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MARIO CATANIA: così abbiamo avviato il cammino verso una nuova agricoltura

Mario Catania, ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali

Nominato il 16 novembre 2011 dal presidente della Repubblica ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali nel Governo Monti, Mario Catania ha una conoscenza del settore rara nei politici chiamati solitamente a far parte di Governi senza una precedente, specifica competenza. È entrato, infatti, nello stesso Ministero appena due anni dopo il conseguimento della laurea, cioè nel 1978. Primo lavoro, nella Direzione generale degli Affari generali, quindi via via ha ricoperto diversi ruoli in molteplici ambiti. Ma la sua maggiore esperienza l'ha maturata nell'ambito della Pac, ossia la Politica agricola comune. Se ne è sempre occupato dal 1987 ed è considerato uno dei massimi esperti in Italia. Nel 1997 ha prestato servizio a Bruxelles nella Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione Europea, occupandosi dei rapporti con le istituzioni e gli uffici comunitari e delle normative europee relative al settore agricolo. Ha assunto poi altri incarichi di primo piano e nel 2008 è stato nominato direttore generale delle Politiche comunitarie e internazionali di mercato.

Domanda. Può fare il punto su quello che il Governo Monti ha fatto nel suo settore, sui programmi e sulle tendenze di questa società, dopo le grandi trasformazioni subite dall’agricoltura dal dopoguerra ad oggi?

Risposta. Una considerazione di carattere generale da fare riguarda il primo passo che il Governo Monti si è riproposto, all’atto del proprio insediamento, di far compiere all’agricoltura, a differenza di quanto è stato fatto negli ultimi 25 anni: cioè un salto di qualità, consistente in un ripensamento della politica nazionale per il settore. Negli ultimi 25 anni, infatti, precisamente dopo la gestione del Ministero da parte del ministro Giovanni Marcora, tutti i Governi che si sono succeduti hanno sempre concepito l’agricoltura semplicemente come un problema di rapporti con la Comunità Europea. E poiché, effettivamente, le decisioni adottate a Bruxelles costituivano una parte rilevante della politica agricola, e riguardavano tutta la Comunità, in un certo modo l’attività del ministro e del Ministero si era via via concentrata in quella direzione, mentre si attenuava la percezione della necessità di una politica di interventi nazionali per la filiera agroalimentare che, invece, appunto Marcora aveva tentato di attuare.

D. Che cosa avete fatto allora in proposito? R. Abbiamo avviato una serie di misure e di interventi nazionali per il settore, naturalmente senza trascurare Bruxelles. Il primo e forse anche il più importante atto è stato quello del cosiddetto «Cresci Italia» sulle liberalizzazioni. Con l'articolo 62 si sancisce che tutti i passaggi di prodotti all’interno della filiera devono essere accompagnati da contratti in forma scritta, e che i termini di pagamento degli stessi devono essere eseguiti entro 30 giorni per le merci deperibili, ed entro 60 per quelle non deperibili. Ed inoltre prevede severe sanzioni per tutti i comportamenti sleali. D. Qual è il fine di queste norme?

R. Da un lato è quello di sgombrare il campo da tutta una serie di comportamenti opachi, che c’erano e ci sono, all’interno della filiera, nella quale operano tante intermediazioni spesso non necessarie o non trasparenti; e di circoscrivere la cosiddetta economia in nero che nel settore poteva essere presente in una misura non trascurabile. Da un altro lato, quello di rafforzare i soggetti deboli, perché con un contratto scritto e con termini di pagamento abbastanza brevi si rafforzano contraenti deboli come gli agricoltori, ed anche le piccole imprese alimentari che riforniscono la grande distribuzione. Di questo provvedimento sono molto soddisfatto, perché le norme sono già entrate in vigore e i primi risultati sono valutati positivamente. Quindi continuiamo a lavorare per migliorare questi meccanismi.

D. Quali altre misure sono in cantiere in questo scorcio di legislatura?

R. Un altro intervento, che ricordo con soddisfazione perché molto sentito e necessario, è il disegno di legge che abbiamo presentato in Parlamento nonostante i tempi limitati a disposizione per la sua approvazione, e che è diretto a contrastare la continua cementificazione dei terreni agricoli. Il provvedimento ha avuto una grande eco ed ha raccolto molti consensi in tutto il Paese. Sul tema, l’opinione pubblica si è mostrata molto sensibile. Anche questo è un problema che era stato rimosso, del quale per decenni non si era più parlato in campo politico, mentre in realtà è un fenomeno grave; se si continua a cementificare, come è avvenuto finora, spazi verdi e terreni agricoli, si causa un danno ai nostri figli e nipoti, e a tutti coloro che vivranno in questa terra nei prossimi secoli.

