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Emilia Grazia De Biasi: la buona sanità italiana passa per taluni disegni di legge

La senatrice Emilia Grazia De Biasi, presidente della XII Commissione Igiene e Sanità

La sanità in Italia, sia pubblica che privata, è costantemente sotto la lente di osservazione per gli episodi, anche di cronaca, che la riguardano e che destano, troppo spesso, roventi polemiche. Il «Decreto Appropriatezza» del gennaio scorso, che ha posto limiti su 203 prestazioni specialistiche a carico del Ssn, ha provocato un grande sconcerto nella cittadinanza, come anche la questione del numero chiuso dei pazienti che usufruiscono del nuovo ma oneroso farmaco contro l’epatite C. Ma sono in arrivo nuovi e rivoluzionari farmaci oncologici sui quali, a breve, potrebbero aprirsi problemi di budget o di target di destinazione. Facciamo, allora, il punto della situazione con la senatrice Emilia Grazia De Biasi, presidente della 12esima Commissione permanente Igiene e Sanità del Senato.
Nata nel 1958 a San Severo, in provincia di Foggia, la De Biasi ha sempre vissuto a Milano, dove attualmente risiede e dove è stata eletta la prima volta nel 2006 alla Camera dei Deputati, ricoprendo incarichi nella Segreteria di Presidenza, poi nella Commissione Cultura e, durante la XV legislatura, nella Commissione Vigilanza Rai. Membro del Pd, prima di essere eletta parlamentare è stata dirigente di partito. Nel 1989 ha vissuto e condiviso la svolta della «Bolognina» di Achille Occhetto dopo la caduta del muro di Berlino. Ha fatto parte della Commissione che ha redatto il Manifesto fondativo dei valori del Partito Democratico. È aderente ad Areadem del partito che, nelle ultime primarie, ha appoggiato la candidatura di Matteo Renzi a segretario del partito. È membro dell’Assemblea nazionale del Pd e della direzione milanese e lombarda. Tra i temi importanti di cui si è finora occupata dirigendo la commissione Sanità, le problematiche relative alle patologie derivanti dal gioco d’azzardo, il metodo Stamina e la prima legge nazionale sull’autismo. In ambito pubblicistico, tiene una rubrica fissa sul quotidiano online Lettera 43 dal titolo «House of dem» e, ogni settimana, racconta la sua vita parlamentare dal Senato con «Le cartoline di Emilia» su Youtube.
Domanda. Dall’alto del suo osservatorio privilegiato, può delineare un quadro esaustivo di come procede la sanità in Italia? Quali miglioramenti oggettivi ci sono stati, e dove, invece, c’è ancora molto da lavorare?
Risposta. Premetto che il nostro è considerato uno dei migliori sistemi sanitari d’Europa ed è classificato, anche, come il secondo nel mondo per la sua organizzazione. La nostra struttura sanitaria si fonda, infatti, su una dedizione straordinaria operata da parte di tutto l’intero personale sanitario. Detto questo, è indubbio che tutto può essere fatto meglio e che i tagli operati sul Ssn abbiano creato difficoltà. Quest’anno, però, c’è stato un buon segnale, l’aumento delle risorse al Fondo sanitario nazionale, anche se giunto in quantità inferiore alle aspettative. Basilare è, poi, comprendere che ogni euro risparmiato nella sanità deve comunque rimanere in tale ambito e la spesa deve essere riconvertita sulle necessità dell’oggi. Abbiamo bisogno di ammodernare il nostro Ssn soprattutto sul piano tecnologico ma anche organizzativo. Non a caso si sta lavorando sul nuovo Fascicolo sanitario elettronico, un passaggio fondamentale perché consentirà di avere a disposizione in un file l’intera nostra vita sanitaria. Poi bisogna aumentare il personale. Non è possibile che ci siano situazioni critiche come quelle che ci hanno portato recentemente sull’orlo della sanzione da parte dell’Unione europea per il lavoro H24 riferito a tutti quei professionisti che, costretti, fanno turni di un’intera giornata. Infine bisogna evitare gli sprechi nell’acquisto di apparecchiature che poi non vengono utilizzate e che vanno in rapida obsolescenza, come poi anche vigilare sull’appropriatezza negli stessi acquisti. Positivissimo, su quest’ultimo tema, il lavoro in essere concordato con il nuovo codice degli appalti e realizzato in accordo con l’Anac, con la PA e con gli organismi della Sanità, cui si aggiungono la riduzione delle centrali di appalto e l’eliminazione della gara al massimo ribasso, che significa puntare alla qualità e non soltanto al minor prezzo.
