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Nicolò d’angelo: la nuova criminalità nata nella nuova società

Nicolò D’Angelo Questore di Roma

Dal 16 ottobre 2014 il questore di Roma è il dott. Nicolò Marcello D’Angelo, nato a Trapani nel 1954. Proveniente dal ministero dell’Interno, segreteria del dipartimento della Pubblica Sicurezza, dirigente generale della Polizia di Stato, Nicolò D’Angelo ha frequentato nel 1972 l’Accademia del corpo delle Guardie di pubblica sicurezza. Il suo primo incarico si è svolto nella questura di Torino dove è rimasto un anno. Trasferito a Roma nel 1977, ha ricoperto delicati incarichi tra cui la direzione di vari commissariati, del nucleo antiterrorismo e della Squadra Mobile della questura, dove ha svolto la maggior parte della sua carriera come dirigente della sezione Antirapine, poi della sezione Omicidi, della sezione Criminalità Organizzata, per assumere infine la direzione dell’intera struttura operativa della capitale. Dal 1997 al 2003 è stato, infatti, a capo della Squadra Mobile romana. Sono stati quelli gli anni in cui sono stati registrati a Roma numerosi successi contro la criminalità, organizzata o meno. Possono citarsi le operazioni contro la banda della Magliana e l’arresto di tutti i suoi componenti; il recupero di varie opere d’arte di inestimabile valore, tra cui tele di Paul Cezanne e Vincent Van Gogh. È riuscito a risolvere brillantemente i sequestri di Dante Belardinelli, di Antonella Caponeri e, dopo lunghi mesi di estenuante attività investigativa sull’omicidio della studentessa universitaria Marta Russo, a trarne in arresto i responsabili. Promosso dirigente superiore della Polizia di Stato nel 2003, è stato nominato questore di Ascoli Piceno fino al 2006, poi di Latina fino al 30 settembre 2011. Dirigente generale dal dicembre 2011, ha ricoperto l’incarico di questore di Perugia, ove è rimasto fino al 6 gennaio 2014 quando è stato trasferito alla segreteria del dipartimento della Pubblica Sicurezza dove ha lavorato fino al 15 ottobre scorso.
Domanda. Che significato ha, dopo 11 anni, la nomina di Nicolò D’Angelo alla guida della Questura di Roma?
Risposta. Per me ha un grande significato perché è un ritorno dopo tantissimi anni della mia carriera trascorsi in questura. Questo ritorno a casa ha anche un aspetto affettivo. Pensavo di aver concluso questo percorso e invece mi sono ritrovato ad occupare la sedia più importante che è anche la più scomoda dell’ufficio dove sono stato funzionario. In quegli anni ho visto passare moltissimi questori ed oggi il questore sono io.
D. In materia di sicurezza e di ordine pubblico i problemi di Roma sono sempre gli stessi o sono diversi rispetto a 11 anni fa? Com’è mutato il «volto criminale» di Roma?
R. Innanzi tutto bisogna distinguere tra problemi derivanti dalla criminalità, sia comune che organizzata, e gestione dell’ordine pubblico. Sotto il primo profilo, come è a tutti noto, tra la fine degli anni 70 e negli anni 80 e 90, esisteva a Roma una serie di organizzazioni criminali temibili, a cominciare dalla banda della Magliana: in quegli anni i significativi arresti che abbiamo compiuto hanno inciso notevolmente sulla mappa criminale. Poi, con il tempo, i fenomeni criminali si sono trasformati, come parallelamente è cambiato il volto della città. Nel nostro Paese, come in tutti i paesi del mondo, ha preso il sopravvento il traffico di sostanze stupefacenti. Oggi, proprio per la grande estensione di Roma ed il conseguente «anonimato» che questa garantisce, la capitale è diventata un luogo in cui si svolge un’intensa attività di riciclaggio di denaro di provenienza illecita, che viene gestita da organizzazioni che operano nel suo territorio, anche se non vi esercitano quel controllo ambientale che è invece caratteristico delle aree del sud, dove questi fenomeni sono nati. Mi riferisco naturalmente soprattutto alle tre grandi organizzazioni criminali mafia, camorra e ‘ndrangheta che nel tempo hanno imparato ad infiltrarsi anche nelle strutture amministrative per trarne un profitto economico. Se i problemi criminali sono cambiati, provocando un continuo adeguamento delle attività di prevenzione e di contrasto, sotto il diverso profilo dell’ordine e sicurezza pubblica c’è stata una vera rivoluzione. L’approccio dell’apparato di Pubblica Sicurezza nei confronti del manifestante era completamente diverso rispetto a quello moderno. Oggi assistiamo ad una moltiplicazione delle manifestazioni rispetto al passato. Roma registra una media di 4-5 manifestazioni di rilievo al giorno e circa 9 cortei al mese per cui l’impegno nel settore dell’ordine pubblico è notevole. La questura quotidianamente esprime un grande lavoro di valutazione delle informazioni e di pianificazione dei servizi, che nella normalità dei casi vede il coinvolgimento dei promotori delle manifestazioni. A questo lavoro organizzativo corrisponde una gestione della piazza che è il frutto di un approccio culturale rinnovato anche grazie alla Scuola dell’ordine pubblico di Nettuno, fortemente voluta dall’allora capo della Polizia Antonio Manganelli. Purtroppo non sempre le cose vanno come sono state immaginate e pianificate, troppe variabili possono influire sulle decisioni che il singolo funzionario assume. I problemi sono tanti e generano tensioni sociali che a volte si scaricano impropriamente sulle forze di polizia.
