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ANTONIO TAJANI: LE CAPITALI DI ITALIA SONO ROMA E BRUXELLES, ECCO COME RISALIRE LA CHINA

Antonio Tajani, vicepresidente vicario  del Parlamento europeo

Grazie al suo lavoro in Europa, dichiara ufficialmente, è stato possibile: mettere all’angolo l’Europa della finanza e, con la strategia «Per un Rinascimento industriale europeo», riportare economia reale, industria, piccole e medie imprese (Pmi) e lavoro al centro dell’agenda politica; destinare 150 miliardi del bilancio dell’Unione Europea a imprese, innovazione e accesso al credito; facilitare i crediti fino a 1,5 milioni di euro per le Pmi; obbligare, pena pesanti sanzioni, le pubbliche amministrazioni a pagare le imprese entro 30 giorni; consentire il pagamento di tutti i debiti pregressi rendendo flessibili i vincoli europei; combattere senza quartiere la burocrazia che soffoca gli imprenditori, con un risparmio di 40 miliardi di euro per le Pmi; creare un Erasmus per i giovani imprenditori; rendere disponibili i fondi europei anche per i liberi professionisti; guidare missioni europee in tutto il mondo per aprire le porte dei mercati internazionali agli imprenditori UE; semplificare le regole per i visti, rendendo possibile l’arrivo di 10 milioni di nuovi viaggiatori e la creazione di 250 mila posti di lavoro in più all’anno in Europa; lanciare i satelliti del sistema Gps europeo, Galileo, che sarà operativo entro l’anno, con un impatto di 90 miliardi di euro per l’economia UE; fare diventare Copernicus realtà, grazie al lancio del satellite Sentinel, dando all’Europa il sistema di osservazione della terra più avanzato al mondo e aiutando a evitare tragedie come quella di Lampedusa; promuovere una vera industria europea della difesa, con risparmi di decine di miliardi per i contribuenti; rafforzare le norme e l’azione per la lotta alla contraffazione, la sorveglianza del mercato, la sicurezza dei prodotti, anche grazie al «made in» obbligatorio; introdurre le norme per la sicurezza dei giocattoli più rigorose al mondo; tutelare i diritti dei passeggeri nei trasporti aerei, ferroviari, stradali e marittimi; rilanciare l’industria dell’auto, dell’acciaio, delle costruzioni e della cantieristica navale; finanziare le reti di trasporto ferroviario, stradale e marittimo trans-europee.
Praticamente un supereroe, o un supereuropeo, sostantivo che allittera il senso dell’essere in Europa oggi, per l’Italia quasi «mission impossible», con occasioni sprecate (non una, molte). Il supereuropeo è Antonio Tajani, vicepresidente vicario del Parlamento europeo, dal 2008 al 2014 commissario europeo, dapprima ai Trasporti, poi, per quasi cinque anni, all’Industria.
Domanda. L’Unione Europea oggi deve fare i conti con le pressioni euroscettiche, la tentazione di isolamento di diversi Paesi e la preoccupante riduzione della fiducia degli europei nei confronti delle istituzioni. Come vede il futuro?
Risposta. L’Europa si gioca il proprio futuro su tre grandi sfide: l’immigrazione, la lotta al terrorismo e la crisi economica, i tre lati dello stesso triangolo. Per fare questo serve un sussulto politico perché politico è il problema: emergono gli egoismi degli Stati e non c’è una scelta unitaria, ma c’è un egoismo miope che non porta da alcuna parte. Nessun Paese può affrontare da solo questa sfida. La paura dell’immigrazione è tanta e la chiave è la situazione in Siria e in Afghanistan da un lato, quella in Africa dall’altro, perché i corridoi sono due, balcanico e libico. Se non si risolve il problema Isis, se non si risolvono i problemi in quella parte molto ampia del mondo che riguarda tutto il Medio Oriente e l’Africa, difficilmente sarà risolto il nostro problema di immigrazione, perché tra gli immigrati si infiltra il terrorismo, è inutile nasconderlo. Oltre ad esso, poi, abbiamo il terrorismo endogeno, perché l’Isis raccoglie proseliti anche all’interno dell’Unione Europea tra i cittadini europei di religione islamica. Se non si restituisce stabilità geo-politica e non si pone termine al problema terroristico, la crisi non potrà avere soluzione definitiva perché i grandi investitori, di fronte a tale instabilità, non sono orientati a scegliere l’Europa come luogo nel quale mettere in campo le proprie risorse, preferendo investire in altre parti del mondo. Serve più Europa, ma bisogna vedere se l’Europa sarà in grado di vincere queste tre sfide.
