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Mauro Pastore: Banca di Credito Cooperativo di roma, un 2016 di espansione e supporto al territorio

Mauro Pastore, direttore generale della Banca di credito  cooperativo di Roma

Da oltre un anno si parla di riformare le banche di credito cooperativo, le cui origini di casse rurali e artigiane ha loro consentito di caratterizzarsi come banche del territorio: una riforma dovuta per adeguarsi ai dettami dell’unione bancaria, ma non solo.
Negli ultimi mesi l’attenzione si è concentrata anche su altri istituti bancari a causa di vicende ormai ampiamente note, tra salvataggi senza aiuti di stato, bad bank, risparmiatori avventati sottoscrittori («a loro insaputa») di titoli subordinati a rischio elevato e rimbalzo delle responsabilità.
Esempio di mutualità e cooperazione è stata invece l’acquisizione della Banca padovana di credito cooperativo da parte della Banca di credito cooperativo di Roma, che ha tutelato anche i clienti sottoscrittori di titoli subordinati mediante il Fondo di garanzia istituzionale volontario delle banche cooperative, le quali erano 371 nel giugno 2015 per Federcasse, associazione nazionale delle banche di credito cooperativo e casse rurali: il 56,5 per cento delle banche operanti in Italia, con quasi cinquemila sportelli distribuiti in più di duemilaseicento comuni.
La Banca di credito cooperativo di Roma nasce nel 1954 come Cassa rurale e artigiana dell’Agro romano: oggi conta oltre trentamila soci e 360 mila clienti. Mauro Pastore dal 2010 ne è il direttore generale.
Domanda. Cosa vi ha spinto a «salvare» la Banca padovana di credito cooperativo? È una dimostrazione dei valori del credito cooperativo?
Risposta. È proprio così: nella domanda è già centrata la risposta. Un primo elemento è la mutualità di sistema poiché la Banca padovana era la terza banca di credito cooperativo per dimensione in Italia. Intorno al 2010 è entrata in crisi e nel 2014 ha subìto il commissariamento che, in genere, può avere un’evoluzione che va dalla rimessa in bonis della banca con la restituzione a una gestione ordinaria alla ricerca di una soluzione aggregativa solitamente limitrofa qualora l’equilibrio tecnico o patrimoniale risulti compromesso. La dimensione della banca però era tale per cui nessun istituto di credito cooperativo limitrofo aveva le caratteristiche patrimoniali per permettersi di assorbirla senza diventare essa stessa una banca in condizioni precarie. Bcc Roma nel dicembre 2015 su 760 milioni di patrimonio di vigilanza aveva circa 350 milioni di patrimonio libero tale per cui un intervento che ne assorbiva almeno 80 non ne comprometteva la solidità: eravamo una delle poche banche del credito cooperativo a poter attuare l’intervento dal punto di vista patrimoniale. Anche dal punto di vista organizzativo, peraltro, occorrevano solide basi: inglobare 28 filiali e 215 dipendenti va fatto senza compromettere l’organizzazione aziendale; occorre che la banca incorporante sia di dimensioni più che significative per un’incorporazione agevole. Detto questo, abbiamo portato avanti anche una valutazione dal punto di vista industriale: siamo convinti che quel territorio, quelle filiali, quel personale inseriti nella nostra organizzazione potranno darci un contributo importante. Il territorio padovano trarrà vantaggio dal nostro ingresso come anche Bcc Roma perché avremo 28 filiali su un territorio in espansione nonostante la crisi e quindi un beneficio anche industriale. Abbiamo inoltre voluto rispettare il territorio padovano: le insegne, infatti, ricordano i territori di provenienza perché desideriamo far capire che intendiamo essere la banca locale. È ovvio che le filiali acquisite sono parte integrante di Bcc Roma e diventano pertanto circa 180, oltre a circa 30 sportelli di tesoreria a domicilio, quindi abbiamo da questo momento 210 punti operativi.