D. Possibile che nel nostro Paese, non solo a Roma, per una partita di calcio si debbano mobilitare ogni volta migliaia di agenti? Di chi sono le responsabilità?
R. Quello degli stadi è un problema annoso, anche se molto è stato fatto rispetto al passato. Nel corso degli ultimi anni consistenti innovazioni normative hanno dotato la polizia di nuovi strumenti di contrasto ed innalzato i limiti di pena per alcuni comportamenti devianti. Le recenti modifiche normative volute dal ministro Angelino Alfano confermano questa direzione. Anche i cambiamenti organizzativi hanno avuto un peso notevole: grazie all’impiego degli steward per i servizi all’interno degli impianti sportivi sono state liberate importanti risorse delle forze di polizia. Un notevole passo avanti è stato fatto anche nell’attività di scambio informativo coinvolgendo le società calcistiche: in questo ambito ha grande importanza il lavoro dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. È ovvio che la quantità di agenti impegnati dipende da una serie di fattori da analizzare caso per caso e la rivalità tra le opposte tifoserie è solo uno di questi elementi. Faccio un esempio: nel caso della partita contro la squadra tedesca del Bayern Monaco, abbiamo dovuto gestire un imponente flusso di tifosi ospiti, che è arrivato nella capitale contemporaneamente con quattro diverse modalità: autobus, treno, aereo e vetture private. Questo ha fatto crescere il numero di agenti necessari a garantire la sicurezza. C’è poi il problema della localizzazione dello stadio Olimpico, un impianto monumentale dove è difficile realizzare quelle infrastrutture materiali e tecnologiche necessarie ad aumentare la sicurezza diminuendo il numero di agenti impiegati. Senza contare poi i problemi che crea alla viabilità un impianto sportivo così capiente, collocato in una zona nevralgica della città. Gli incidenti collegati alle partite di calcio, a parte i gravi recenti episodi, seguono una generale tendenza alla diminuzione; purtroppo abbiamo spesso a che fare con frange violente che non hanno nulla a che vedere con lo sport e che si recano allo stadio solo ed esclusivamente per creare incidenti. Probabilmente in materia incide anche la certezza della pena. Alcuni tipi di reati a mio parere andrebbero perseguiti e sanzionati più severamente, ma questo è un compito del legislatore.
D. Il pendolo tra sicurezza e integrazione sembra pendere verso la prima: com’è attualmente la situazione legata all’immigrazione e alla scia di delinquenza che ne deriva?
R. L’esigenza di sicurezza è sentita in tutto il Paese, ma la criminalità non dipende dalla presenza di clandestini, bensì dal fatto che nella maggioranza i cittadini stranieri vivono di reati perché, non essendo integrati nel tessuto sociale, non riescono ad avere altri mezzi di sostentamento. Secondo le nostre statistiche, il 50-60 per cento degli atti di criminalità diffusa è commesso da cittadini stranieri il cui afflusso è determinato da una serie complessa di fattori tra i quali la profonda destabilizzazione politica e sociale nell’area del Maghreb e in ampie aree dei Paesi del Mediterraneo. Purtroppo il problema dell’immigrazione diventa un problema di polizia, perché in altri ambiti non si è fatto abbastanza. I tristi fatti accaduti a Roma nel quartiere Tor Sapienza derivano da legittime e contrapposte esigenze di grande complessità, che attendono una risposta che le forze di polizia da sole non possono dare. La concentrazione di cittadini stranieri richiedenti asilo, che in quest’ultimo periodo registriamo, deriva da fattori geopolitici ma anche dal sistema di riconoscimento dello status di rifugiato, che richiede tempo per gli approfondimenti necessari. Il clandestino che arriva in Italia spesso mira a raggiungere altri Paesi e nell’attesa viene assistito da un sistema di protezione appositamente predisposto. La concentrazione delle strutture di accoglienza in aree già gravate da tanti problemi fa sorgere la protesta. Bisogna anche dire che a Roma, città enorme con quasi 4 milioni di abitanti, vi sono zone del territorio che riusciamo a raggiungere con estrema difficoltà nelle quali il cittadino, nel momento in cui sorge un problema, stenta a ricevere una risposta adeguata e questo accresce la sensazione di insicurezza.