D. Lotta al terrorismo, gestione dell’immigrazione e crisi economica: in che modo l’Europa sta affrontando le tre sfide?
R. Non solo con questo eccesso di egoismo, ma anche con una serie di errori dei Paesi membri che, spaventati dalla situazione interna e dalla crescita dei movimenti euroscettici, si rinchiudono e fanno scelte tampone che non costituiscono una strategia. Quindi servono una politica estera europea, una politica sull’immigrazione europea, una politica della difesa europea, ma il vero problema è che in Europa mancano i leader. A parte la Merkel, nessuno ha la dimensione di leader europeo, non ci sono più i De Gaulle, i Churchill, i Mitterand. Lo stesso Berlusconi era un leader con peso politico europeo, non sono molti i presidenti del Consiglio italiano che hanno parlato al congresso Usa, o che hanno relazioni con il russo Putin, il turco Erdogan, la Libia di Gheddafi. Ricordiamoci che era stato risolto il problema dell’immigrazione anche per l’Europa, perché l’Italia è il punto di passaggio, non di arrivo. Ma mancano leader.
D. Forse perché i veri e grandi cervelli non vogliono più entrare in politica?
R. La politica non è più un’attrattiva per molti, mentre nel passato costituiva il nodo più importante per servire il Paese. Oggi c’è un decadimento, basti vedere l’Italia e l’esempio che danno i politici cambiando bandiera pur di conservare il posto, non ci sono più ideali né valori, e tali fatti portano discredito alla classe politica e, di conseguenza, all’Italia, accrescendo il malcontento degli italiani.
D. Chi ha più rispetto dell’Europa, l’UE che apre le porte agli immigrati o i Paesi che le chiudono sospendendo così il trattato di Schengen?
R. Nessuno apre le porte agli immigrati anzi, l’Unione Europea dice che bisogna regolare i flussi e avere una politica dell’immigrazione. La Germania ha avuto una politica di apertura nei confronti dei profughi siriani. Detto questo, noi non possiamo non tener conto dei cristiani che fuggono dalla Siria e voltar loro le spalle. Io stesso di recente ho visto alla frontiera tra Macedonia e Grecia ragazzi cristiani che fuggivano da Mosul e dicevano: «O scappiamo, o diventiamo musulmani, o ci ammazzano». Bisogna anche distinguere, farne un dovere di solidarietà, non confondere i rifugiati con gli immigrati economici.
D. C’è un sistema per distinguere tra chi finge e chi non finge?
R. Il problema è quello e non è facile, ecco perché servono controlli più rigidi. Ma il problema va risolto a monte: i controlli devono essere fatti dalle forze di polizia dei Paesi che hanno frontiere esterne, per questo è necessario rinforzare la frontiera esterna dell’Unione Europea, la frontiera greca e la frontiera italiana, che hanno chilometri e chilometri di costa. Serve però anche un intervento europeo, Italia e Grecia non possono esser lasciate sole; dal canto proprio l’Italia non può continuare, come ha fatto in questi anni, con una politica irresponsabile sull’immigrazione, in base alla quale veniva registrato un immigrato su tre. Quando chiudono le frontiere, restano tutti da noi.
