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CESARE PRANDELLI: CALCIO, VALORIZZARE IL TALENTO, RESPONSABILIZZARE I GIOVANI

Cesare Prandelli, commissario tecnico della Nazionale di calcio italiana

In questi giorni è l’uomo più osservato, più invocato, più osannato o più criticato d’Italia, mettendo probabilmente in ombra i politici nostrani. Parliamo di Cesare Prandelli, commissario tecnico della Nazionale di calcio, squadra che, nel girone «D» dei Mondiali che si disputeranno in Brasile dal 12 giugno al 13 luglio prossimi, dovrà combattere al primo turno contro le temibili Inghilterra - esordio a Manaus sabato 14 giugno alle ore 24 italiane - poi il Costarica il 20 giugno, infine l’Uruguay il 24 giugno. Nato a Orzinuovi in provincia di Brescia il 19 agosto 1957, dopo il diploma da geometra Prandelli comincia la carriera di calciatore giocando in varie squadre, arrivando nel 1979 nella Juventus con la quale vince in sei anni tre scudetti, una Coppa Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea.
Tornato nell’Atalanta, con la quale aveva esordito in serie A, smette a 32 anni nel 1990. Diventa allenatore e dirige prima le giovanili di Atalanta e Lecce, poi passa alle categorie superiori allenando Verona, Venezia, Parma e Roma, per passare nel 2005 al calcio che conta, allenando la Fiorentina per i successivi cinque anni. Avvia il suo rapporto con la Nazionale di calcio il 30 maggio 2010, data dell’annuncio ufficiale che, dopo il Mondiale, avrebbe preso il posto di Marcello Lippi. Per rispondere al richiamo azzurro rescinde il contratto con la Fiorentina dopo cinque bellissime stagioni in viola. Inizia il proprio lavoro coniando lo slogan «Voglio un’Italia di qualità», recuperando Antonio Cassano, inserendo nel gruppo Mario Balotelli e nominando Gianluigi Buffon nuovo capitano.
Stabilisce un «codice etico» in base al quale i calciatori che si macchiano di azioni antisportive non vengono convocati. La qualificazione al Campionato europeo 2012 si rivela una cavalcata senza ostacoli: otto vittorie, due pari e primo posto nel gruppo C. Poi, nel torneo svoltosi in Polonia e Ucraina, l’Italia parte bene: 1-1 con la Spagna campione del Mondo e d’Europa, risultato che si ripete con la Croazia. Il 2-0 all’Irlanda di Trapattoni proietta l’Italia di Prandelli ai quarti, dove batte l’Inghilterra per 4-2 ai rigori. In semifinale, nell’ennesima sfida con la Germania gli azzurri escono vittoriosi: 2-1 con doppietta di Mario Balotelli. In finale contro la Spagna, però, finisce 4-0 a favore degli iberici, ma l’Italia esce a testa alta dal torneo continentale.
Il 2013 è il turno della Confederations Cup, che ha un esito un po’ meno felice, l’Italia infatti chiude terza superando, dal dischetto, 5-4 l’Uruguay. Sono 51 fino ad oggi le partite di Prandelli da commissario tecnico, con un bilancio di 22 vittorie, 18 pareggi e 11 sconfitte. La lista con la rosa dei 30 giocatori di Brasile 2014 è stata inviata alla Fifa il 13 maggio scorso, mentre il 2 giugno viene comunicata la lista definitiva dei «brasiliani». Rimasto vedovo sette anni fa, il commissario tecnico azzurro ha due figli e una nipotina che porta il nome della nonna, Manuela. Da quattro anni ha una nuova compagna, Novella.

Domanda. Male nelle coppe europee, scavalcato anche dal Portogallo nel coefficiente Uefa, il calcio italiano si affida ancora alla Nazionale per rinverdire il prestigio. Non sente il peso di questo compito gravoso visto che i calciatori italiani sono una minoranza anche nei club della serie A?
Risposta. Se solo il 38 per cento dei calciatori che militano nel massimo campionato italiano sono selezionabili per la Nazionale, il problema riguarda tutto il movimento calcistico, non solo il commissario tecnico. Nell’immediato possiamo trovare delle soluzioni di carattere tattico, possiamo integrare i «nuovi italiani», come già fanno altre Nazionali: la Germania, la Francia, la Svizzera. Ma il calcio italiano deve assumersi la responsabilità di affrontare il problema con tempi certi e in maniera pragmatica, e ricominciare a valorizzare il prodotto dei propri vivai piuttosto che puntare su calciatori stranieri che non hanno le caratteristiche per innalzare il tasso tecnico delle squadre. Il calo nel ranking europeo è frutto di una serie di fattori contingenti, tecnici, economico-finanziari, infrastrutturali, ai quali è difficile sopperire con una programmazione orientata sul breve termine e concentrata su uno scenario principalmente interno. In determinanti contesti come le Coppe europee, dove l’intensità della manovra è superiore, è fisiologico che si incontrino delle difficoltà.

