Angelo Rughetti: la p.a. torni ad essere acceleratore anziche' freno del paese
Angelo Rughetti, deputato del Partito democratico, avvocato, nel 1991 ha cominciato a prestare la propria attività presso la società Ancitel ed è stato segretario generale dell’ Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci) per vari anni. È stato capo della Segreteria tecnica del ministro dell’ Interno negli anni 2000 e 2001. Ha ricoperto l’ incarico di responsabile dell’ Ufficio di Coordinamento istituzionale per la ricostruzione della Regione Emilia Romagna. Eletto nella Circoscrizione XX (Campania 2) nelle elezioni politiche della primavera del 2013, è componente della V Commissione della Camera dei Deputati (Bilancio, Tesoro e programmazione). Dal 28 febbraio è sottosegretario per il Governo di Matteo Renzi al Ministero della Semplificazione e Pubblica Amministrazione.
Domanda. Che idea si è fatto della Pubblica Amministrazione in Italia? Se dovesse evidenziarne i principali cinque pregi e cinque difetti, quali caratteristiche indicherebbe?
Risposta. La Pubblica Amministrazione italiana è molto complessa e variegata, abbiamo 33 mila centri di costo e 8 mila Centri elaborazioni dati: nemmeno gli Stati Uniti hanno una quantità e qualità di enti e responsabilità così diffusa. È presto per dare le pagelle, ci sono tante cose che funzionano e che sono anche eccellenze, ma c’ è una grande disomogeneità sia nelle amministrazioni sia nella distribuzione di qualità ed efficienze nel territorio nazionale. Non mi piace, com’ è avvenuto in passato, additare qualcuno come responsabile, i famosi «fannulloni» di Renato Brunetta, penso che dobbiamo cercare di elevare la qualità media attraverso delle misure e delle politiche che andranno fatte, mettere in evidenza quello che funziona ed essere molto «cattivi» con chi si approfitta della nostra amministrazione. In passato li ho definiti «ladri» e me ne assumo anche la responsabilità, ma chi non va a lavorare, ossia timbra il cartellino ed esce, compie un torto gigantesco ai colleghi ed impiega risorse pubbliche senza fornire una prestazione: se non è propriamente un furto, è una truffa.
D. Si parla da anni di un costante acuirsi nei cittadini di un sentimento di distacco dalla politica. Il vostro Ministero circa un anno fa ha indetto una consultazione pubblica sulla riforma della P.A. per raccogliere gli orientamenti e le proposte, rispetto ai punti qualificanti della stessa, di dipendenti pubblici e cittadini. Che riscontro avete avuto e quale idea si è fatto del rapporto che sussiste nel Paese tra i cittadini e la «cosa pubblica»?
R. I cittadini sono nostri azionisti, ad essi dobbiamo rendere conto. Hanno fatto bene a perdere fiducia nella «cosa pubblica» perché la P.A. e la politica in generale non hanno dato prova né di efficienza né di serietà, accordandosi solo sugli aspetti che interessano gli addetti ai lavori mentre il Paese resta fermo.
D. Come provare a ridare credibilità a questa politica?
R. Noi abbiamo detto: «Dobbiamo far muovere il Paese partendo dai fondamentali», e uno dei fondamentali era la legge elettorale. Abbiamo detto: «La dobbiamo approvare», e l’ abbiamo approvata. Può essere considerata una buona legge o una cattiva legge, migliorabile anche perché non esistono leggi elettorali perfette, ma abbiamo dato un segnale facendola.
D. Quanti cittadini non sono contenti della nuova legge?
R. I sondaggi lasciano il tempo che trovano, quello che io leggo è che un cittadino su due la considera buona, altri criticano il metodo, altri non l’ apprezzano. In questo anno di Governo l’ Italia ha cambiato direzione, cioè noi eravamo sostanzialmente fermi su un treno dinanzi ad un burrone, e noi questo treno l’ abbiamo girato, con misure migliorabili e a volte non condivisibili - l’ articolo 18, il Jobs Act, la riforma della Pubblica Amministrazione, l’ istruzione, la riforma costituzionale -, comunque muovendoci. Stiamo uscendo dalla palude.