D. Gli Stati membri dell’Unione seguono i propri interessi: ha ancora senso parlare di politica estera europea?
R. A maggior ragione lo ha. Nel momento in cui la sfida è globale, nel momento in cui ci sono realtà come la Russia, la Cina, l’India, gli Usa, il Brasile, nemmeno la Germania che è il Paese più forte dell’Unione può resistere all’urto. O c’è una politica europea, o siamo destinati a non essere più tra i grandi interlocutori mondiali rischiando la marginalizzazione. Serve anche una politica di difesa europea, che tra l’altro ci farebbe risparmiare molti soldi: che senso ha avere 28 forze armate con le medesime mansioni, se poi non si ha una strategia comune? Adesso si sta parlando di andare in Libia, e in generale l’Italia è presente in molte realtà, ma più la scelta è europea, meglio è, più i costi sono ridotti.
D. Come vede la politica di Renzi?
R. Renzi parla molto, dice anche cose giuste, ma poi le dichiarazioni non corrispondono ai fatti: la sua è più una politica di dichiarazioni che di fatti concreti.
D. Com’è vista l’Italia da Bruxelles? Un Paese di serie B o uno Stato che ha ancora voce in capitolo?
R. Come un Paese che non conta, perché non è presente come dovrebbe essere, se non occasionalmente, e non ha neanche una strategia per contare in Europa. Teniamo presente che l’80 per cento dell’attività legislativa italiana è recepimento di normativa comunitaria, noi abbiamo bisogno di più Italia in Europa, non il contrario. Non bastano solo le dichiarazioni del Governo. Ma il nostro è un grande Paese e ha voce in capitolo rappresentando 60 milioni di cittadini europei. Questo Governo parla ma non fa molto, né giova il continuo ricambio della classe politica, non si considera Bruxelles un’altra capitale. Se si vuole votare bisogna fare come fanno tedeschi e inglesi, che sono euroscettici ma che utilizzano l’Europa quando fa comodo. Serve che tutto il sistema Italia sia presente. Il primo passo da fare sarebbe il cambio di mentalità. L’Europa spesso viene usata per fini elettorali e si parla di essa per nascondere i problemi italiani e prendere voti. Così non compie l’interesse del Paese.
D. Come intendete portare avanti il cosiddetto «supporting factor», fattore di sostegno al credito per le Pmi europee?
R. Avevamo fatto inserire in Basilea 3 il «supporting factor», strumento che permette alle banche di erogare prestiti alle Pmi fino al milione e mezzo di euro, tenendo una riserva inferiore rispetto alle riserve che vengono tenute per erogare gli altri prestiti. Alla fine di quest’anno scade il tempo per il quale è stato previsto questo istituto, e noi abbiamo sollecitato il commissario agli Affari economici Jonathan Hill a fare in modo che esso rimanga in vigore e possa essere allargato per aiutare le Pmi, perché meno riserve si tengono più le banche possono dare soldi per erogare prestiti e andare oltre il milione e mezzo. Personalmente sono ottimista, perché l’iniziativa ha coinvolto anche il presidente della commissione economica del Parlamento, Roberto Gualtieri, deputato del Partito democratico, e questo dimostra che si può fare interesse per l’Italia a Bruxelles in maniera diversa senza farne una questione di partito. Il sistema Italia deve prevedere anche che ci sia una collaborazione su alcune questioni tra forze diverse.
D. Fate qualcosa per le start up e per le aziende al femminile o giovanili?
R. Ci sono molti finanziamenti; a sostegno dell’economia reale c’è tutto il pacchetto Orizzonte 2020, circa 80 miliardi per innovazione e ricerca applicata all’economia reale, dunque applicata all’industria. Più le imprese crescono, più c’è innovazione e ricerca. Il pacchetto Cosme, invece, prevede 2 miliardi e mezzo di sostegno alla internazionalizzazione volto alle piccole e medie imprese, «adventure capital» e settore turismo. Per il sostegno alla politica agricola comune, nel pacchetto finanziario della Pac, ci sono anche sostegni per l’imprenditoria giovanile e femminile.
