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Giovanni Legnini: Autoriforma del CSM per una giustizia efficace ed efficiente

Giovanni Legnini, presidente del CSm

Manovre nuove si ravvisano nel balletto tra Parlamento e Governo, e il tema «anticorruzione» conduce le danze: il disegno di legge approvato dal Senato e inviato alla Camera prevede il reato di falso in bilancio, le intercettazioni solo per le società quotate, carcere più lungo per i mafiosi; si occupa di corruzione nella Pubblica Amministrazione; conferisce più poteri di vigilanza all’Anac, Autorità nazionale anticorruzione. Altro tema tristemente alla ribalta dopo i tragici fatti al Tribunale di Milano, quello della sicurezza nei luoghi dove si amministra la giustizia. Nel primo caso la Magistratura si troverà ad applicare le nuove norme anticorruzione, una volta approvate in via definitiva; nel secondo a richiedere maggiore sicurezza nei luoghi dove si esercita la giurisdizione. Sulle intercettazioni si gioca una partita molto delicata: il Legislatore dovrà trovare un punto d’equilibrio tra il diritto alla riservatezza, la tutela delle persone indagate e non indagate per fatti estranei all’oggetto delle indagini, le prerogative della giurisdizione ed il diritto di cronaca. Scelta normativa non semplice, trattandosi di valori di rilievo costituzionale.
Questi e molti altri sono i punti all’attenzione dell’organo di governo autonomo dei magistrati, il Consiglio Superiore della Magistratura, a cui la Costituzione assegna le competenze in materia di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati ordinari, oggi presieduto da Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, che vi partecipa di diritto. Ma è il vicepresidente, che il CSM elegge tra i membri «laici», a svolgere concretamente i compiti connessi alla presidenza del collegio. Già sottosegretario all’Economia nel Governo Renzi, componente anche dell’Esecutivo Letta del quale ha fatto parte come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria e all’Attuazione del Programma, Giovanni Legnini ricopre questo incarico dal 30 settembre 2014, quando, nel discorso di insediamento, dichiarava: «Rapidità dei giudizi e certezza del diritto costituiscono il presupposto affinché si torni a guardare ai giudici e ai pubblici ministeri come ai detentori prestigiosi ed affidabili di una funzione che è e dovrà essere sempre autonoma, indipendente ed imparziale. Sono pertanto convinto che il Consiglio Superiore della Magistratura debba esercitare un ruolo di attenta partecipazione al complesso dei propositi riformatori avviati dal Governo e ai procedimenti legislativi pendenti in Parlamento, segnalando in modo puntuale le norme che rischiano di risultare in concreto non aderenti agli obiettivi indicati e quelle eventualmente lesive del ruolo e della funzione costituzionale dei magistrati».
Domanda. Dopo due anni è stato approvato dal Senato il disegno di legge che aumenta le pene sulla corruzione e riforma il reato di falso in bilancio. Può illustrare in sintesi cosa cambia nella fisionomia di tali reati?
Risposta. L’apparato sanzionatorio di contrasto alla corruzione esce indiscutibilmente rafforzato dal disegno di legge approvato dal Senato e ora all’esame della Camera. Per il reato di falso in bilancio vi è un’inversione di tendenza netta rispetto alla disciplina vigente, nel senso di reintrodurre fattispecie più stringenti di punibilità della falsificazione dei bilanci e un regime sanzionatorio conseguente. In sostanza, si vuole contrastare la corruzione anche facendo leva sul delitto di falso in bilancio che si presta ad essere commesso per costituire fondi neri. Una volta approvato il disegno di legge sarà certamente più agevole punire i responsabili, e sarà certamente più difficile farla franca per i corrotti.
D. Fatta la legge, trovato l’inganno: si troveranno altri sistemi per continuare?
R. Purtroppo nel nostro Paese l’attitudine ad aggirare la legge è elevata in qualunque ambito. Per un’efficace lotta alla corruzione, non basta una buona legge ma occorre un’evoluzione culturale tale da determinare il diffuso convincimento che quei reati corrodono il presente e il futuro dell’etica pubblica e dell’economia legale. In altre parole, contrastare la corruzione è giusto in sé e conviene all’economia e ai cittadini; questa è la consapevolezza che deve crescere.
D. Si può debellare totalmente quella rete di relazioni «opache» che unisce criminali, politici e funzionari pubblici?
R. La riforma di cui abbiamo parlato si muove nella direzione che lei indica, tuttavia per debellare la rete di relazioni opache occorre anche altro. Non è sufficiente la repressione penale che interviene, come sappiamo, a valle del manifestarsi delle condotte criminali, ma occorre intervenire anche in via preventiva, e su questo certamente l’attività dell’Autorità nazionale Anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone fornirà un decisivo contributo. Sarebbe altrettanto preziosa una profonda semplificazione normativa e amministrativa perché, dentro le complicazioni, si annidano l’opacità e la capacità di pressione sui pubblici funzionari. Laddove è difficile e complicato ottenere un risultato, è anche più facile indurre a comportamenti corruttivi.