D. Negli ultimi anni è stato più volte evidenziato come sarebbe cruciale, per la ripresa, un incremento della produttività. Tuttavia, per incrementare la produttività del comparto della Pubblica Amministrazione, quale ricetta ritiene debba essere applicata?
R. Chi risponde a questa domanda ha la bacchetta magica; sicuramente la presenza. Nella nostra P.A. il personale si ammala troppo spesso il lunedì e il venerdì, i dati del 2014 sono ancora molto negativi, stiamo intervenendo modificando il sistema delle visite fiscali. Comunque i nostri dipendenti pubblici lavorano meno ore e meno giorni della media europea. Il secondo tema riguarda la tecnologia: nonostante siamo il Paese europeo con la più grande diffusione di telefonini e tablet, siamo quelli che li usano di meno e in particolare molto poco per lavorare, soprattutto nei rapporti con la P.A.. Ed essendo l’ Italia un Paese che ha la metà del prodotto interno intermediato dalla spesa pubblica, ciò vuol dire che se riusciamo a far aumentare le relazioni pubblico-privato attraverso la tecnologia, aumenterà tantissimo la ricchezza del Paese, oltre che l’ efficienza. Penso che il digitale e una maggiore cura nella gestione dell’ ordinarietà sono, se non due ricette, due politiche che possono servire molto ad aumentare il livello di produttività.
D. Non ritiene che la tecnologia che dovrebbe essere usata, possa togliere tanti posti di lavoro?
R. È un’ ottima domanda alla quale i Paesi più avanzati hanno già cominciato a dare risposte operative. Un bellissimo libro di Enrico Moretti, professore italiano che insegna a Berkeley, e consigliere del presidente Usa Barack Obama, «La nuova geografia del mercato del lavoro», fa vedere gli effetti del sistema digitale nei territori. Esso sostanzialmente dice due cose: si perdono i posti di lavoro dove c’ è automazione, ma si recuperano posti di lavoro nel mercato interno dei servizi, il che vuol dire che un «tecnologo» guadagna di più di una persona normale, quindi un ingegnere, un analista, un programmatore, avendo un reddito più alto ed essendo culturalmente molto attrezzati, spendono più soldi rispetto a un’ altra persona in settori particolari come welfare e ambiente. Quindi per ogni ingegnere che si assume si creano tre posti di lavoro nel mercato interno. Così, se nel breve termine si perdono posti dove c’ è automazione, si ricrea anche mercato, e più nel medio termine si usa tecnologia, più ci sarà bisogno di tecnologia: il bisogno di nuova tecnologia porterà ad investire e assumere. La qualità cambia moltissimo e c’ è molta mobilità nel mercato del lavoro, si perde personale dequalificato e si assume personale più qualificato.
D. E il personale dequalificato che fa?
R. Si riqualifica attraverso la formazione.
D. Ma, di fronte ad un’innovazione tecnologica tanto rapida, come fa la spesa pubblica a rimanere al passo?
R. Se avessimo questo problema vorrebbe dire avere una enorme capacità di spesa nell’ innovazione tecnologica, ma non è così. Stiamo cercando di fare il Federal Bureau, cioè mettere insieme gli uffici pubblici dell’amministrazione centrale sul territorio, abbiamo 80 metri quadrati per ciascun dipendente, sostanzialmente un mini appartamento. Vogliamo che il procedimento amministrativo si plasmi rispetto al digitale. La vera rivoluzione della pubblica amministrazione sarà Italia Login, una scatola dentro la quale può accedere soltanto l’ individuo con il proprio pin, e dentro trova tutta la sua vita nei rapporti con l’ amministrazione Pubblica; anagrafe, sanità, Agenzia delle Entrate, multe, patente, porto d’ armi e qualsiasi altra cosa. Il processo amministrativo cambia; non sarà più necessario fare richieste o autorizzazioni perché saranno sufficienti le informazioni già registrate e si avrà già il diritto a determinati documenti senza richiederli. In questo modo i costi di gestione si abbattono tantissimo, a fronte di un costo d’ inizializzazione per digitalizzare tutti gli archivi, per fortuna su questo negli anni passati si è in parte lavorato: sanità, anagrafe, anagrafe tributaria, tutti i dati sono in possesso di Sogei.