D. Come si è giunti all’operazione?
R. Era stata da noi deliberata e proposta con un’offerta vincolante fin dal luglio scorso con il supporto del Fondo di garanzia dei depositanti del credito cooperativo che avrebbe preso in carico le sofferenze sennonché, come recentemente visto con le quattro banche più tristemente famose, l’utilizzo del suddetto fondo è stato ritenuto incompatibile con la disciplina degli aiuti di Stato da parte della Direzione generale concorrenza a Bruxelles. Ormai allo scadere dei tempi della procedura commissariale e nell’impossibilità di portare avanti la nostra proposta, e con la prospettiva imminente della messa in liquidazione della Banca padovana, abbiamo lavorato senza sosta con Banca d’Italia e le strutture più significative del credito cooperativo per mettere in piedi un’alternativa che ha visto infine l’operazione conclusa il 18 dicembre scorso con l’acquisto da parte nostra delle attività e della passività al netto delle sofferenze. Queste ultime sono state acquisite da una società veicolo che ha ottenuto il finanziamento da parte di Iccrea, Cassa centrale banca-credito cooperativo del Nord Est (Trento) e Cassa centrale Raiffeisen dell’Alto Adige. Un successo, se pensiamo che solo pochi giorni prima saltavano quattro banche con clienti che hanno perso i propri risparmi, invece noi attraverso questa operazione abbiamo restituito la totalità dei 27 milioni e mezzo di prezzi subordinati alla clientela retail.
D. Quali saranno per Bcc Roma nel 2016 gli indirizzi politico-strategici sull’onda di tale acquisizione e gli eventuali cambiamenti a prescindere dalla riforma che ci dovrebbe essere?
R. Innanzitutto, dal punto di vista quantitativo il nostro attivo patrimoniale arriva a 12 miliardi con la Banca padovana. Ci troviamo a competere nel mercato con un assetto che consentirà di avere minori costi marginali per le operazioni sul territorio perché abbiamo ripartito i costi di struttura su una più ampia platea di filiali e di clienti, per cui riteniamo che nel 2016 la produttività della banca possa migliorare; anzi, ne siamo certi. Per quanto riguarda l’organizzazione abbiamo inserito l’area padovana come sesta area della banca e vi abbiamo indirizzato nostri funzionari e dirigenti che non solo prenderanno immediatamente contatto con la clientela ma anche cercheranno di permeare le due strutture affinché siano un unicum anche dal punto di vista di mentalità e procedure. Vogliamo quindi nel 2016 consolidare la nostra presenza tradizionale e integrare l’area padovana con i nostri modelli e metodi organizzativi, per cui ci attende un anno di consolidamento. Ciononostante a fine 2015 abbiamo deliberato la fusione della Bcc di Capranica: se avremo l’autorizzazione della Banca d’Italia e se le assemblee delibereranno positivamente, è ragionevole pensare che da luglio sarà incorporata in Bcc Roma. In questo modo completeremo la nostra presenza nel Viterbese, dove saremo con 15 sportelli una delle maggiori presenze in assoluto.
D. Per quanto riguarda invece il resto dell’attività?
R. Crediamo di incrementare gli impieghi in misura significativa oltre il 6 per cento, visto che nel 2015 li abbiamo incrementati di oltre il 4 per cento, quindi continueremo a sostenere l’economia. Un apporto significativo dovrebbe arrivare proprio dall’area padovana dove abbiamo stanziato 200 milioni di nuovi finanziamenti, una cifra notevole di quasi il 25 per cento in più rispetto quanto avevano: riteniamo di poter assistere un territorio dove inizia una ripresa economica e che ha fame di crediti per via della presenza di una valida piccola e media impresa. Quindi il 2016 dal punto di vista degli impieghi dimostrerà la nostra capacità di dare un contributo allo sviluppo del territorio in cui siamo insediati: Lazio, Abruzzo interno e Veneto.
D. Poiché il supporto al territorio è caratteristica delle bcc, quali sono le iniziative ambientali e sociali?
R. Già nel 2015 abbiamo eseguito circa 2.400 interventi per assistere associazioni culturali, di volontariato, sportive e ricreative meritevoli. Si tratta di microinterventi, fino ai 1.500 euro, però sono ben 2.400. Nel 2016 rafforzeremo ulteriormente questa nostra azione anche nell’area padovana, nella quale si è deliberata la costituzione di tre comitati locali, ossia le strutture destinate a tali attività di assistenza e di beneficenza.
D. Avete definitivamente escluso la possibilità di trasformazione in banca popolare?
R. Sì, perché riteniamo che l’apporto sui territori sarebbe assolutamente diverso; avremmo degli azionisti che chiedono principalmente il dividendo, i nostri azionisti invece chiedono un servizio per loro come clienti ma anche e soprattutto per i territori, e vogliamo continuare a essere una banca cooperativa del territorio.