D. Come fa un giovane ad aprire una start up nel settore dell’agricoltura?
R. Deve partecipare ai bandi per i finanziamenti. Ce ne sono di due tipi: un finanziamento comunitario, erogato in maniera proporzionale attraverso gli Stati membri, e una parte del bilancio comunitario, erogato indistintamente con partecipazione a bandi e direttamente da Bruxelles. Vi sono programmi comunitari che attraverso le Regioni erogano fondi anche per le attività imprenditoriali, in più ci sono bandi comunitari cui possono partecipare tutti. Sono tante le opportunità offerte ai giovani imprenditori, l’«Erasmus per giovani imprenditori» ad esempio finanzia il giovane inteso non solo nel senso di età, ma anche di nuovo, dunque un adulto, che può svolgere un corso formativo presso un altro imprenditore e in un Paese dell’Unione dove portare la propria esperienza, così favorendo tutto ciò che è l’attività imprenditoriale.
D. In quali settori l’Italia avrebbe bisogno di investimenti per tornare ad essere competitiva?
R. L’Italia ha un saper fare straordinario, penso all’industria della moda, a quella del turismo ma anche al settore dell’acciaio. La qualità italiana è di altissimo livello; in agricoltura possiamo competere in qualità, non in quantità. Le opportunità ci sono, e vedremo come va a finire l’accordo del libero scambio con gli Stati Uniti: se venisse firmato potrebbe aumentare l’export italiano verso l’America nel settore agro-alimentare. C’è anche da difendere l’Italia anche nei confronti del «dubbing» cinese: il rischio è che alla Cina venga riconosciuto lo stato di economia di mercato, con ciò venendo a crollare, senza interventi aggiuntivi, tutte le misure antidubbing. Bisogna fare in modo che la Cina cambi atteggiamento, non riconoscerle lo stato di economia di mercato e, in ogni caso, lasciare le regole antidubbing che ci permettono di frenare la sua concorrenza sleale. Una tonnellata di acciaio cinese costa quanto una tonnellata di rottame italiano, ossia il prezzo del rottame a inizio produzione in Italia si equivale quasi al prezzo del prodotto cinese finito.
D. Ma in Italia il lavoro costa troppo.
R. Il costo del lavoro e il costo dell’energia sono eccessivi. In Europa non vogliamo il nucleare, non vogliamo il gas, non vogliamo i rapporti con la Russia e con la Libia, manca una politica energetica, si cerca di dare vita a un mercato interno dell’energia ma non si può avere contemporaneamente un contenzioso con la Russia, un contenzioso con la Libia o non volere il nucleare: è normale che i prezzi dell’energia aumentino.
D. Se dovesse fare un decalogo delle cose che si devono fare per rilanciare l’Italia in Europa?
R. Avere una strategia, convincere i giovani a entrare nelle istituzioni comunitarie e tutti i settori devono essere rappresentati a Bruxelles, capire come funziona il processo legislativo, essere meno individualisti, fare un’azione di lobby pulita, essere più coordinati in Europa, avere ministri e un Governo che siano più presenti nel collegio europeo, avere una legge elettorale diversa e non cambiare sempre la classe politica che ci rappresenta. Manca un tentativo di influire sulle decisioni, l’italiano deve imparare le altre lingue per poter incidere nelle decisioni, serve cambiare modalità: bisogna aiutare gli italiani ad essere diversi.
D. Per quale motivo ha svolto politica soltanto in ambito europeo, quasi mai in Italia?
R. Essere presenti in Europa significa anche fare politica in Italia. Io sono sempre stato eletto nel mio Paese e ho rappresentato l’Italia a Bruxelles proprio perché voglio che il nostro Paese conti in ambito europeo, l’Europa non è politica estera ma politica interna, perché l’80 per cento dell’attività del Parlamento italiano è un recepimento della normativa comunitaria.
D. Dell’assurda situazione attuale di Roma Capitale cosa pensa?
R. Roma purtroppo è una città difficilmente governabile, c’è stata troppa corruzione, e come mancano leader a livello europeo mancano leader a livello della città. Il lavoro che dovrà fare il prossimo sindaco richiede almeno due legislature, tutto il resto sarà propaganda.   

Tags: Marzo 2016 Unione Europea Roma

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