RAFFAELLA DOCIMO CHIARIELLO: PIÙ CLINICA CHE ESTETICA L’ODONTOIATRIA PER BAMBINI
Quando esordì in Canale 21 leggendo il giornale-radio dell’emittente del Gruppo Lauro della cui redazione faceva parte, gli ascoltatori napoletani credettero di assistere all’esordio di una nuova conduttrice, pronosticando un suo successo in quel settore. Ma lei, Raffaella Docimo, questo il cognome di famiglia, frequentava ancora l’università, nella facoltà di Medicina, e aveva lavorato già insieme ad illustri firme del giornalismo partenopeo. Un giorno, proprio mentre era a Canale 21, le telefonò il caporedattore della pagina medica del Mattino Mario Caruso, che lei non conosceva, per invitarla a collaborare per la pagina medica. Ritenendo che fosse uno scherzo telefonico, riattaccò la cornetta. «Dopo mi chiamò un collega chiedendomi perché avevo riattaccato il telefono, e fu così che cominciai a lavorare per Il Mattino». Poi fu la volta di Metropolitana, trasmissione di Radio 2, quindi del Corriere di Napoli e di Napoli Notte. In virtù dell’esperienza da lei acquisita, in tempi più recenti Gigi Marzullo l’ha invitata a collaborare a Rai Uno per scegliere e commentare libri di argomento medico. Per tornare ai tempi dell'Università il padre le impose una scelta: o il giornalismo o la medicina. Lei continuò a seguire entrambe le strade, finché non giunse alla laurea. Poi il trasferimento a Roma, dopo il matrimonio con il cardiochirurgo prof. Luigi Chiariello e l'arrivo dei tre figli. «Alla Cattolica vinsi un concorso di specializzazione in Medicina Nucleare, ma dopo sei mesi compresi che non era la mia strada, e allora scelsi Odontoiatria, anche forse per un inconsapevole coinvolgimento da parte di mio nonno e mio zio odontoiatri. Quindi entrai nel gruppo di lavoro del prof. Mario Martignoni, vincendo il concorso come ricercatrice universitaria. Nel 2000 vinsi quello per professore ordinario di prima fascia».
Domanda. Che cosa la indusse a dedicarsi in particolare all’odontoiatria pediatrica?
Risposta. Fu il prof. Martignoni a propormi di interessarmene, quando questa materia ancora era considerata un po’ la Cenerentola dell’odontoiatria. L’Odontoiatria Pediatrica è stata per me una scelta vincente per due motivi. Il primo, perché è una disciplina che mi piace e mi entusiasma ogni giorno di più, il secondo perché è una realtà oggi ma soprattutto perché, a mio avviso, è il vero futuro dell'odontoiatria.
D. In che consiste la sua attività?
R. Chi esercita l’odontoiatria pediatrica è un vero «clinico» del bambino e questo comporta che deve interessarsi di prevenzione odontoiatrica, di patologie, di protesi, di ortodonzia, di piccola chirurgia orale. Deve, in sostanza, avviare un rapporto con il bambino per seguirlo fino all’adolescenza: oggi l’età pediatrica si è allungata, per cui è difficile fissare un limite anagrafico. Oggi la mia attività è per la parte didattica svolta presso l’università di Roma Tor Vergata, nella quale dal 2000 sono titolare della Cattedra di odontoiatria pediatrica. L'attività clinico-assistenziale è presso l'ospedale Fatebenefratelli situato nel centro di Roma, nell'Isola Tiberina, quale responsabile dell'Unità di odontoiatria pediatrica.
D. Lo sviluppo e i progressi dell’odontoiatria pediatrica hanno assunto un rilievo anche di carattere sociale?
R. Certamente, e non soltanto sociale, anche economico. Ovviamente è difficile affrontare il problema economico in un momento di spending review, in quanto anche l’odontoiatria costituisce un onere e rappresenta quindi un costo per la sanità pubblica. Ma se la prevenzione in questo campo rappresenta certamente un costo per il Servizio Sanitario Nazionale, se attuata essa comporterà un consistente risparmio nella spesa sanitaria futura. L’Odontoiatria è costosa ma fare prevenzione significa predisporre una «bocca» ad essere sana nel futuro.
