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ida benucci: antiquariato, lo conserviamo o lo mandiamo all’estero?

Ida Benucci, collezionista, gallerista e antiquaria, proprietaria della Galleria Benucci di Roma

Mobili, quadri, oggetti di arredamento e di arte, dal 1200 in poi: Ida Benucci ha dedicato oltre trent’anni della propria vita non solo ad acquistarli - a volte per poi rivenderli - ma anche a studiarli, farli restaurare, curarli come esseri viventi. Si tratta spesso di pezzi unici e molto preziosi che lei, collezionista d’arte e moderna mecenate, riesce sapientemente a mescolare con altri oggetti ed opere d’arte contemporanee, che si possono tutte ammirare nella sua ricchissima e fantastica galleria di Via del Babuino a Roma. E così oggetti carichi di arte e di storia, dei casati nobiliari, italiani e delle più prestigiose famiglie d’Europa, a cui sono appartenuti, esaltano la fantasia e la creatività degli esordienti artisti che Ida Benucci «scopre» e cura con molto scrupolo e attenzione. In questa intervista spiega come e perché, da antiquaria, si è appassionata anche di arte moderna e contemporanea.
Domanda. Qual’è la peculiarità della galleria Benucci rispetto alle altre?
Risposta. Raccoglie oltre trent’anni di storia e di fatica individuale. Infatti, appassionata fin da piccola, quando mio padre mi accompagnava alle aste d’arte, ho realizzato un mio primo sogno aprendo una piccola Galleria in Via Giulia a Roma. Inizialmente ho incontrato molti ostacoli nella mia strada perché ero relativamente giovane, donna e non figlia di galleristi, quindi arrivare sin qui rappresenta per me una doppia soddisfazione: mi è costata fatica, sacrificio e savoir faire; pertanto oggi provo molto orgoglio e una gratificazione personale che non tutti possono avere. Sono gallerista e antiquaria: come Fernando Botero, artista bravissimo e persona deliziosa che mi ha onorato della sua amicizia, mi ha spiegato che «l’arte non ha tempo», mi sono interessata anche all’arte moderna e contemporanea. Non credo sia giusto rinunciare a capire questo significativo periodo, non si può non pensare a quanto sta accadendo culturalmente oggi e non rapportarlo all’antico: se non avessimo le radici nell’antichità non riusciremmo a comprendere il mondo contemporaneo. Quindi nella mia galleria sono presenti i classici più significativi dal 1200-1300 che hanno segnato la nostra storia, fino all’arte moderna e contemporanea: Botero, gli artisti americani, Andy Warhol, Lucio Fontana, il movimento degli anni 60 di Piazza del Popolo e molti altri.
D. Quali conclusioni e risultati si possono trarre dalla nona edizione della Biennale Internazionale di Antiquariato svoltasi lo scorso ottobre a Roma?
R. Roma è la capitale d’Italia e deve avere una mostra importante, prestigiosa e di forte richiamo internazionale. Ci riescono a Maastricht, dove organizzano una mostra alla quale prendono parte, in qualità di visitatori e non solo di collezionisti, antiquari e direttori di musei. La recente edizione della Biennale romana, svoltasi a Palazzo Venezia, è stata ragguardevole, corredata da un bellissimo allestimento ma poco internazionale. E, dato il periodo difficile che sta vivendo il collezionismo d’arte, trovo che non sia andata male, senza contare che siamo molto penalizzati nella vendita agli stranieri dalle leggi del settore. 
D. Se dovesse gestire lei la Biennale romana, per renderla veramente internazionale alla pari delle altre che cosa farebbe? Che cosa è mancato?
R. Premesso che l’iniziativa è stata meritoria perché ha consentito di rimettere al centro dell’attenzione l’arte, l’antiquariato e tutto il mondo di appassionati, collezionisti e professionisti del settore che ruotano attorno ad esso, forse si sarebbe dovuto puntare un po’ più sulla sinergia con i galleristi stranieri. È mancato l’aggancio con i grandi galleristi internazionali, che però non si crea dall’oggi al domani, ma va costruito, magari agevolandoli nell’esporre negli spazi della Biennale. 
D. Relativamente all’inaugurazione, chi sono stati i visitatori della mostra? 
R. Varie tipologie: politici, industriali, collezionisti si sono interessati e incuriositi. Ma cosa disincentiva l’appassionato d’arte dal trasformarsi in acquirente? Probabilmente anche una certa attenzione - a volte doverosa e dovuta, altre volte semplicemente ostativa - nei confronti di chi acquista, con un eccesso di burocrazia che finisce per rendere lente e noiose le pratiche della registrazione, del trasporto e dell’acquisto dell’opera stessa. Scontiamo purtroppo la mancanza di una normativa che regolamenti la compravendita nel settore; sarebbe a tal proposito molto interessante se questa lacuna venisse al più presto colmata: consentendo di incentivare e far ripartire il mercato che invece ora trova purtroppo sfogo all’estero. 