D. Per combattere la corruzione non si dovrebbe anche intervenire in ambito preventivo, per esempio snellendo la burocrazia?
R. Il tema della semplificazione è cruciale. Un caso eclatante è costituito dalla disciplina degli appalti pubblici. In Italia partecipare a un appalto e aggiudicarlo costituisce spesso una delle operazioni più complesse che si possa immaginare; snellire e razionalizzare tale disciplina, fondarla su poche regole dagli effetti certi, aiuterebbe non poco a contrastare la corruzione.
D. Cosa ha in mente di fare per portare avanti ciò che sta dicendo?
R. Non spetta al CSM formulare le norme giuridiche, bensì al Governo e al Parlamento. Noi svolgeremo il nostro compito propositivo.
D. Ogni giorno la polizia giudiziaria esegue provvedimenti contenenti dialoghi intercettati tra gli indagati o terze persone, ma solo quando spuntano nomi di politici o personaggi noti si ode il coro contro i giornalisti che riportano il contenuto degli atti giudiziari e contro i magistrati per aver inserito frasi e cognomi privi di rilevanza penale. Come uscirne?
R. È evidente che la tutela delle persone non indagate o indagate per fatti estranei all’oggetto delle indagini è una necessità inderogabile. So bene che questa esigenza, finalizzata a tutelare la riservatezza delle persone, spesso confligge con il diritto di cronaca e con il diritto-dovere di informare, ma quando due interessi, peraltro entrambi costituzionalmente garantiti, e cioè quello della riservatezza e quello del diritto-dovere d’informare, confliggono, bisogna trovare un punto d’equilibrio. Oggi è troppo sbilanciato sulla libera diffusione di qualunque colloquio intercettato.
D. Non ritiene giusto che queste intercettazioni escano fuori solo una volta che la giustizia abbia già fatto il proprio corso sull’indagato?
R. Risolvere questo problema è ancora più difficile rispetto alla questione della tutela dei non indagati. Non è possibile, infatti, immaginare un processo penale nel quale gli atti vengano tenuti segreti prima della sentenza. Il processo penale è di per sé pubblico e non si può rinunciare a tale forma di tutela posta a garanzia dell’imputato e dell’esercizio della giurisdizione in nome del popolo. Altra cosa è una maggiore attenzione e tutela durante le indagini. Per esempio, l’idea di limitare non già l’utilizzo, ma la trascrizione delle intercettazioni nelle ordinanze di custodia cautelare destinate a essere pubbliche, è un’opzione interessante che il Legislatore farebbe bene a coltivare: la magistratura disponga comunque, nei termini che ritiene, del potere d’intercettare, usi pure il materiale che acquisisce e quindi anche le intercettazioni, ma prima di renderle pubbliche ci ripensi dieci volte. E soprattutto siano previste regole che limitino fortemente la diffusione delle intercettazioni non rilevanti ai fini delle indagini e dell’esercizio dell’azione penale. L’ipotesi avanzata sul punto dai Procuratori Pignatone e Bruti Liberati mi sembra interessante.
D. Come si può mettere un limite a tutto ciò?
R. Vi sono varie possibilità, ciascuna delle quali ha punti di forza e di debolezza. Il punto fermo dovrebbe essere: massimo potere ai magistrati nell’usare questo strumento, minima possibilità di rendere pubblico il materiale acquisito attraverso intercettazioni non strettamente necessarie alle indagini e al processo. Si discute da anni del tema senza risolverlo. Constato che oggi c’è un diffuso consenso ad intervenire con uno strumento normativo appropriato.
D. Se la stampa le pubblica, è perché qualcuno le fa uscire.
R. È proprio questo il punto: l’intervento di riforma deve accrescere il grado di riservatezza e di segretezza degli atti. Non si può pensare che un intervento riformatore salvaguardi tutto e tutti. Non è possibile. Se il valore costituzionale della riservatezza deve essere tutelato a qualcosa bisogna rinunciare, poiché non si possono depotenziare i mezzi d’indagine, né limitare il diritto di cronaca; il punto su cui intervenire è su quali atti d’indagine e su quando sia possibile renderli pubblici. Non vedo molte alternative. Se le intercettazioni arrivano alla stampa, non è che possiamo prendercela con i giornalisti e gli editori.
