Giulio Romani (First-Cisl): il sistema bancario al bivio, per uscire dalla crisi necessari interventi strutturali
Anche se con molto ritardo, si sta facendo finalmente strada a Bruxelles la consapevolezza che la crisi delle banche non investe un singolo Paese, ma tutta l’Europa.
Probabilmente il grido d’allarme che è venuto dalla situazione degli istituti di credito in Germania, in particolare quella del colosso Deutsche Bank che rischia il collasso per l’impatto violento della enorme valanga dei derivati, ha spostato decisamente l’attenzione su uno scenario molto più ampio, che solo fino a qualche settimana vedeva nella graticola solo il sistema bancario italiano. Le banche, peraltro, non è che godano di perfetta salute neppure in Francia, Spagna, Portogallo, Austria, Irlanda e Gran Bretagna, paese nel quale i venti dopo il Brexit fanno presagire significative turbolenze.
Intanto una curiosità: le banche in Spagna sono 144; in Francia 592; in Germania 1698; in Italia 413, di cui 360 Bcc. Al di là dei numeri, pur significativi, tutte le banche in Europa soffrono, in primo luogo per i tassi d’interesse troppo bassi, che generano un robusto restringimento dei livelli di redditività.
Alcuni sistemi più di altri. Tra questi ultimi anche l’Italia. Il problema serio che si pone, pertanto, all’Unione Europea è un deciso cambio di passo, evitando ogni inutile quanto ingiustificato allarmismo, per assumere coerenti iniziative di sostegno.
Certo per le banche in questa «tormentata» transizione ma, e soprattutto, per stimolare la crescita dell’intera economia del vecchio continente, che trova nel credito la sua fonte di linfa vitale.
Ma veniamo alla condizione delle banche nel nostro Paese. Poniamo a Giulio Romani, segretario generale della First-Cisl, Federazione italiana reti dei servizi del terziario, uno dei più importanti sindacati del comparto, alcuni spunti di riflessione.
Domanda. Come vede la situazione del nostro sistema bancario?
Risposta. Al netto di tanti fattori di criticità che lo hanno investito in questi ultimi mesi, e dei quali la cronaca ha dato ampio risalto, i fondamentali sono salvaguardati. È sufficientemente solido, anche se la piovra dai tenaci tentacoli, alimentati dal volume impressionante delle sofferenze e dei crediti deteriorati, pone seri problemi. Credo che il primo obiettivo, anche sulla positiva esperienza del Fondo Atlante 1, sia quello di alleggerire questo pesante fardello a prezzi meno scontati rispetto a quelli offerti dai fondi, anche per contenere il potenziale impatto sui patrimoni delle banche. Non siamo all’allarme rosso, anche se credo che sia opportuno mettere in atto la possibilità di un intervento pubblico, se si vuole anche in termini prudenziali.
D. Parla di un intervento dello Stato?
R. È la linea che persegue il Governo e le nostre autorità monetarie. La condividiamo. Niente di scandaloso, anche in relazione al fatto che, in concomitanza con l’esplosione della bolla speculativa che ha travolto i mercati mondiali nel 2008, molti Stati, a partire dagli Stati Uniti e dalla stessa Germania, hanno inondato di impressionanti volumi di risorse statali i rispettivi sistemi creditizi. Quella terrificante nube tossica ha lambito certo anche il nostro sistema, ma senza provocare pesanti disastri.
D. Ci sarà pure qualche motivazione.
R. Sta nella stessa anomalia del modo di operare delle nostre banche. Al contrario, infatti, delle altre banche, nelle diverse realtà del mercato globale, che non hanno saputo contrastare la sirena della speculazione, investendo due terzi del totale dei loro attivi nella finanza, il sistema in Italia vi ha investito solo un terzo, restando saldamente ancorato all’economia reale. Ed è da questa scelta che derivano le attuali difficoltà, con le quali ci misuriamo momento per momento.
D. Può spiegare meglio?
R. La bolla speculativa, che nella sua esplosione ha travolto le banche, sollecitando gli Stati ad interventi molto forti per salvarle ed impedire il loro fallimento, ha solo sfiorato il nostro sistema. Lo ha letteralmente travolto, invece, la lunga crisi dell’economia reale. Il problema più acuto del nostro presente ha lì la vera causa di un volume così ragguardevole delle sofferenze e dei crediti deteriorati. Il dilagare vorticoso della crisi, che ha investito le imprese dei diversi comparti, la caduta verticale dei livelli di occupazione ha appesantito la condizione delle famiglie ed ha fatto saltare gli equilibri di un corretto rapporto con le banche. Se a ciò poi si aggiungono i comportamenti tutt’altro che lineari ed attenti alla gestione prudente e sana, che ha investito le governance di alcuni segmenti del mondo bancario, si ha davvero l’esatto quadro delle serie questioni che il sistema Paese deve affrontare: Adesso e non in un futuro lontano ed incerto.