D. Nell’immane diatriba tra sanità pubblica e privata, nelle cliniche private, per risparmiare, non è raro l’utilizzo del personale sanitario freelance che cambia troppo spesso e non ha quindi il tempo di conoscere al meglio il paziente, mentre negli ospedali ci sarebbe più attenzione alla loro preparazione. Non ci dovrebbe essere una legge che salvaguarda il paziente e che obbliga le cliniche alla gestione adeguata, tra le tante figure, degli infermieri e dei fisioterapisti?
R. Il tema è particolarmente importante perché riguarda la sicurezza del cittadino. Personalmente, ritengo che il privato, quando si occupa della salute dei cittadini, abbia comunque una funzione pubblica. Vanno certamente fatti dei controlli molto più attenti ma, per concretizzarli al meglio, da una parte è fondamentale la segnalazione dei pazienti e, dall’altra, il conseguente lavoro di controllo del Ministero della Salute che deve monitorare le situazioni di malasanità. Le sicurezze date dalle strutture pubbliche sanitarie sono ottime. Da sottolineare, però, che la contrattualistica degli infermieri ricade in quella della PA, quindi chi non la rispetta entra nell’illegalità. In questo caso è importante la vigilanza degli ordini professionali. Ma, tra non molto, questi problemi dovrebbero attenuarsi, grazie alla legge sul riconoscimento delle nuove professioni sanitarie con la quale sarà più semplice vigilare sull’operato di tutte le strutture, specie in ambito privato.
D. Può dare più dettagli?
R. Si tratta del disegno di legge Lorenzin, da cui noi della Commissione Sanità abbiamo estrapolato il riconoscimento delle professioni sanitarie, ancora non riconosciute in Italia e con la quale si creeranno albi professionali e codici deontologici ad esempio per infermieri, ostetriche, psicologi, biologi, tecnici di radiologia, podologi e fisioterapisti. Questo riconoscimento è basilare perché rappresenterà un antidoto all’abusivismo professionale imperante proprio perché oggi mancano gli ordini che possono sanzionare, e, in secondo luogo, perché si certificherà che, accanto alla professione medica, centrale nel Ssn, ci sono tutte le altre professioni sanitarie con cui, già di fatto, i medici lavorano in équipe che, accanto alle professioni già oggi regolamentate con propri ordini e collegi (infermieri, ostetriche) prevede la confluenza nell’attuale Collegio dei tecnici di radiologia di storiche e nuove professioni sanitarie (podologi, fisioterapisti, osteopati). Questo assume grande valore in funzione delle direttive europee che prevedono la mobilità dei professionisti e dei pazienti all’interno della UE: la cosiddetta medicina transfrontaliera. Insomma,  un punto di modernizzazione che ci aiuterà contro l’abusivismo, il «dumping» e la sottoccupazione. Riguardo ai tempi di attuazione, direi che il grosso è già stato votato in commissione all’unanimità ma, scaramanticamente, non faccio previsioni poiché tale disegno di legge è già rimasto bloccato in passato alla Commissione Bilancio per più di 500 giorni.
D. A parte questa, è in discussione anche la legge sulla responsabilità in campo sanitario che riguarda i medici e tutte le altre professioni sanitarie mediche, e che ha suscitato polemiche ancor prima di nascere. Di che si tratta?
R. È un testo di legge fondamentale, giunto alla seconda lettura, che pensiamo possa aiutarci a migliorare la sicurezza e, quindi, la qualità delle cure contrastando la cosiddetta «medicina difensiva» che disperde preziose risorse ma, soprattutto, erode il rapporto di fiducia tra professionisti e cittadini. Nella certezza del diritto per il cittadino a pretendere e ottenere un risarcimento per un danno ingiusto, lo sforzo è quello di creare un clima più favorevole alle attività di prevenzione degli eventi avversi e una gestione dei sinistri più veloce ed equa, nulla sottraendo alla responsabilità dei professionisti quando incorrono in gravi comportamenti colposi. 
D. L’ictus è la prima causa di disabilità, la seconda causa di demenza e la terza causa di morte nel mondo industrializzato. In Italia vi sono circa 200 mila nuovi ictus ogni anno e circa un milione di persone vivono nel nostro Paese con esiti invalidanti della malattia. Quando si verifica un ictus, il tempo è prezioso per arrivare il prima possibile alle «stroke unit» sparse nel territorio. Come procede la lotta a tale killer?