D. Ritiene che le esigenze di carattere estetico della società attuale siano destinate a restare insoddisfatte a causa delle difficoltà economiche insorte, anche se riguardano soggetti in tenera età?
R. L’estetica è diventata una necessità, un bisogno quasi primario nella società attuale. Frequentemente assistiamo a casi di mamme che desiderano per i loro bambini un sorriso perfetto, non valutando che l'estetica deve essere sempre accompagnata dalla funzione. Devo dire che, personalmente, non sono a favore di quei sorrisi perfetti a 32 denti, perché esistono anche delle caratterizzazioni individuali, espressione della personalità dell’individuo, che in qualche modo vanno preservate, a meno che non vi sia un difetto da correggere sul piano clinico. Nella società di oggi la ricerca dell’estetica è continua, ma molte volte è difficile far capire che non si è in presenza di una semplice imperfezione estetica, ma che il problema risiede a monte, che è di natura clinica e che va corretto. Per cui la funzione clinica deve coincidere con quella estetica, e non viceversa.
D. La bocca e la salute dei denti, possono avere qualche relazioni anche con altre malattie del bambino?
R. Esistono patologie sistemiche, cioè dell’organismo, che nella bocca possono trovare la loro espressione e possono essere addirittura un campanello d’allarme. Ecco perché l’odontoiatria pediatrica costituisce un osservatorio clinico sulla salute del bambino. E spesso attraverso la bocca è possibile intercettare, porre diagnosi precoce di altre patologie. Mi riferisco per esempio alla celiachia, ovvero all’intolleranza verso il glutine, la proteina presente in alcuni cereali; si tratta di una patologia oggi molto diffusa, che può trovare manifestazioni cliniche nella bocca e nei denti. O al bruxismo, quell’abitudine di stringere o di digrignare i denti, che può nascondere condizioni di stress. Esistono poi alcuni disturbi alimentari come l’anoressia, che può insorgere all’età di dieci anni e che, attraverso alterazioni a carico dei denti, può essere precocemente intercettata.
D. In sostanza, alla crescente attenzione che le famiglie riservano all’estetica dei figli ha corrisposto un diverso concetto del ruolo dell’odontoiatra?
R. In effetti l’odontoiatria pediatrica considera oggi il bambino nella sua globalità, e in questo consiste il sostanziale cambiamento verificatosi in questo campo. È cambiato in sostanza il significato dell'odontoiatria nel bambino. Essa, cioè, non è più la singola cura del singolo dente, ma piuttosto un metodo clinico interdisciplinare che tiene conto dell'importanza del sistema stomatognatico nella sua globalità in funzione dell'armonioso e fisiologico accrescimento del bambino.
D. E il rapporto con il piccolo «paziente»?
R. È un rapporto diretto, di fiducia, di coinvolgimento, di motivazione, di responsabilizzazione, di complicità che prescinde molte volte anche dalla figura dei genitori. Io solitamente eseguo la prima visita del bambino in presenza dei genitori, per avere da loro tutte le informazioni necessarie, finalizzate all'anamnesi del piccolo paziente. Ma sin dal successivo appuntamento i genitori non devono entrare nell'area di lavoro, che è un ambiente dedicato al bambino per il bambino. Gli studi odontoiatrici per l'età pediatrica sono progettati come area comune che accoglie contemporaneamente, su più poltrone di lavoro, diversi bambini, mentre gli altri in attesa giocano e partecipano a quanto avviene intorno. È il modo per coinvolgerli, per stimolare un comportamento di emulazione, per controllare uno stato particolare di paura, di tensione, e creare un’atmosfera familiare e gradevole.