D. Cosa pensa della nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati?
R. Al sacrosanto diritto dei cittadini ad essere risarciti in presenza di provvedimenti dannosi nei loro riguardi per dolo o colpa grave dei magistrati, non può conseguire uno stato d’intimorimento e turbamento della libertà dei magistrati. Occorre che i nuovi strumenti e il diritto, che è stato diversamente disciplinato, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno non siano utilizzati in modo strumentale e con l’intento di esercitare una pressione sui magistrati. L’ultima parola, comunque, spetterà alla giurisdizione poiché saranno i giudici investiti dalle domande di risarcimento danni a determinare la loro fondatezza. Sarà la stessa giurisdizione, dunque, che consentirà nel tempo di affermare una linea interpretativa in grado di coniugare questi due valori: il legittimo diritto dei cittadini ad essere risarciti nei casi previsti dalla legge e la necessità che i magistrati continuino a fare il proprio lavoro con diligenza e responsabilità, ma anche con serenità.
D. Con quale parametro si può pensare di risarcire una persona che è stata ingiustamente danneggiata?
R. I parametri sono quelli che già l’ordinamento prevede. In presenza di un ingiustificato provvedimento restrittivo della libertà personale, la quantificazione del danno dovrà essere ad essa proporzionata. Così come, se viene leso un diritto patrimoniale, il risarcimento sarà rapportato al danno patrimoniale concretamente stimabile.
D. La politica ha dichiarato che uno dei primi problemi della giustizia italiana sono i magistrati; la vera questione non sarebbe un riequilibrio «pacifico» dei rapporti tra politica e magistratura?
R. Non condivido il giudizio in base al quale uno dei primi problemi della giustizia siano i magistrati. Auspico che si affermi sempre più un clima di rispetto reciproco, e sottolineo «reciproco». La reciprocità nel rispetto delle prerogative e delle funzioni di ciascuno è la chiave per conseguire un equilibrio. A volte invece, ascoltando i giudizi politici, sembra che i magistrati debbano stare «buoni» e non occuparsi di nulla salvo che di reati bagatellari. Così come a volte appare inaccettabile un utilizzo distorto del potere d’indagine verso un’invadenza del campo del legittimo esercizio della discrezionalità politica.
D. In che misura incidono la mancanza di personale e la crisi economica sulla lunghezza biblica dei processi italiani?
R. Purtroppo incidono. Il personale amministrativo addetto agli uffici giudiziari è gravemente carente da anni, e la responsabilità non è di questo Governo ma è risalente nel tempo. Abbiamo una scopertura di organici molto elevata di circa 9 mila unità in ambito amministrativo. Quest’anno il Governo ha deciso di coprire mille posti, e naturalmente non può non apprezzarsi il fatto che abbia assunto una decisione che non si prendeva da anni, ma mancano ancora 8 mila unità, ed è ovvio che tale carenza di personale incide sulla lunghezza dei processi e sulla produttività dei magistrati, che le statistiche, peraltro, attestano come molto elevata. Moltissimi magistrati non riescono a svolgere udienze o a depositare sentenze in tempo perché non dispongono di personale sufficiente. Non lo dico solo io, lo dicono tutti. C’è anche il grande tema della formazione del personale in parallelo alla digitalizzazione del processo. La crisi economica d’altra parte influisce perché il disagio sociale e le difficoltà del sistema delle imprese si ripercuotono in via diretta sulla giurisdizione. Per esempio in questi anni di crisi sono aumentati vertiginosamente i fallimenti delle imprese e questo fenomeno ha condotto e conduce a un sovraccarico per il sistema giudiziario. È certo che sono aumentate le morosità, come anche le vendite all’asta delle case perché molti, che hanno perso il lavoro, non riescono a pagare il mutuo, e anche questo porta a un aggravio di pendenze per il sistema giudiziario.
D. Lei è stato anche al Ministero dell’Economia; questa crisi e questo aggravio di pendenze non dipende anche dal fatto che il Governo, non solo quello attuale, con i suoi provvedimenti eccessivi nei confronti degli imprenditori, delle aziende, dei lavoratori, non li aiuta?
R. Il mio ruolo m’impone di non rispondere a questa domanda.
D. Secondo lei che significato «simbolico» ha la strage compiuta al tribunale di Milano? Per quale motivo si sono riversate troppe tensioni e troppa rabbia verso la giustizia? Non è anche un fatto legato ad una questione di sicurezza?