D. Brasile, Spagna, Argentina e Germania. È questa la pole del mondiale? Può indicare pregi e difetti delle sue quattro favorite? Solo il Belgio può essere l’outsider che può arrivare fino in fondo e quanto influirà il fattore climatico?
R. Senza dubbio sono queste le quattro favorite. Il Brasile giocherà in casa e pertanto godrà di un sostegno di pubblico impressionante. Dispone da sempre di giocatori dotati di un talento fuori dal comune, al quale l’allenatore Luiz Felipe Scolari ha abbinato una sagacia tattica propria del calcio europeo: è una macchina da guerra. La Spagna è detentrice del titolo mondiale e continentale e, nonostante una lieve flessione della «generazione-Barcellona», ha trovato nuovi interpreti per confermarsi sugli stessi livelli rimanendo fedele ai propri dettami tecnico-tattici. L’Argentina ha un pool di attaccanti impressionante, a cominciare da Lionel Messi, un centrocampo di altissima qualità, e un impianto di gioco molto organizzato. La Germania, che è ai vertici da qualche anno, ha fatto un ulteriore salto di qualità e complessivamente può contare su un gruppo rodato dalle Coppe europee e da un campionato di altissimo livello. Per essa può essere la volta buona. Tra gli outsider, oltre al Belgio, metterei anche la Colombia, poi un gruppo di squadre tra cui Olanda, Uruguay, Inghilterra e naturalmente Italia, che non è tra i migliori, ma può battere i più bravi. Il fattore climatico sarà in ogni caso determinante, arrivare impreparati sarebbe una catastrofe per chiunque.

D. Italia nel girone dei tre campioni del mondo. Cosa teme di Inghilterra, Uruguay e anche Costarica ed è soddisfatto dei progressi mostrati dopo il k.o. con la Spagna?
R. Andiamo per gradi. Il nostro è un girone veramente duro con tre squadre detentrici di titoli mondiali e un outsider che in troppi sottovalutano. L’Inghilterra presenta un gruppo molto diverso da quello visto all’Europeo, molto ringiovanito e con interpreti in grado di assicurare corsa sulle fasce, qualità e intensità di gioco. In più è una squadra che per mentalità non molla mai, sino al fischio finale, un fattore che in un contesto ambientale critico, come sarà Manaus, potrebbe rivelarsi determinante. La Costa Rica è una squadra veloce, attenta in difesa e brava nelle ripartenze, dotata di un ottimo portiere e con due o tre talenti in grado di mettere in difficoltà qualsiasi difesa; affrontarli nella seconda gara sarà un crocevia importante. Infine l’Uruguay, che con Suarez e Cavani dispone della coppia d’attacco a mio giudizio più forte del torneo. È una compagine esperta e capace di gestire certe pressioni, guidata da un maestro del calcio mondiale come Oscar Tabarez. Noi andremo ad affrontare questi avversari facendoci trovare pronti, sotto tutti gli aspetti.

D. Cristiano Ronaldo, Lionel Messi, Neymar, Arjen Robben, Franck Ribery, Eden Hazard, Wayne Rooney. Quali saranno le stelle del mondiale ? Fra queste, l’auspicio che possa esserci Mario Balotelli: quale è il segreto per trarre il meglio dalla sua personalità effervescente?
R. Non escluderei Paul Pogba, Oscar, e qualcuno che sinora non ha avuto l’occasione giusta. Mario? Ha tutte le potenzialità per essere stabilmente in questo gruppo di campioni, per farle emergere saranno fondamentali tanta applicazione, un lavoro di squadra efficace e delle soluzioni tattiche tagliate su misura per le sue caratteristiche.

D. Il codice etico è la caratteristica del suo metodo di lavoro, che ha suscitato apprezzamenti e anche qualche critica. Nel suo lavoro futuro, fino al 2016, oltre al potenziamento del settore giovanile, su quale altro programma punterà per far crescere il calcio italiano?
R. Con il raduno compiuto a Roma lo scorso marzo abbiamo posto delle premesse per il futuro, andando a visionare dei giocatori giovani dotati di determinate caratteristiche, che riteniamo funzionali ad una progressiva integrazione nel gruppo che sarà reduce dal Mondiale. Vogliamo continuare a privilegiare le sinergie con le Nazionali giovanili per valorizzare pienamente una filiera che nel recente passato costituiva un marchio forte del calcio italiano. L’obiettivo è risolvere il problema della mancanza di continuità che affligge i calciatori intorno ai 20 anni di età: all’estero i loro coetanei hanno l’opportunità di proseguire il proprio processo di maturazione in contesti di alto livello. Da noi purtroppo la situazione si complica. Servono soluzioni.

