Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

  • Home
  • Interviste
  • roberto alesse: scioperi, gli sforzi dell’autorità per prevenirli e scongiurarli

roberto alesse: scioperi, gli sforzi dell’autorità per prevenirli e scongiurarli

Roberto Alesse, presidente dell’Autorità Garante per gli scioperi nei servizi pubblici essenziali

Nato a Roma e laureatosi in Giurisprudenza e Scienze Politiche con il massimo dei voti, Roberto Alesse ha svolto un’intensa attività didattica e di ricerca scientifica nelle Facoltà di Giurisprudenza di varie Università pubbliche e private. Entrato, per concorso, nella Pubblica amministrazione nel 1995, ha ricoperto tutti i gradi, fino a diventare, nel 2003, dirigente generale di ruolo della Presidenza del Consiglio. Nella XIV legislatura è stato consigliere giuridico del vicepresidente del Consiglio e del ministro degli Affari Esteri; nella XVI legislatura è stato consigliere politico-istituzionale del presidente della Camera dei deputati. Dal 2011 presiede l’Autorità di garanzia per gli scioperi nei servizi pubblici essenziali.
Domanda. Può fare il punto su quanto l’Autorità che presiede ha fatto e farà?
Risposta. L’Autorità di garanzia per gli scioperi dei servizi pubblici essenziali è nata 24 anni fa, in un contesto storico e politico completamente diverso dall’attuale, per una felice intuizione del Legislatore che avvertì la necessità di regolamentare questo settore altamente strategico per gli interessi del Paese. La legge 146 del 1990, che ha istituito l’Autorità e che fu concertata con le organizzazioni sindacali più rappresentative dell’epoca, è l’unica legge vigente ad aver dato attuazione all’articolo 40 della Costituzione, che riconosce il diritto di sciopero nell’ambito delle leggi che lo regolano. L’Italia ha conosciuto, soprattutto negli anni ‘70 e ‘80, una stagione di scioperi «politici» dalle notevoli implicazioni istituzionali. Ora la situazione è radicalmente cambiata. Assistiamo, soprattutto da qualche anno a questa parte, a una proliferazione di scioperi settoriali che sfuggono anche al controllo dei sindacati più rappresentativi e sui quali interviene l’Autorità. In questo scenario le cause più significative della recrudescenza del conflitto sono quelle riconducibili, in primo luogo, ai mancati rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro, alle ipotesi di ristrutturazione aziendale con ricadute in termini occupazionali e alle difficoltà, sempre più evidenti, per gli enti territoriali, di adempiere agli impegni finanziari assunti con i contratti di affidamento dei servizi pubblici.
D. Qual è la situazione attuale?
R. Nel settore dei servizi pubblici essenziali sono in gioco i diritti fondamentali delle persone, come quelli alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libera comunicazione e circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione. Da questo punto di vista, pertanto, gli scioperi non autorizzati attentano ai diritti costituzionali. È compito dell’Autorità vigilare su tutto il territorio nazionale, garantendo, da un lato, l’esercizio di sciopero ma impedendo dall’altro, come stabilisce la legge, che dalle astensioni collettive possa derivare un imminente e fondato pericolo di pregiudizio ai diritti dei cittadini utenti. Peraltro, dobbiamo sempre di più rispondere alle sfide che discendono dall’ampliamento del conflitto, che finisce per includere le rivendicazioni sociali legate alle pressioni settoriali di gruppi professionali organizzati. Ciò vuol dire che il pregiudizio arrecato ai diritti costituzionalmente protetti dei cittadini può derivare anche dalle astensioni collettive di lavoratori autonomi o di liberi imprenditori, più o meno piccoli, che, tuttavia, in caso di chiusura temporanea dell’impresa hanno l’obbligo di garantire le soglie minime di servizi.
D. In che cosa consiste la legge?
R. La legge 146 del 1990 è complessa, perché disciplina, in modo dettagliato, l’intero procedimento pubblicistico attraverso il quale si snoda l’esercizio del diritto di sciopero. Nel corso di tutti questi anni la legge ha svolto un ruolo essenziale, contribuendo a civilizzare le ragioni del conflitto collettivo di lavoro. Al riguardo, occorrerebbe chiedersi che cosa sarebbe diventato il Paese se il conflitto non fosse stato contenuto all’interno dei binari della legalità. La risposta è semplice: vivremmo, quasi ogni giorno, una sorta di Far West con riferimento all’erogazione dei servizi pubblici essenziali. In tempi quindi di crisi strutturale del sistema, il migliore antidoto ad ogni deriva che tendesse a paralizzare il funzionamento della società risiede nel dare piena e scrupolosa attuazione alle procedure.