D. Ci sono novità nella riforma?
R. Un passo indietro in modo da poter spiegare meglio la questione: un anno fa era pronto un decreto per il credito cooperativo, oltre a quello sulle banche popolari, ma il Governo si è reso conto che ciò avrebbe avuto un impatto non positivo sui territori e pertanto lo ha ritirato chiedendo alla categoria un progetto di autoriforma che, anche se ancora in nuce, già prima della scorsa estate è stato presentato al Governo. Nelle ultime settimane questa cornice è stata riempita di contenuti importanti, ossia quanto si è deciso all’interno del mondo del credito cooperativo: la costituzione di un unico gruppo nazionale cui partecipa sia Iccrea holding sia il credito cooperativo trentino e, attraverso una convenzione, anche Bolzano. Tutte le bcc sarebbero legate a questo gruppo attraverso un patto di coesione. Vedremo se il decreto rispecchierà questa autoriforma oppure aggiunge o innova qualcosa rispetto a questo macro disegno.
D. Crede possa cambiare qualcosa?
R. Auspico che non cambi nulla perché altrimenti dovremmo chiamarla riforma, e non autoriforma. Mi aspetto eventualmente piccole integrazioni o modifiche. Spero che l’interesse supremo sia quello dei risparmiatori e clienti che hanno bisogno di prestiti nel territorio. Se questo è l’interesse supremo penso sarà bene accetta.
D. Come mai il Governo vuole riformare il sistema?
R. Perché nell’ambito del credito cooperativo, tra le 360 banche, ce ne sono alcune che sono in difficoltà e che difficilmente potranno proseguire in via autonoma la loro vita bancaria. La preoccupazione è che non sempre si troverà qualcuno disposto o pronto a rilevare quelle banche. Oggi con le nuove regole europee non ci sono più gli strumenti normativi di una volta ma esistono o liquidazione o bail in: il bail in è drammatico, la liquidazione forse peggio. La risoluzione non si applica proprio perché le banche di credito cooperativo che vanno male solitamente sono piccole e non hanno un impatto tale sull’economia nazionale per il quale possano essere attratte dalla procedura di risoluzione, una procedura che si applica solo quando la banca determina un interesse sistemico. Il timore quindi è che, se una banca va male e nessuno può o vuole acquisirla, si arrivi alla liquidazione che, per quanto piccola la banca sia, è una procedura che genera sempre sconforto e un problema di reputazione generale del sistema bancario. Considerato che il sistema del credito cooperativo nel suo complesso ha indici solidissimi, si è ritenuto che la soluzione sia costituire un gruppo unico in maniera tale che in sostanza le banche più virtuose siano in grado di garantire per quelle meno virtuose. Questo quindi è il motivo dell’ autoriforma.
D. Geograficamente parlando le bcc più solide si trovano nel Centro-Nord? Data la sua esperienza, ci sono differenze tra Nord e Sud?
R. Erano più forti quelle al Nord fino a qualche anno fa, ora meno: si pensi alla stessa Banca padovana. Insistendo in territori con un diverso peso economico le bcc hanno problemi diversi. Nel Nord l’economia ha sempre funzionato quindi con una buona governance la banca può crescere molto e avere risultati importanti. Nel Sud invece con un’economia meno florida la banca non può crescere altrettanto ma riesce comunque a dare un contributo a un territorio più svantaggiato. Quindi se dovessimo assegnare una medaglia di benemerenza la darei a chi riesce a creare una buona banca nel Sud; però nel tempo è successo che nel Nord qualcuno è stato un po’ meno ligio uscendo dai normali canoni del credito cooperativo, che deve sempre avere a che fare con piccole e medie imprese e non con le grandi che vanno assistite da altri istituti. Quindi di solito nel Sud le banche sono andate male perché non girava l’economia, nel Nord sono andate male quando si è cavalcata un’economia diversa dalla nostra originaria che, ribadisco, è legata alle famiglie e alle pmi.
D. Come confermare il ruolo di Bcc Roma e valorizzare quello del territorio?
R. La banca di credito cooperativo deve essere una realtà che conosce perfettamente il proprio territorio e quindi in grado di assisterlo per le proprie esigenze conoscendo la qualità delle persone e delle imprese. Se continua a esistere una banca di questo genere hanno possibilità di sopravvivenza e di sviluppo anche imprese minori senza grandi consulenti e pubblicità ma che hanno sostanza; con la nostra conoscenza diretta possiamo ancora farlo e ciò ha dato grandi benefici ai territori che hanno pertanto goduto di una banca di credito cooperativo, appunto perché è stato possibile finanziare e far sviluppare imprese che non avevano tante altre possibilità.