D. E sul problema della scarsità di acqua?

R. Anche su questo abbiamo avviato una riflessione. Dobbiamo imparare ad avere un rapporto diverso con l’acqua e soprattutto a gestire bene e a conservare questa risorsa. Oggi le precipitazioni sono più concentrate nel tempo, con una forte tendenza alla loro diluizione e alla dispersione. Bisogna fare in modo di trattenere l’acqua, e per ottenere ciò occorrono investimenti in infrastrutture, nella costruzione di una nuova rete di invasi. Abbiamo posto molta attenzione anche alla difesa del made in Italy, ci siamo impegnati a tutti i livelli, in sede nazionale, a Bruxelles, ma anche in sedi internazionali, attraverso rapporti bilaterali perché la tutela del made in Italy è fondamentale per gli interessi e il reddito dei produttori.

D. Attualmente quali temi sono trattati in sede europea?

R. In questi giorni è in corso un negoziato sul bilancio dell’Unione Europea e sulla riforma della Politica agricola, due argomenti collegati. Sono stato a Bruxelles insieme al presidente del Consiglio Monti, il quale ha dedicato molta attenzione agli argomenti in discussione e ha partecipato a una fase molto delicata del negoziato in seno al Consiglio Europeo, che ha discusso sul bilancio dell’Unione dei prossimi 7 anni. Si tratta di una decisione importante anche per l’agricoltura, perché una notevole parte di esso è destinata a questo settore. In quella sede si comprende, con soddisfazione, quanto sia utile avere un presidente come Monti, che gode di grande autorevolezza in campo europeo e riesce ad incidere realmente sull’andamento dei negoziati.

D. I piani regolatori considerano agricole anche zone improduttive e rocciose solo perché tale destinazione serve ad impedirne l’edificazione; tali aree non andrebbero detratte da quelle più propriamente agricole?

R. Le aree effettivamente coltivate sono in realtà inferiori a quelle statisticamente censite come agricole, ma questo aggrava ulteriormente il quadro perché significa che la nostra potenzialità agricola è inferiore a quella che appare. Comunque è essenziale astenerci dal costruire nuove strutture abitative e di vario tipo nelle migliori aree coltivate del Paese. Ovviamente questo non può essere un dogma assoluto, possono consentirsi delle eccezioni, ma bisogna smetterla di affrontare con leggerezza questo problema. La pianura padana è popolata di capannoni vuoti; prima di costruirne dei nuovi, cerchiamo di usare quelli dismessi. Sono moltissimi gli edifici sparsi per il Paese, l’edilizia non dovrebbe tendere a realizzare sempre nuove strutture, ma a riqualificare le zone già costruite, totalmente o parzialmente degradate, come tante periferie. In esse dovremmo concentrare i nostri sforzi.

D. L’attività agricola oggi richiede grandi investimenti e grandi superfici accorpate; come gestire aree frazionatissime, in gran parte abbandonate, e come riuscire ad adempiere i numerosissimi obblighi imposti?

R. Negli ultimi 60 anni la nostra agricoltura è stata sempre penalizzata, ed è tuttora così, dall’esistenza di una taglia aziendale media bassa, inferiore a 9 ettari per azienda, mentre in Europa ammonta a varie decine di ettari. Questo riduce la capacità del Paese di competere in campo internazionale, anche se va detto che in molti casi i nostri agricoltori hanno affrontato e risolto questo problema qualificando le proprie produzioni, sopperendo alla scarsa dimensione aziendale con l’elevata qualità e la specializzazione. Certamente occorrerebbe incentivare l’aumento di aziende di maggiori dimensione; purtroppo, soprattutto in questo momento, non sono disponibili adeguate risorse finanziarie. In alcune zone del Paese in cui la frammentazione è altissima, vi sono regioni, come la Campania, nelle quali l’estensione aziendale media è veramente bassa, e questo ha costituito sempre un problema.

D. Fino a 20-30 anni fa tante piccole proprietà agricole erano coltivate non industrialmente, ma familiarmente ai fini di autoconsumo. Non si può stimolare una ripresa del fenomeno?

R. È un sistema che, incentivato nel dopoguerra dalla riforma agraria attuata agli inizi degli anni 50, ha retto per pochissimi anni, dopodiché masse di agricoltori che coltivavano quelle piccole proprietà abbandonarono il settore trasferendosi all’estero o andando a lavorare nell’industria e nei servizi. È chiaro che chi non è riuscito a riqualificarsi con produzioni particolari tali da compensare la mancanza di dimensioni adeguate, è progressivamente uscito dal mercato. Ma ora si assiste ad un ritorno di attenzione da parte dei giovani nei confronti dell’agricoltura.