R. La strage di Milano non può essere in alcun modo giustificata. Nessun collegamento si può stabilire tra la decisione folle di quella persona e le tensioni sociali o la delegittimazione della magistratura. Il gesto è gravissimo e folle, punto. C’è un problema di sicurezza negli edifici giudiziari italiani: c’era ben prima della strage ed occorre provvedere. Il Ministro ha convocato una riunione con i procuratori generali per impostare il lavoro che è già in via di definizione. Uno dei problemi che si pongono è che, poiché la gestione degli uffici giudiziari e dei servizi accessori compresa la sicurezza, è stata fino a questo momento affidata ai Comuni, si è creata una situazione a macchia di leopardo in giro per l’Italia, ci sono uffici più sicuri e uffici meno sicuri. Dal primo settembre 2015, in virtù di una norma contenuta nell’ultima legge di stabilità, la gestione degli uffici giudiziari, compresa la sicurezza, sarà affidata al Ministero della Giustizia e questo può essere l’occasione per un ripensamento complessivo su un tema che tutti riteniamo importante. C’è sì la necessità di una maggiore vigilanza e sicurezza, ma non vorrei neanche che i tribunali diventassero bunker inaccessibili perché altrimenti si creerebbero file e disagi non secondari. Bisognerebbe anche qui farsi aiutare dalla tecnologia per stabilire controlli più efficaci, senza creare barriere eccessive per i moltissimi cittadini, avvocati e professionisti, che accedono quotidianamente agli Uffici Giudiziari.
D. Ma i cittadini non hanno bisogno di avere più fiducia in un potere giudiziario certo, valido e giusto come deve essere quello della Magistratura?
R. Il tema del recupero della fiducia è cruciale. L’esercizio della giurisdizione di per sé deve essere improntato alla certezza e all’effettività della risposta, e questo è l’unico parametro per recuperare quella fiducia; se si avvertirà che la giustizia è efficiente ed è rispettosa dei diritti dei cittadini, tutto sarà più semplice.
D. La Magistratura ultimamente sembra aver perso quell’aura di rispetto e di autorevolezza. Cosa fare?
R. Se vi è crisi d’autorevolezza della magistratura, questa è purtroppo collegabile al tema dell’inefficienza. L’equazione «la giustizia non mi offre la risposta, uguale, responsabilità e colpe sono dei magistrati» è sempre più ricorrente, anche quando ciò non risponde al vero. Se riusciamo a recuperare valori di efficienza, celerità e certezza nelle decisioni, credo che il rispetto e l’autorevolezza dei magistrati torneranno a crescere.
D. Dal 30 settembre 2014 è vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Può fare un bilancio di questi primi mesi di consiliatura? È auspicabile, da parte sua, una riforma interna del CSM? Quali modifiche adotterebbe?
R. Abbiamo adempiuto ad un carico di lavoro ordinario notevole in modo assolutamente tempestivo e soddisfacente; ciò non è facile all’inizio di una consiliatura e con un Plenum che è nuovo in tutti i suoi componenti, anche perché l’incarico non è rinnovabile. Stiamo elaborando idee e definendo progetti per cambiare in profondità questa istituzione così importante non solo per i magistrati: garantire la loro indipendenza è un valore non solo a loro tutela ma anche per i cittadini. Trovarsi di fronte a un giudice non libero è la negazione di uno dei principi basilari della democrazia. L’autogoverno dei magistrati che la Costituzione ha affidato al Consiglio Superiore della Magistratura serve a questo: io e tutti i consiglieri ne siamo consapevoli. Se decliniamo il doveroso principio dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura in chiave di rispetto dei diritti dei cittadini, questa istituzione acquisirà ulteriore autorevolezza.
D. Quali sono i suoi obiettivi per la Consiliatura?
R. Cambiare questa istituzione: autoriformarla per renderla più efficiente e più trasparente nel senso della comprensibilità da parte dei cittadini di ciò che si decide e di come si arriva alle scelte; fare in modo che il CSM sia considerato dai magistrati più che nel passato come un’istituzione autorevole che non offre risposte amicali o correntizie, ma obiettive e meritocratiche; infine, fare in modo che il Consiglio, quale organo d’autogoverno, stabilisca con gli altri poteri dello Stato un rapporto certo improntato all’autonomia, ma anche alla capacità di dialogo e di costante confronto.
D. Tra le attività del CSM, una delle più rilevanti è quella del conferimento degli incarichi direttivi. Quali sono le conseguenze del decreto Madia?
R. Per effetto dell’abbassamento dell’età pensionabile da 75 a 70 anni siamo stati investiti dal Legislatore a rinnovare una notevole quantità di incarichi direttivi, a partire dalle posizioni di vertice degli Uffici Giudiziari. In questa Consiliatura abbiamo una grande responsabilità perché, scegliendo persone adeguate al ruolo, contribuiremo in concreto a riformare nei fatti la giustizia.
D. È soddisfatto di questo incarico o preferiva stare al Governo?
R. La distanza tra le due funzioni è molto rilevante. Sottolineo la soddisfazione di essere stato investito, in un arco di tempo ristretto, della cura degli interessi pubblici dal punto di vista di tutti e tre i poteri: da legislatore in Parlamento, da componente dell’Esecutivo e adesso dalla prospettiva della giurisdizione. Tra questi tre ruoli le differenze sono evidenti ma il fine è comune: fare la propria parte per concorrere al bene comune.      

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Tags: Maggio 2015

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