D. Come ottimizzare l’ operato delle amministrazioni e avvicinare la P.A. ai cittadini e alle imprese? Crede sia sufficiente l’ agenda per la semplificazione stilata nel dicembre scorso, da qui fino al 2017, il cui obiettivo è restituire il tempo ai cittadini per una migliore qualità della vita e la crescita economica?
R. Abbiamo fatto una scelta di rottura rispetto al passato; negli scorsi anni il Governo interveniva in materia di semplificazione con la cosiddetta «legge di semplificazione»; nella legge Bassanini addirittura era previsto che ci fosse una legge di semplificazione biennale. L’ abbiamo fatta quasi tutti gli anni, quello del Governo Letta è stato l’ ultimo disegno di legge ed è ancora fermo al Senato, ma con tali leggi non è cambiato assolutamente nulla. Il nostro problema non sono le leggi, ma l’ amministrazione e l’ esecuzione. Preoccupiamoci dei procedimenti amministrativi: la nostra parola d’ ordine è standardizzazione, mettiamo insieme Comuni, Province, Regioni e Stato e affiliamoli su un unico modello di procedimento amministrativo. Ad esempio, abbiamo fatto il regolamento edilizio della Repubblica, per cui ogni cittadino in qualsiasi Comune si trovi ha una procedura unica, un’ applicazione sul telefonino, un modello uguale per tutti. Sembra fantascienza, ma questo è l’ articolo 24 del decreto legge n. 90 e già 7 Regioni hanno già fatto la legge di recepimento. La macchina si è messa in moto.
D. Ciò eviterebe anche in parte la corruzione?
R. Questo è uno degli elementi fondamentali per la lotta alla corruzione, e lo stesso criterio verrà usato a breve per gli appalti e per le opere pubbliche.
D. La Commissione Affari Costituzionali del Senato lo scorso 18 marzo ha approvato significativi emendamenti al testo del disegno di legge n. 1577 del 2014 concernente la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Ci può illustrare i principi guida e fornire indicazioni di come stanno incidendo i numerosi emendamenti sull’ architettura del provvedimento?
R. La riforma intanto è stata approvata al Senato e adesso è in prima commissione alla Camera. Speriamo che prima della pausa estiva la riforma della P.A. sarà legge dello Stato. Stiamo già lavorando ai decreti legislativi come se essa fosse già approvata, ci siamo impegnati affinché entro dicembre tutti i decreti legislativi siano emanati, salvo quello concernente l’ articolo 13 sul testo unico del pubblico impiego. Chiamarla riforma è riduttivo: è una riorganizzazione dell’ intero sistema pubblico che riguarda gli enti, e quindi anche qui c’ è un cambio di mentalità rispetto al passato. Oggi abbiamo una P.A. che è uguale in tutte le Province e stiamo cercando di togliere tutto ciò che non serve. Le 107 Camere di Commercio diventeranno 60, e saranno ridotte poi le prefetture e le forze dell’ ordine, e unificati tutti i servizi comuni.
D. Ma non c’ è la Consip per questo?
R. La Consip per alcune cose funziona, per altre no. È come se ogni amministrazione rispondesse a se stessa, non c’ è la visione della Repubblica, ma solo una visione sull’ ente. Non riusciamo a fare mobilità perché il personale è stato costruito come personale appartenente a quel singolo ente, non alla Repubblica.
D. E questo non si può cambiare?
R. Nell’ articolo 4 del decreto legge n. 90 abbiamo fatto tutto un nuovo sistema di mobilità mettendo insieme la P.A. territoriale. Il nuovo ufficio territoriale dello Stato avrà il compito di accorpare, sia logisticamente che funzionalmente, tutte le funzioni dello Stato che sono sul territorio, e questo porterà un altro vantaggio che sarebbe il secondo tema di cui si occupa la riforma, cioè la Conferenza dei servizi: dal 1995 ad oggi l’ abbiamo ritoccata 20 volte e continua a non funzionare perché non funziona la catena di comando, ogni amministrazione non impiega una visione complessiva, ma adopera la propria. Perciò nella legge abbiamo previsto che lo Stato, nella Conferenza dei servizi, sia rappresentato unicamente da un soggetto.