D. In che senso avviene questo?

R. Dopo un periodo in cui sembrava offensivo invitare i giovani a lavorare nell’agricoltura, adesso c’è una nuova attenzione verso questo settore, anche perché è svanita l’illusione dell’industrializzazione. È chiaro però che ai giovani occorrono adeguati incentivi per gli investimenti iniziali; in questo campo stiamo cercando di migliorare la normativa comunitaria, che prevede aiuti per il cosiddetto primo insediamento; e inoltre va facilitato anche l’accesso al credito.

D. Una ripresa dell’agricoltura è determinata certamente da fattori economici; ma non occorre anche, e soprattutto, una nuova predisposizione culturale?

R. Questa sta cominciando ad avviarsi positivamente. Venti o trent’anni anni fa, per esempio, le ragazze non volevano più fidanzarsi con gli agricoltori perché questa era considerata una soluzione degradante; nelle campagne si aspirava a vivere in città, con un marito che magari lavorasse in fabbrica. Questo in buona misura è ormai alle nostre spalle, i giovani non hanno più un atteggiamento di preclusione netta nei confronti dell’agricoltura. È chiaro, però, che devono essere aiutati a trovare la giusta dimensione aziendale, a compiere gli investimenti più corretti, ad avere accesso al credito. Si tratta, infatti, di un’attività che all’inizio richiede dei capitali.

D. Sia pure per esigenze giustificate è stata imposta l’Imu sulle proprietà agricole; non si risolverà in un ulteriore pesante motivo di abbandono? In cambio dei sacrifici richiesti, sarà possibile tornare a costumi e modi di vita un po’ più indietro, sotto un punto di vista morale e culturale?

R. È giusto che la pressione fiscale, che riguarda tutto il Paese, tocchi anche l’agricoltura; lo dico con animo dolente perché non sono contento di questo, e non ne è contento neppure il presidente del Consiglio. Tutti sappiamo che l’attuale incidenza fiscale è eccessiva, e che bisognerà fare di tutto per alleggerirla nei tempi più brevi possibile.

D. Non pensa che, per una ripresa del settore agricolo, sarebbe indispensabile anche l’eliminazione di tanti adempimenti che ostacolano e appesantiscono l’attività e la vita stessa degli addetti?

R. In effetti siamo in presenza di un’eccessiva stratificazione di controlli e di burocrazie. Bisogna semplificare e qualcosa in proposito abbiamo compiuto nei 12 mesi di Governo. Nel decreto sulla semplificazione abbiamo inserito apposite norme, ma sono il primo ad essere convinto che occorre fare molto di più. Purtroppo siamo in presenza di due ostacoli. Da un lato dobbiamo rispettare le norme contenute nei regolamenti comunitari, dall’altro abbiamo un sistema istituzionale complesso, in quanto sull’attività e sull’economia agricola incidono sia lo Stato sia numerose sue varie istituzioni ed organi, a cominciare da Regioni, Province e Comuni. La Pubblica Amministrazione in Italia è ridondante e spesso non ben coordinata. Uno dei principali compiti della prossima legislatura dovrebbe essere proprio il proseguimento dell’azione diretta a razionalizzare il sistema pubblico, ad alleggerirlo e a renderlo più efficiente. Il nostro sistema non è funzionale alle imprese, e questo nella competizione internazionale ostacola molto. C’è molta differenza tra un’impresa tedesca, che ha dietro di sé un sistema-Paese che funziona, che dà risposte rapide grazie a una Pubblica Amministrazione efficiente; e un sistema-Paese come il nostro nel quale invece la burocrazia è gravosa.

D. Come si può contrastare la concorrenza straniera?

R. Ormai siamo in un’economia globalizzata, i mercati non sono più protetti e nemmeno quello agricolo, quindi in Europa entrano in larga parte tante produzioni provenienti da tutto il mondo, e soprattutto da Paesi che registrano costi di produzione molto più bassi dei nostri. L’unica risposta che dobbiamo e possiamo dare è in termini di qualità. La nostra qualità può ancora consentirci di vincere sul mercato e di consentire alle imprese di fare reddito. Per questo dobbiamo tenacemente batterci per una linea che è già parte del nostro sistema, e cioè per un’industria agroalimentare, quella italiana, orientata decisamente alla qualità, sia nella fase dell’impresa agricola sia in quella della trasformazione, anche perché il sistema è formato da questi due poli.

D. Per ottenere ciò occorre il sostegno della pubblica opinione?

R. È necessario che la pubblica opinione assista il sistema e sostenga e faciliti il suo cammino, che già abbiamo intrapreso, verso una sempre maggiore qualità, perché le imprese in larga parte sono già in sintonia con questo obiettivo. 

Tags: Gennaio 2013 agricoltura Mipaaf - Ministero delle Politiche agricole, alimentari, forestali aziende agricole

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