D. Altre banche non avrebbero ascoltato questo tipo di esigenze perché mosse da altri interessi?
R. Da altri interessi oppure secondo criteri che dovendo essere validi per migliaia di filiali sono stabiliti in maniera generale e non danno la possibilità al singolo di entrare nel particolare delle qualità delle famiglie e delle imprese. O si rientra in quegli schemi o non ci si rientra, non ottenendo neanche il finanziamento.
D. Come si possono osteggiare i falsi cooperatori?
R. Sono un male assoluto perché inquinano tanta cooperazione sana, che è in grado di dar valore a persone e imprese nella loro individualità, non soltanto per i numeri che rappresentano. La falsa cooperazione si ammanta di un rapporto relazionale con il tessuto sociale e toglie illegittimamente il business alle imprese ordinarie perché l’assegnazione di lavoro avviene a favore di strutture falsamente cooperative e quindi il danno è doppio: alla collettività e alla concorrenza. Siamo impegnati a non assistere finanziariamente le false cooperative però non abbiamo molti strumenti per individuarle in anticipo. Le tre leghe cooperative hanno siglato più di un protocollo d’intesa per stanare la falsa cooperazione.
D. Atteso che non sarà possibile una scalabilità, manterrete quindi la vostra anima? Come rimanere gli stessi dovendo affrontare il cambiamento?
R. Per quanto riguarda la scalabilità il nostro progetto prevede che non meno del 51 per cento della holding debba essere nelle mani delle banche di credito cooperativo e che l’altro 49 per cento sarà in mani esterne qualora in futuro servano ulteriori risorse, considerato che ad oggi non ce n’è bisogno né come patrimonio né come liquidità. Solo quando serviranno si potranno aprire le porte a investitori esterni. Per non snaturarci verrà data alle banche di credito cooperativo più efficienti la massima autonomia nel patto di coesione ed è chiaro che quelle meno efficienti avranno delle limitazioni al loro operare. Tali limitazioni salvaguardano tutti perché, come dicevo, il gruppo si fonda su una garanzia patrimoniale condivisa fra tutte le banche: una in sofferenza danneggia le altre. Dobbiamo essere bravi a non cambiare il nostro rapporto con le comunità locali. Su queste basi la riforma trova il mio pieno appoggio e sono favorevole.
D. Il sistema bancario ne esce migliorato?
R. Ci saranno meno banche atomistiche che corrono il rischio di andare in crisi.
D. E invece per quanto riguarda Bcc Roma?
R. Credo che anche quest’anno abbiamo potuto e saputo dimostrare che si può essere una buona banca locale anche incrementando le dimensioni perché non è la dimensione a rendere locale una banca ma è il modo di interpretare il ruolo da parte dei nostri colleghi. Se c’è una cosa di cui vado fiero è l’alta qualità tecnica, professionale e umana del credito cooperativo e di Bcc Roma. I nostri colleghi effettivamente sentono di dover stabilire con il territorio un rapporto sinergico, bello e di reciproco scambio che credo abbia fatto bene. Negli ultimi 10 anni abbiamo incrementato i prestiti mediamente dell’8 per cento l’anno, e anche in questi ultimi 3 drammatici anni di crisi economica li abbiamo incrementati di circa il 4 per cento l’anno. Anche nel momento in cui l’economia è andata male ci siamo stati e abbiamo continuato ad avere prestiti di qualità perché i nostri indicatori circa i «crediti malati», come ad esempio le sofferenze, sono circa del 4 per cento sui prestiti totali, mentre il sistema nazionale bancario si attesta circa al 10 per cento. Questo significa che abbiamo saputo individuare gli imprenditori sani del territorio: anche in momenti di crisi ci sono persone di qualità che se assistite possono fare bene. Quindi penso che la scommessa vinta sia assistere il territorio dando fiato senza derogare alla corretta gestione.
D. Programmi per il 2016?
R. Consolidamento organizzativo, incremento degli impieghi di circa il 6 per cento e incremento della raccolta, nella quale crediamo di crescere il 2-3 per cento; sviluppo delle filiali dove c’è qualche nicchia di mercato; infine continuare ad avere il rafforzamento patrimoniale che ci ha sempre caratterizzato. Siamo una banca molto solida e anche per questo siamo stati in grado di portare a termine l’operazione padovana.   

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