D. Come si può mantenere, allora, attiva una galleria? Non ha mai pensato di trasferirsi all’estero?
R. Assolutamente no. Perché bisogna vivere la città, promuovere cultura, favorire incontri di artisti, cercare di attrarre intellettuali e appassionati, mostrare accoglienza e professionalità. Non so se alla fine conviene rimanere a lavorare in Italia, ma è certamente rischioso anche lasciarla per un futuro molto incerto. E in ogni caso amo il mio Paese.
D. La sua galleria è una delle più in vista. Come è arrivata al suo livello partendo da zero?
R. Non lo dico io: da molte parti ho letto che la galleria Benucci è una delle principali in Italia. Ne sono lusingata e mi fa piacere che da anni si dica questo. Oggi sto lavorando per continuare ad essere all’avanguardia. Per anni poi sono stata una donna molto attiva e in vista, anche grazie all’incarico ricoperto nella Confcommercio di Roma: unica donna, sono riuscita a farmi rispettare e a portare avanti le mie idee. Ho ricoperto il ruolo di vicepresidente vicario dell’Associazione nazionale dei mercanti d’arte per 10 anni, e per più di 10 anni sono stata presidente degli antiquari romani riuscendo a farmi votare anche da coloro che all’inizio mi guardavano come l’ultima arrivata. Sul campo, con il lavoro e con l’impegno costante, ho guadagnato la loro stima, al punto che mi hanno affidato l’incarico di rappresentarli nelle riunioni con politici e istituzioni nel tentativo di migliorare le leggi che regolano il nostro settore.
D. E vi è riuscita, in parte?
R. No, ragion per cui mi sono dimessa. Non mi piace presiedere per presiedere, sono una donna concreta che guarda al risultato. Il successo l’ho ottenuto nel mio lavoro con sacrificio e abnegazione, e ne sono fiera. Sono andata a mie spese a Bruxelles a parlare con l’allora commissaria europea dei Beni culturali Viviane Reding, ma senza esito. Così ho capito che non c’è volontà politica né in Italia né in Europa, e mi sono dimessa. 
D. Ha fiducia nel ministro dei Beni culturali Dario Franceschini?
R. Sì, e spero che possa fare molto anche se è complicato cambiare le cose. Finora qualunque ministro non ha fatto in tempo a causa dei tempi tecnici, ma a volte neanche ha avuto la volontà. Negli ultimi anni quanti Governi si sono succeduti? Il Ministero potrebbe però, con una circolare, snellire in parte la situazione: sono andata a parlare anche di questo, ma non ho avuto ancora risposta. Perché tutti decantano i manufatti francesi? Perché da sempre vengono ammirati e comprati, mentre quelli italiani, che sono di gran lunga superiori, li abbiamo portati in Francia? Siamo una grande scuola per il mondo, anche nelle arti minori. Dovremmo far conoscere maggiormente i nostri manufatti e le opere che sono nei musei. Inoltre dovremmo snellire e far sì che un gallerista possa vendere quanto meno nell’Unione Europea. Negli Stati Uniti portare un’opera da uno Stato all’altro non è complicato. In che Stati Uniti d’Europa siamo, se non è la cultura il primo fattore ad unirci? 
D. Quale differenza esiste tra l’antiquariato e l’arte?
R. Vi sono antiquari e mercanti d’arte, due categorie completamente diverse; la differenza è che l’antiquario acquista un’opera perché l’ama, perché la sente propria e perché vi vede non il valore commerciale, ma quello artistico. Invece il mercante d’arte cerca il valore commerciale. 
D. Che cosa prova un antiquario quando vende un’opera che ama?
R. Personalmente, quando vedo un’opera d’arte, un quadro, un mobile, un divano, una scultura, un manufatto, mi innamoro, ma tratto il prezzo perché bisogna essere oculati altrimenti al momento di rivenderlo non garantisco il mio cliente. Questo è un passaggio che l’antiquario deve fare: deve stare molto attento e cercare di non innamorarsi perché, preso dalla passione, potrebbe anche pagare esageratamente un oggetto. Dopo l’acquisto, porta a casa l’opera e se la gode per qualche mese, la sente sua. Però il gallerista tradisce anche: nel frattempo può innamorarsi di qualcos’altro, e gli sorge la necessità di vendere per incassare ed acquistare il nuovo amore. Quindi non soffre molto, perché si è già innamorato di un’altra cosa. 
D. In che modo pensa che un oggetto d’antiquariato, seppur costoso, possa arricchire la vita di una persona? Non ritiene invece che siano le persone a dare un senso alle cose?
R. Innanzitutto bisogna distinguere il tipo di acquirente perché, quando si compra un’opera tanto per comprare, non si arricchirà la propria cultura con essa, perché non si riesce ad entrare in pieno in quello che si è acquistato. Non è necessario essere culturalmente preparati, ma si deve soprattutto amare, capire, essere sensibili verso il bello e l’arte. Altrimenti non si capirebbe come persone semplici frequentino i musei e acquisiscano una cultura del bello. Quindi, se un acquirente ama l’oggetto che compra, sicuramente può trarne un arricchimento. 