D. Ritiene che le Province siano utili?
R. No. La legge n. 56 del 7 aprile 2014, conosciuta come legge Delrio, prevede per adesso un forte ridimensionamento funzionale delle Province. Questa legge che nasce nell’ Anci, l’ Associazione nazionale dei Comuni italiani dal lavoro comune di Chiamparino, Delrio e lo stesso Renzi, sceglie di avere un unico livello di amministrazione generalista, i Comuni, e un unico livello di amministrazione e programmazione, le Regioni. Per fare ciò abbiamo bisogno di una legge costituzionale, che è in corso di approvazione, ma nel frattempo abbiamo ridotto all’ osso le competenze delle Province, in previsione dello spostamento di 20 mila persone che dovranno essere ricollocate.
D. Quando saranno saldati i crediti dei cittadini nei confronti della P.A.?
R. I pagamenti stanno andando avanti e saremo arrivati intorno ai 55 miliardi, ma c’ è un dato anomalo. Le richieste di certificazione del credito devono essere precedute dalla registrazione sull’ apposita piattaforma, perché si proceda all’ emissione della fattura attraverso cui la banca pagherà, o in seconda istanza la Cassa Depositi e Prestiti; quando nel 2013 abbiamo mappato la situazione dei crediti, la cifra si aggirava intorno ai 100 miliardi di euro; ora abbiamo pagato 55 miliardi, circa 10 sono addebiti in conto capitale che non possiamo pagare perché altrimenti incidono sul deficit, manca qualcosa all’ appello. Questo può essere un dato positivo se questi creditori hanno trovato un modo di scontare le fatture, non utilizzando questo circuito ma ottenendo l’ adempimento attraverso altra procedura ordinaria. Può essere un dato negativo se si tratta di debiti fuori bilancio.
D. Ricollegandoci alla riforma delle Province, la Corte dei Conti si è pronunciata negativamente su questa riforma.
R. La Corte dei Conti ha detto che non ci sono i risparmi sperati, ma a mio parere è stata smentita da un dato di fatto: con la legge di stabilità del 2015 abbiamo tolto un miliardo di risorse alle Province perché, per fare edilizia scolastica e manutenzione delle strade, bastano 4 miliardi e 600 milioni di euro.
D. Lei ha avuto una lunga esperienza con gli enti locali. Ritiene che le «smart cities» siano una priorità?
R. Sì, ma solo se sono un progetto-Paese e se non sono tanti piccoli progettini. Questo dipende sia da noi, che dobbiamo dare finanziamenti solo per alcune opere, non tutte, sia da loro, che devono costruire una rete, un’ ossatura.
D. Pensa che l’ Italia può fare rete?
R. Strutturalmente non siamo portati a fare rete, siamo un Paese individualista e molto poco avvezzi a metterci in squadra. Un esempio sono i Por, piani operativi regionali: ogni Por prima era un mondo a se stante, ogni Regione si chiudeva dentro la propria stanza, faceva un piano operativo, lo mandava a Roma, Roma l’ impacchettava e lo mandava a Bruxelles. Ma noi abbiamo detto no, e infatti i Por sono stati fatti su tre obiettivi strategici: mobilità, logistica e infrastrutture tecnologiche.
D. Qual è il bilancio del suo operato?
R. La P.A. è veramente un mezzo attraverso cui stare insieme dentro a un Paese, non è più il luogo dell’ assistenzialismo, non è il luogo dove si trova un posto fisso, ma è un luogo dove si va a dare una mano agli altri. I cittadini che hanno bisogno della P.A. sono la parte più «debole» del Paese, ciò chiama in causa l’ articolo 3 della nostra Costituzione che prescrive l’ uguaglianza sostanziale oltre che l’ uguaglianza formale: il sistema pubblico deve fare quello che sa fare per rendere tutti uguali, e chi ha il privilegio di lavorare nella P.A. svolge una funzione veramente importante.
D. Consiglierebbe a un giovane di entrare nella P.A.?
R. Certo, stiamo cambiando tutte le regole per selezionarli, serve gente che sappia fare cose e risolvere problemi, non abbiamo economisti, ingegneri, gestori di risorse umane, chimici ed altri professionisti: dobbiamo ripensare il modo attraverso il quale prendiamo capitale umano dalla società per inserirlo nella P.A., ma dall’ altra parte ci deve essere gente che scommette su questo. Vorrei che accadesse che la P.A. tornasse ad essere un valore aggiunto, e non un freno, per questo Paese.
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