D. E quindi cosa fare?
R. Bella domanda. A problemi così complessi non esistono soluzioni facili né possiamo pensare di riesumare strumenti antichi arrugginiti ed improponibili. Dobbiamo ridisegnare una nuova strategia. Ed è quanto la mia organizzazione sta facendo. A partire dal superamento di qualche vizio antico, tipicamente italiano, per ristabilire, ad esempio, un netto confine tra legittimo ed illegittimo, con un’azione ferma sulle parti correlate, che hanno generato vere mostruosità operative, con il perverso intreccio di interessi, che sono poi sfociati nel cristallizzare un volume così elevato di sofferenze e di crediti deteriorati. Non imputabili appunto, solo a famiglie e piccole imprese, perché facenti capo a grandi gruppi ed operatori finanziari. Una distorsione che conferma che si è scelta la strada nella concessione dei crediti di dare molto a pochi e poco a molti.
D. Lei prima parlava di strategia.
R. È l’unico modo per dare risposte alle attuali difficoltà che attraversano il sistema bancario, a partire da una profonda rivisitazione della «mission» di una azienda di credito, che deve trovare nel rilancio della attività caratteristica, tutela del risparmio e sviluppo degli impieghi, il circuito virtuoso di consolidamento e di crescita. Ritrovare, in buona sostanza, quella funzione originaria che la stessa Carta costituzionale determina e tutela. Senza, peraltro, trascurare la funzione sociale che le banche devono assicurare. È in questo nocciolo duro che è possibile attivare un crescente livello di fiducia, oggi molto compromesso, perché imprese e famiglie ritrovino il necessario tessuto connettivo per avviare nuove intraprese. E vedano nelle banche un motore potente per affrontare le sfide del presente e per costruire il futuro.
D. E se il cavallo non beve, nel senso che è molto labile la richiesta di credito?
R. Ci sarà una ragione. La vedo, in primo luogo, nell’incertezza che attraversa l’attuale quadro economico e sociale. Non a caso insisto sulla fiducia. Ed inoltre sul fatto appunto che le banche, accanto allo sviluppo dei sevizi, affinino gli strumenti più opportuni per stimolare nuovi investimenti, da quelli più tradizionali a quelli più innovativi. Tenendo conto che questo è il comparto più globalizzato, dove tutto avviene e si consuma in tempo reale, che non può poggiare sulle tradizionali modalità operative. Le banche devono affiancare alla tradizionale attività di intermediazione del denaro una serie di servizi di consulenza che contribuiscano a generare valore aggiunto anche di natura sociale. Per esempio, le banche potrebbero mettere a disposizione della clientela supporti formativi per l’educazione finanziaria. Ne trarrebbero un incremento delle competenze dei clienti con conseguenti migliori possibilità di affari, ma non solo. Riporterebbero al centro del rapporto con i clienti trasparenza e fiducia. Altrettanto le banche potrebbero agire con servizi di consulenza alle Pmi, per aiutare le piccole imprese italiane a crescere ordinatamente. Per fare queste cose occorre flessibilità organizzativa, investimenti in formazione ed utilizzo delle più avanzate tecnologie.
D. Le banche sono pronte?
R. C’è molto da fare. Punti importanti sono connessi al superamento di ogni possibile nebulosità nella governance che scaturisce sovente dallo stesso modello societario; ad una revisione profonda nel sistema interno dei controlli, che deve essere capace di operare in piena autonomia, in grado di valutare la rischiosità del prodotto che si offre insieme al livello di rischio che il cliente è in grado di sopportare. Punto dolente resta la mancata piena valorizzazione delle risorse umane, componente centrale del successo di una banca. A maggior ragione nel passaggio molto stretto ed impegnativo che occorre percorrere. Per raggiungere crescenti livelli di efficacia e di efficienza, occorre investire sul personale per elevare gli attuali livelli di professionalità e per facilitare l’ingresso di energie fresche, molto preparate per meglio rispondere alle esigenze della clientela ed alle grandi sfide della stessa competizione. Ma non basta.