D. Nelle manifestazioni politiche e sindacali c’è chi sostiene il diritto di manifestare sempre e dovunque e chi vorrebbe impedire quelle dal prevedibile sbocco violento. Il costo è sempre elevato o viene amplificato per motivi sia politici sia di propaganda?
R. In democrazia, il diritto a manifestare è sacrosanto. Non è mio compito analizzare se una manifestazione sia necessaria o meno. Spesso si manifesta per attrarre l’attenzione su un problema o rivendicare un diritto. Certamente la politica e i sindacati sono componenti che agiscono sulla piazza sia per organizzare il malcontento, che per fornire risposte alle legittime aspettative della gente. Tutto questo fa parte delle dinamiche di una democrazia, ma per noi il primo diritto da tutelare è quello del manifestante ad esprimere liberamente e pacificamente le proprie opinioni. La nostra costituzione garantisce la piena libertà di manifestazione del pensiero sia singolarmente che da parte di cittadini riuniti in un luogo pubblico: questo principio è la prima direttiva che le forze di polizia devono rispettare e far rispettare, cercando di raggiungere il migliore equilibrio tra il diritto di chi manifesta ed i diritti di tutti gli altri cittadini che non manifestano. È un equilibrio spesso non facile da raggiungere. Molte manifestazioni, soprattutto in questo periodo, avvengono in maniera improvvisa e spontanea e questo è il segnale di un crescente malcontento ma anche di un decadimento del senso civico e del sentimento di rispetto della legalità. La capitale è particolarmente colpita da questo fenomeno che finisce nel suo complesso per avere alti costi per la collettività e per il contribuente. La città di Roma è la cartina di tornasole dell’Italia: quello che qui accade prima e con maggiore visibilità, sta già nascendo nei centri più piccoli.
D. Roma è culla della cristianità e il rischio del terrorismo di matrice islamica esiste. Cosa fate per prevenirlo?
R. I rischi derivanti dal terrorismo purtroppo non sono una novità nella nostra storia che ha visto in passato l’opera di organizzazioni finalizzate a sovvertire l’ordine democratico. L’Isis costituisce una minaccia e questo è innegabile ma creare allarmismi in questo momento non è opportuno. Gli Stati della coalizione stanno realizzando un’intensa attività militare e di prevenzione; l’Italia concorre in questo sforzo comune con molti dei suoi uomini migliori. L’attività info-investigativa e di intelligence portata avanti da una larga parte del mondo occidentale deve rassicurare tutti i cittadini. Il mondo dei media dovrebbe poi contribuire a non creare allarmismi, perché non si può vivere con la paura.
D. La distanza fra istituzioni e cittadini è massima. L’avverte? Come eliminarla?
R. È vero, la sensazione è che questa distanza non sia mai stata così grande e questo deriva dalla sfiducia nello Stato e negli altri enti pubblici che dovrebbero fornire risposte concrete ai problemi, ma dai quali invece si ricevono spesso solo cattive notizie. Le forze di polizia fanno un grande sacrificio per compiere la loro parte assicurando la presenza quando il cittadino chiama il 113. A Roma in questo momento girano le stesse volanti di qualche anno fa, pur avendo avuto una diminuzione di organico e di risorse strumentali. Certo bisogna poi dire che la sicurezza non può essere solo ed esclusivamente un problema delle forze dell’ordine. La sicurezza è il risultato di una catena di ingranaggi che devono funzionare insieme: dal legislatore che crea una norma, alla polizia che ne rileva l’infrazione, al giudice che decide sulla colpevolezza, al sistema carcerario che deve assicurare l’esecuzione della pena, fino ad arrivare ai sistemi di recupero sociale e lavorativo del condannato. Questo sistema si cala in una realtà fatta di servizi pubblici, di sanità, di assistenza sociale, di strade pulite ed illuminate. È qualcosa di complesso in cui tutti dobbiamo impegnarci. In questo ha un grande ruolo anche il mondo dell’informazione. La percezione della sicurezza è ormai ai minimi termini: sui giornali è sempre più difficile trovare una notizia positiva e, quando c’è, non viene adeguatamente comunicata. Gli aspetti positivi in questo Paese non vengono sufficientemente resi noti. La distanza dalle istituzioni potrà diminuire quando tutti si chiederanno come poter fare meglio il proprio lavoro. E poi dobbiamo avere più fiducia nel nostro popolo: siamo italiani, abbiamo una lunga storia, una grande cultura e dobbiamo rafforzare il senso di identità nazionale che spesso salta fuori solo in occasione dello svolgimento dei Mondiali di calcio. Tutti i cittadini possono essere certi che la Polizia di Stato è da sempre vicina alla gente; lavoriamo ogni giorno per garantire a tutti il diritto ad essere più sicuri.   

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