R. I fattori principali di rischio dell’ictus cerebrale sono l’ipertensione, il diabete, l’obesità, l’ipercolesterolemia, la sedentarietà, il fumo e l’abuso di alcol, che possono portare verso tale infausto accadimento. Quindi la lotta a questo male si fa anche con la prevenzione che si sostanzia riducendo i fattori di rischio attraverso l’adozione di stili di vita più sani, come la giusta alimentazione e la pratica dello sport, dove possono bastare semplicemente 30 minuti al giorno di camminata. Il problema vero, però, risiede nell’attuale difformità dei 21 servizi sanitari regionali che non comunicano tra di loro, anomalia che sottintende anche 21 livelli di diversa efficienza e di qualità di intervento, dovuti, però, non solo ai loro differenti bilanci economici. Per capirci meglio, la griglia di lettura della capacità di intervento sul paziente colpito da ictus sta nel fatto che le «stroke unit», oltre ad avere un’ottima capacità di intervento multidisciplinare primario sul paziente colpito da ictus, devono essere eccellenti anche nella conseguente parte riabilitativa. E sull’intero territorio nazionale c’è molta difformità in tali strutture. Per sopperire a questo, però, ci auspichiamo, quanto prima, di ricevere delle linee guida molto chiare da parte del Governo nazionale e la loro migliore applicazione da parte delle Regioni che devono imparare a collaborare al meglio tra di loro. Il problema è, quindi, ancora molto aperto.
D. La Federazione nazionale dei medici di famiglia dice che, dietro i vantaggi della ricetta elettronica andata a regime lo scorso marzo, i medici sono costretti a lavorare come un Caf, vista la mole di dati anagrafici da smaltire riguardo a codici di esenzione ticket, erogabilità e appropriatezza. Da qui la loro richiesta di una semplificazione delle procedure. Come risponde e come procede la via verso il «paperless», il digitale?
R. Posso capire il punto di vista della Fimmg, ma la missione del medico di famiglia va ridefinita sulla base del potenziamento del riequilibrio tra ospedale e territorio che è nel Patto per la salute, sottoscritto tra governo nazionale e governi regionali, perché il medico di famiglia è il primo tramite di prossimità dei problemi del cittadino. Sicuramente i medici sono stati gravati dal cosiddetto «Decreto Appropriatezza» e dal fatto che le convenzioni vanno riviste. Ritengo, allora, che sia anche giusto arrivare a delle semplificazioni, ma la ricetta elettronica è un vantaggio enorme per l’utente. La via migliore è quindi più semplificazione e meno burocrazia per il medico, ma contemporaneamente maggiori vantaggi per il paziente. Questo lo si può ottenere con la strada del dialogo tra le categorie.
D. A seguito delle forti polemiche che hanno accolto il Decreto appropriatezza del gennaio scorso che ha messo limiti su 203 prestazioni specialistiche a carico del Ssn, sono previsti cambiamenti?
R. È apparsa chiara, appena dopo le prime contestazioni, l’importanza di ridefinire le prestazioni in modo più equo e trasformare tale decreto perché diventi più leggibile e più chiaro. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha infatti aperto un tavolo di lavoro con i medici per rivedere e aggiornare, in accordo con la loro categoria, i parametri di molte questioni aperte. Tra queste anche quelle riguardanti tali limitazioni.
D. Il caso del farmaco contro l’epatite C, il Sofosbuvir, destinato in Italia ad un numero chiuso di pazienti, fa molto discutere. Si troveranno i soldi per ampliare la platea dei malati?
