danno estetico, in una ragazza l’intervento crea anche problemi psicologici. Lo stesso per l’endometriosi, che comporta il rischio di non poter avere figli. I nostri sistemi chirurgici sono riconosciuti in tutto il mondo; svolgiamo ricerche congiunte con altri Paesi. Per la chirurgia del prolasso rettale partecipiamo allo studio Lapros, iniziativa Europa-Usa attuata congiuntamente da cinque Paesi.

D. Altre tecniche di avanguardia?

R. Stiamo valutando l’uso di reti biologiche nell’apparato rettale per evitare il prolasso; è una tecnica mutuata dall’esperienza di un belga, molti vengono ad apprenderla da noi a Tor Vergata. Ai nostri corsi partecipano molti studiosi provenienti dal centro e dall’est Europa, non dall’Inghilterra o dalla Francia ma ad esempio dalla Turchia. Stiamo studiando tecniche per trattare fistole perianali senza tagliare un muscolo. In definitiva, insieme allo starring committee, comitato di valutazione di cinque Paesi, puntiamo a meno tagli e a risultati migliori. 

Tags: Gennaio 2013 ssn giovani strutture sanitarie università medici trapianti

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