D. La vera arte è nata prima in Italia o negli altri Paesi?
R. Bisogna partire dalla Cina, una delle culture più antiche, così come dalla Grecia. Trovo però che l’arte italiana si sia imposta per gli elementi di grande nobiltà che ha. Le famiglie nobili furono mecenati che commissionarono opere realizzate magnificamente, come si può vedere ancora nelle nostre chiese. 
D. Cosa pensa del mercato del falso, dato che oggi si riescono ad ottenere falsi strepitosi?
R. È difficile per il pubblico individuare questi oggetti. Falsi strepitosi si creano soprattutto con le statue: con marmo che viene dalla Cina, che costa pochissimo. Anche con i tavoli bisogna stare attenti perché quasi l’80 per cento non è autentico e si rischia di pagarlo come tale. Mentre per tutto quello che riguarda i mobili, possono avere fodere false, ma questo fenomeno è più presente negli oggetti dell’800, nei quali è più facile la falsificazione. Anche un occhio sprovveduto potrebbe accorgersi di un intaglio non eseguito bene, perché oggi si realizza tutto con le macchine. Un oggetto realizzato da un ebanista che intaglia il legno costerebbe più di uno antico. Con il marmo è estremamente più difficile, quindi consiglio di fare attenzione.
D. Dove e da chi acquista normalmente i pezzi di antiquariato?
R. Cerco di comprare da famiglie e a volte anche da case d’asta, però questo è molto raro perché preferisco esporre nella mia galleria opere non troppo conosciute ed anzi inedite, provenienti direttamente da grandi famiglie proprietarie. 
D. Alla recente Biennale svoltasi a Roma tutti i pezzi che sono stati esposti erano autentici?
R. Sì. La Commissione incaricata di scegliere i pezzi da ammettere può aver espresso alcune osservazioni su qualche data errata, ma tutto rientrava nella norma. Falsi non vi erano. 
D. Se fosse ministro dei Beni culturali quale azione compirebbe per prima?
R. Renderei alcune norme scritte ottant’anni fa compatibili con le esigenze attuali. Considerando che il mercato dell’antiquariato sta morendo; che in un anno a Roma, in Via Margutta, via dell’eccellenza dell’arte, sono state chiuse 18 gallerie, e che chi ha un nome e può permetterselo trasferisce la propria attività all’estero, farei subito qualcosa per tamponare l’emergenza. Consentirei ai mercanti d’arte di vendere quello che hanno nelle loro gallerie, dopo averne fornito un catalogo alla competente Sovrintendenza ai Beni culturali al fine di favorirla nell’esecuzione dei controlli; e consentirei agli antiquari di vendere all’estero. È logico che, qualora si trattasse di un Caravaggio, non se ne deve consentire l’espatrio. 
D. La sua galleria si trova a metà circa di Via del Babuino, nel cuore del cosiddetto «Tridente», oggetto nelle scorse settimane di una profonda rivoluzione del traffico, di una clamorosa pedonalizzazione voluta dal sindaco Ignazio Marino e di una diffusa reazione di residenti e di frequentatori. Che cosa ha comportato e come giudica l’iniziativa del sindaco Marino?
R. Non voglio entrare nel merito dell’opera del sindaco né della sua scelta di pedonalizzare. In molte altre città nel centro storico è vietata la circolazione degli autoveicoli. Dico però che ogni scelta compiuta comporta delle ripercussioni e una buona amministrazione deve porsi il problema di ascoltare le esigenze reali dei cittadini, siano essi abitanti, commercianti, ristoratori o altro. Altrimenti, se le decisioni vengono prese dall’alto e senza conoscere bene la realtà, si formano poi inconvenienti che generano proteste, disagi e opposizioni. Prima di pedonalizzare il Tridente, ad esempio, sarebbe stato necessario predisporre parcheggi per la sosta dei mezzi pubblici, delle auto dei residenti e di chi ha l’accesso all’area. Non si dica che vi si può circolare in bicicletta, perché il centro storico è abitato per l’80 per cento da persone che hanno superato i 70 anni di età, e che mi sembra impossibile che usino questo mezzo. Prima di pedonalizzare, si sarebbe dovuto pensare ai parcheggi e alle persone che devono recarsi in centro. Non tutti possono avere auto elettriche o andare in bicicletta o a piedi, o disporre di un autista. La pedonalizzazione fa bene alla salute perché evita di respirare tanto smog, ma bisogna anche vedere come si realizza. Via del Babuino, unica arteria che unisce Piazza del Popolo con Piazza di Spagna, fu voluta dal Papa Sisto V. Ora sembra aver perduto la propria romanità, l’hanno trasformata in una specie di Porto Rotondo, con un grande marciapiedi e con un passaggio lungo e stretto. Se deve essere veramente «pedonale», si aboliscano allora i marciapiedi e si pavimenti tutto il piano stradale con i tradizionali sampietrini romani. È assurdo e controproducente togliere alla nostra città la propria caratteristica di romanità.      

Tags: Novembre 2014

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