R. Tale antivirale fa parte dell’avvento dei farmaci innovativi, quelli cioè che hanno una innovazione terapeutica reale e sono destinati a cambiare radicalmente il volto del Ssn perché si possono curare malattie considerati finora inguaribili. Oltre al farmaco contro l’epatite C, che guarisce la malattia nel 92 per cento dei casi, di tale nuova schiera fanno parte anche altri ora in arrivo in Italia, come ad esempio quelli oncologici personalizzati, cioè «confezionati» a misura di ogni malato. Tra questi ve ne è uno contro una ben determinata tipologia di cancro al polmone. Il problema primario di questa schiera innovativa è ovviamente il costo che però può scendere in rapporto al volume di acquisto. Si dice che l’Italia abbia spuntato un buon prezzo per comprare il Sofosbuvir. Economicamente ci sarebbero dei ribassi se si potesse contrattare il prezzo di questi farmaci a livello europeo e non più come singolo Stato. C’è una direttiva europea a proposito, ma ancora, chissà perché, non si è discussa. In Italia invece, nella legge di stabilità di due anni fa abbiamo istituito, all’interno del Fondo sanitario nazionale, un fondo per tutti i farmaci innovativi, di ben 500 milioni per il 2015 e, altrettanti, per il 2016. A seguire, nella legge di stabilità di quest’anno, con un emendamento che porta la mia firma, abbiamo svincolato il fondo, cioè lo abbiamo reso autonomo rispetto alle normali dinamiche riguardanti i farmaci nel tetto ospedaliero e in quello territoriale. Questo meccanismo ci consente di lavorare in modo preciso sulla programmazione del bisogno e sul monitoraggio dell’esecuzione. Quindi, le Regioni hanno ricevuto finora 1 miliardo di euro per acquistare il farmaco contro l’epatite C, che non è poca cosa, ma, ad oggi, ci sono regioni che danno il farmaco e regioni che non lo erogano. Ciò è molto grave, ma con l’emendamento in oggetto, abbiamo chiesto al Ministero della Salute una relazione sullo stato dell’erogazione del farmaco. Se si riuscirà a fare chiarezza, si potrà allargare la platea dei pazienti beneficiati.
D. Quale è la sua idea sulla maternità surrogata e sulle adozioni? E, su quest’ultimo tema, non sarebbe più appropriato snellire il processo per cui le coppie di ogni genere potrebbero adottare facilmente bambini orfani o quelli che muoiono di fame all’estero?
R. Voglio, anzitutto, ricordare che la maternità surrogata in Italia è già vietata dalla legge 40 del 2004, articolo 12, comma 6, che reca norme in materia di procreazione medicalmente assistita, e sottolineare che è una pratica che non condivido perché consiste nello sfruttamento del corpo femminile, richiesta all’80 per cento da coppie eterosessuali. Ma per carattere non mi piacciono le crociate, e credo che si possa manifestare il dissenso applicando un diritto mite, proprio perché l’oggetto è importante perché riguarda la vita delle donne. Nel contempo ritengo che dovrebbero essere semplificate le adozioni per tutti, perché oggi adottare in Italia è difficilissimo. Ci sono, poi, altri due temi, complementari ma importanti. Uno è la procreazione assistita disciplinata dalla legge n. 40, sulla quale ho presentato una riforma migliorativa; il secondo riguarda il diritto alla genitorialità, che, a mio parere, si può declinare in modi diversi.
D. Tra i temi della sanità di cui si è occupata in Senato, quale vuole ricordare?
R. Sono tutti importantissimi perché riguardano la sentita esigenza che il Ssn sia più vicino alle famiglie, le quali si sentono abbandonate nei tanti drammi che vivono legati alle difficili e sofferte cure inerenti qualche loro caro. Ricorderò, allora, la legge sull’autismo dello scorso anno, che investe non una patologia vera e propria ma quelli che sono chiamati «disturbi dello spettro autistico». L’autismo, infatti, è una forma d’essere, un comportamento, una serie di atteggiamenti di difficoltà anche gravi di comunicazione verso il mondo, che, certamente, richiede l’intervento di una serie di lavori clinici, psicologici, psichiatrici, comportamentali e, talvolta, farmacologici. Ma sul territorio ci sono delle associazioni straordinarie che ci hanno aiutato a formulare questa legge. Attraverso loro ho scoperto, ad esempio, che la ripresa del rapporto tra il bambino autistico ed il mondo viene fatta inserendoli in rapporto, anche, con la natura e con gli animali. Ho visto bambini con tale problema fatti crescere a contatto dei lama, animali verso i quali hanno una particolare relazione. Con altre associazioni si agisce, invece, sui fattori artistici per cui i bambini autistici comunicano con il mondo non solo verbalmente, ma attraverso anche il gesto, l’arte, la scultura, la pittura ed altro. La prima ricaduta positiva della nostra legge è che l’autismo, prossimamente, verrà inserito nei livelli essenziali di assistenza, cioè le prestazione che il Ssn dà al cittadino, che sono in corso di aggiornamento. Una grande soddisfazione per tutti, ma, soprattutto, per le tante famiglie colpite.   

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