D. Può precisare?
R. Un profondo processo di riforma del nostro sistema bancario, che richiede certo un significativo adeguamento patrimoniale, necessita di una forte coesione fra tutte le sue componenti. Una coesione che si realizza anche attraverso il più ampio coinvolgimento del personale. Coinvolgimento da realizzare attraverso una sua partecipazione attiva anche nella definizione delle strategie aziendali. È indubbio che questo presuppone, da parte nostra, e lo stiamo facendo, dirigenti sindacali molto più preparati, non solo per reggere il confronto, ma per contribuire ad affermare davvero quel nuovo modello di banca che il Paese si aspetta.
D. Intanto si affacciano due questioni piuttosto spinose. La prima: la riorganizzazione della rete degli sportelli.
R. Siamo pronti ad affrontare il problema, come pure a contrastare ogni velleitario disegno di sostituire la rete degli sportelli con la rete internet, in una visione di banca che, in nome della massimizzazione dei profitti e della marginalizzazione dei costi, immagina di indebolire un servizio di vitale importanza per la crescita economica e sociale del Paese. Spingere sul trading online, riducendo le commissioni per renderlo appetibile e accessibile per chiunque, riflette un atteggiamento non dissimile da quello del Governo che, per fare cassa, fa installare slot-machine ogni cento metri, incentivando il giuoco d’azzardo. Ed i meccanismi della borsa riflettono questa sottile tentazione del guadagno facile.
D. La seconda: ridurre i costi, anche attraverso il contenimento degli organici.
R. Abbiamo già dato. Come sottolineano i più attenti analisti un punto di forza del nostro sistema è proprio il basso rapporto tra costi e ricavi. Occorre migliorare per conseguire maggior efficienza? Siamo pronti a fare la nostra parte, ma senza derogare alle finalità dell’attività bancaria, che risentono oggi pesantemente le ingiurie di un sistema economico sempre più orientato a fare del capitale delle banche un investimento finanziario.
D. Nel dibattito si accentua da parte delle imprese il ricorso alla contrattazione integrativa.
R. Messa così sa tanto di una scorciatoia per indebolire il contratto nazionale. Intanto una premessa: per affrontare un vero disegno di riforma occorre costruire un nuovo modello di relazioni industriali. Lo abbiamo avviato con il nostro rinnovo del contratto nazionale, scontando notevoli resistenze nella nostra controparte: l’Abi. Pur in un percorso piuttosto tortuoso e molto impegnativo, abbiamo realizzato un positivo cambiamento di rotta, che ha poi trovato nella intesa di rinnovo i nuovi paradigmi di riferimento. Ne richiamo, in sintesi, i tratti salienti: il miglioramento dei livelli salariali e il ripristino delle progressioni di anzianità; la salvaguardia dell’occupazione anche attraverso l’attribuzione di nuove funzioni al Fondo per l’Occupazione; la conferma dell’area contrattuale. Poi si è potenziato l’impianto della contrattazione di secondo livello, dove si potranno negoziare i profili delle nuove professionalità. Si è anche confermata la vocazione del settore alla costruzione di una completa struttura di welfare con forme di integrazione sanitaria, di previdenza integrativa, di assistenza e sostegno alla vita privata. E infine si è ribadita la possibilità della contrattazione integrativa di individuare e distribuire i benefici connessi agli incrementi di produttività.
D. Cosa occorre fare?
R. In primo luogo bisogna fare chiarezza sullo stesso concetto di produttività che permetta un criterio davvero oggettivo di misurare la stessa. E dove misurarla? Non a livello di sistema perché si penalizzerebbero le aziende virtuose, contrapposte a quelle che vanno male, ma a livello aziendale, lasciando un varco aperto a livello di gruppo per sterilizzare gli effetti di gestione che talvolta penalizzano aziende dello stesso gruppo. Mi pare importante, infine, sottolineare cha la relativa parte salariale sia sostenuta da stabili ed adeguate agevolazioni fiscali.
D. Cosa ci dobbiamo aspettare per l’immediato futuro?
R. Preferisco guardare al presente. Abbiamo scoperto che l’erba del vicino non è più verde della nostra. Può essere una magra consolazione se il sistema Paese non avrà la forza e la capacità di riportare l’Unione europea a fare i conti con la realtà, adeguando i regolamenti che nella loro paranoia burocratica rischiano di strangolare, non solo le banche, ogni pur timida prospettiva di crescita e di tracollo del modello sociale. Noi, con tutta la Cisl, lavoriamo, con coraggio e determinazione, ad una prospettiva, radicalmente diversa.
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