D. Tra i suo predecessori, vi sono Enzo Bearzot, Arrigo Sacchi, Giovanni Trapattoni e Marcello Lippi. Le qualità di ognuno e le differenze con il suo stile?
R. Sono dei grandi maestri, indistintamente. E da tutti loro ho preso qualcosa adattandola poi al mio modo di interpretare il calcio. Parlare di differenze secondo me non ha molto senso, anche perché tutto va contestualizzato e ogni momento storico ha avuto il proprio modo di esprimere calcio. Ci accomuna piuttosto la grande passione per questo lavoro, la dedizione e il rispetto per questo sport meraviglioso e i suoi interpreti.

D. Per combattere il razzismo, oltre al gesto di Dani Alves che ha mangiato la banana lanciatagli in campo da un tifoso-razzista durante il match Villareal-Barcellona a fine aprile scorso, «pasto» poi replicato mediaticamente da lei e dal premier Matteo Renzi, o anche alla banana tirata in campo al difensore milanista Kevin Constant; cosa e come occorre cambiare?
R. Dani Alves in maniera spontanea, e per certi versi sorprendente, ha saputo ridicolizzare un gesto retrivo e la mentalità che lo ha animato: pensare che nel 2014 qualcuno possa arrivare ancora a questo è sconfortante, ma purtroppo dobbiamo farvi fronte e raddoppiare gli sforzi per trasferire a tutti, in particolare alle giovani generazioni, dei principi educativi che li sostengano nella crescita umana e intellettuale. Fenomeni del genere si combattono attraverso una normalità di relazioni, fatta da comportamenti civili nei quali il rispetto del prossimo annulla qualsiasi preconcetto e differenza.

D. Cosa pensa della marcia veloce che Matteo Renzi ha portato in politica? Come sfruttare nel modo migliore questo entusiasmo anche nello sport e nel calcio?
R. Non suddividerei la questione del rinnovamento per categorie, piuttosto vedrei una soluzione più globale attraverso un processo che interessi tutti gli aspetti della società italiana. Siamo un Paese con una mentalità poco adeguata ai tempi, ostinatamente ripiegato sul proprio passato e poco orientato al futuro, all’innovazione, ai cambiamenti, con una scarsa propensione a trasferire competenze e responsabilità alle nuove generazioni, a valorizzare il talento e l’eccellenza. Ed è un peccato, perché è attingendo dalla nostra ineguagliabile eredità culturale che potremmo porre le basi per avviare un progetto di modernizzazione in tutti i settori, anche nello sport, e rilanciare l’intero Paese.

D. Juventus, che ha conquistato lo scudetto, e Roma da record in serie A: chi avrà più chance di vincere l’anno prossimo? Cosa ammira di più in Conte e Garcia e quale altra squadra potrà contendere lo scudetto a bianconeri e giallorossi?
R. Posso dire che sia Juve che Roma partiranno da una base tecnica notevole, corroborata da una stagione consistente sul piano dei risultati. Aumenterà la concorrenza, quella del Napoli in particolare, bello e sfortunato in Champions, ma anche della Fiorentina: due squadre che hanno valorizzato una certa idea di calcio modellata su concetti tattici propri dello scenario internazionale. Infine non sottovaluterei le due milanesi, il cui potenziale qualitativo resta elevato e la motivazione forte, ma anche due squadre come Torino e Parma che avranno l’opportunità di lavorare con continuità.

D. Sull’esempio di Francesco Totti che si è sempre ripreso dai tanti incidenti fisici di percorso proseguendo la propria carriera e dimostrando estrema volontà e notevolissima forza fisica, quale, tra queste due doti, è più importante per essere un grande giocatore e cosa le ispira l’esempio di questo campione che sembra destinato a restare protagonista fino a 40 anni come Javier Zanetti e Ryan Giggs?
R. Sono campioni straordinari, animati da una motivazione senza pari che consente loro di andare oltre quelle che sono le normali possibilità umane. Il loro segreto sono la passione, la professionalità con la quale svolgono il proprio lavoro, la capacità di darsi sempre nuovi obiettivi. Per Totti sono terminati gli aggettivi, lui è qualcosa di unico.   

Tags: Giugno 2014 sport Svalduz calcio

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