D. Qual è lo scopo di questa singolare procedura?
R. La complicità che s’instaura con il bambino porta il professionista a conoscere atteggiamenti o vissuti nascosti che, in presenza dei genitori, non emergerebbero. Chi oggi esercita la professione di odontoiatra pediatrico intreccia con il bambino un rapporto non standardizzato, ma diversificato e personalizzato in relazione alla personalità del piccolo. Quindi l’odontoiatra pediatrico è, in definitiva, una figura che accentra una serie di competenze, anche nel campo della psicologia, e adotta comportamenti basati sulla propria esperienza. Nelle lezioni che svolgo, spiego ai miei studenti che non esistono regole standardizzate di rapporto con il bambino, ma tante variabili, due delle quali sono fondamentali, la personalità del bambino e quella dell’odontoiatra.
D. Esistono differenze tra i comportamenti di genitori e figli appartenenti a diverse classi sociali?
R. Sono diversi purtroppo molto spesso gli stili di vita e i comportamenti per esempio alimentari. Una recente indagine statistica ha evidenziato che la carie dentale è più frequente negli strati sociali più bassi. Ciò è dovuto al fatto che, per motivi economici, si dedica minore attenzione all’igiene orale e alle visite periodiche di controllo odontoiatrico. Eppure le fasce sociali a basso reddito sono quelle più protette economicamente, perché sono esenti dal pagamento del ticket, ma probabilmente non circola una sufficiente informazione.
D. Quali sono i comportamenti degli immigrati?
R. Noi curiamo bambini che provengono da molti Paesi europei ed extra-europei, ma quelli che giungono più frequentemente alla nostra osservazione sono i peruviani, gli ecuadoregni, i polacchi e i rumeni. In minoranza invece i filippini. Poi c'è la popolazione dei bambini adottati, e qui il discorso è ancora più delicato poiché il comportamento iperprotettivo e «affettuosamente possessivo» può interferire nella relazione fra piccolo paziente e odontoiatra. Senza considerare che molti di questi bambini nei loro Paesi di provenienza possono aver vissuto precedenti odontoiatrici traumatici che necessitano di un corso psicologico di recupero. Si comprende quindi come può essere ancora più affascinante e coinvolgente lavorare in questo campo, soprattutto quando i risultati sono molto soddisfacenti sul piano clinico e della collaborazione.
D. Quanto è diffusa questa specializzazione nella pratica?
R. Che io sappia, nella sanità privata non sono molti gli studi di odontoiatria pediatrica esclusivamente dedicati al bambino, forse perché si ritiene che, da un punto di vista economico, questa specializzazione non sia redditizia come l’odontoiatria dell’adulto. Forse si ritiene anche che l'odontoiatra pediatrico debba avere una particolare attitudine o predisposizione verso il bambino, una maggiore «pazienza». Nella sanità pubblica ritengo che esistano più centri che svolgono questa attività. Generalmente c’è una maggiore fiducia verso l’ospedalità pubblica rispetto a quella privata. Le famiglie forse avvertono un maggior senso di protezione, anche di tutela da un punto di vista economico.
D. Come e a chi bisogna rivolgere il messaggio di prevenzione?
R. Occorre coinvolgere tutti coloro che agiscono, a vario titolo, con il bambino e con l’odontoiatria pediatrica, in tutti i campi, politico, accademico, universitario, informativo; l’argomento desta oggi molto interesse. È auspicabile che una sinergia di intenti e di sforzi si adoperi anche in questo settore. È l'unico mezzo a disposizione per una vera prevenzione che parte dal bambino, per accompagnarlo in un percorso futuro nell'età adulta.
D. Visto il suo passato di giornalista, cosa pensa dell’opportunità di diffusione mediatica?
R. Sono felice quando mi chiedono di poter realizzare servizi giornalistici e televisivi perché sono i principali strumenti per diffondere corrette informazioni di salute pubblica. Penso però che si potrebbe dare ancora più spazio, in questo campo, per approfondire argomenti, per suggerire linee guida di prevenzione, di comportamento e di stili di vita che aiuterebbero senz'altro non solo ad avere una popolazione pediatrica sana, ma anche e soprattutto la popolazione in generale. ■
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