D. Per bilanciare questi due diritti era necessaria un’apposita Autorità?
R. Certo. Noi svolgiamo due compiti indispensabili. Il primo consiste nel fatto che l’Autorità è soprattutto il giudice della legittimità formale della legge. Se un sindacato proclama, ad esempio, uno sciopero nel settore della sanità, la proclamazione, prescrive la legge, deve essere preceduta dai tentativi di conciliazione e di raffreddamento presso le competenti autorità, come il prefetto, se lo sciopero è proclamato su scala locale, e il Ministero del Lavoro, se, invece, è di rilevanza nazionale. L’esperienza attuativa della legge 146 dimostra che, ove efficacemente effettuate, le procedure di raffreddamento e di conciliazione hanno condotto, sotto il controllo costruttivo dell’Autorità, ad apprezzabili risultati in termini di riduzione del conflitto. Del resto, la ratio della disciplina risiede nella necessità di scongiurare lo sciopero che, anche se è un diritto costituzionalmente protetto, che in termini di sacrificio economico «costa» ai lavoratori, si traduce sempre in un danno economico per la collettività.
D. E nel trasporto aereo?
R. Uno sciopero generale, in questo settore strategico, produce, nonostante il rispetto delle fasce di garanzia, non pochi disservizi, giacché limita la mobilità degli utenti, non solo di quelli italiani. Si tratta, infatti, di un servizio pubblico che, configurandosi come «universale», pone la necessità di allargare i profili della propria regolamentazione oltre la dinamica meramente bilaterale delle parti contraenti.
D. Altre incombenze dell’Autorità?
R. Interviene immediatamente, indicando ai soggetti interessati eventuali violazioni relative al preavviso, alla durata massima dello sciopero, ai periodi di franchigia, agli intervalli minimi tra successive proclamazioni e ad ogni altra prescrizione riguardante la fase precedente all’astensione collettiva. Settimanalmente gestiamo centinaia di proclamazioni nei vari settori dei servizi pubblici essenziali. L’ordinaria amministrazione impegna a fondo le nostre strutture, che esercitano funzioni che non possano essere demandate ad organismi governativi, essendo soltanto noi «terzi» rispetto alle parti del conflitto. In altre parole, non può essere, certamente, il Governo, che spesso è la controparte del sindacato, a dire se si può o no scioperare.
D. Quali sono le vertenze in atto?
R. Il contratto collettivo nazionale di lavoro del trasporto pubblico locale, ad esempio, è scaduto dal 2007, per cui i cittadini assistono oggi a molti scioperi che, peraltro, sarebbero di più se l’Autorità di garanzia non intervenisse preventivamente. Il settore, poi, dell’igiene ambientale costituisce un’altra cronica patologia che genera, talvolta, la paralisi del servizio della raccolta e smaltimento dei rifiuti, con conseguenze gravi anche sul piano della difesa della salute pubblica. Da ultimo, è in forte fibrillazione anche il «mondo» della giustizia, che registra un incremento ragguardevole delle astensioni dal lavoro da parte degli avvocati.
D. Che cosa avete accertato finora?
R. Proprio nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti, constatiamo, ogni giorno, che, soprattutto nel Meridione, ma con una certa tendenza espansiva anche nelle regioni del Nord, le città sono sommerse dai rifiuti a causa degli scioperi «selvaggi»; una modalità illegittima che spesso è la conseguenza del mancato pagamento delle retribuzioni, assai basse, da parte dell’azienda che gestisce l’attività, la quale, a sua volta, non riceve i pagamenti dalla stazione appaltante. Un fenomeno drammatico. A tale proposito, la legge 146 affida all’Autorità anche il compito di sanzionare il comportamento illegittimo delle aziende che sono la causa dell’insorgenza o dell’aggravamento del conflitto. Come presidente dell’Autorità ho richiamato l’attenzione del Capo dello Stato e del Parlamento su questa delicata questione. A breve assumeremo decisioni di un certo rilievo. Ne parlerò durante la tradizionale Relazione annuale, fissata per il primo luglio al Senato.
D. Come fate a controllare tutti i Comuni?
R. Poiché la materia dei servizi essenziali è correlata a quella degli appalti pubblici, abbiamo stipulato un protocollo di intesa con l’Autorità che vigila sulle forniture e sui contratti pubblici di lavoro, al fine di accertare, attraverso l’incrocio dei dati, le responsabilità di alcune Amministrazioni o aziende erogatrici di servizi sulle quali grava il sospetto di inadempimenti contrattuali.
D. Quali sono le sanzioni?
R. Due anni fa il Parlamento ha deciso di raddoppiare l’entità delle sanzioni. Esse vanno da un minimo di 2.500 euro a un massimo di 50.000 euro, raddoppiabili in caso di recidiva. A mio avviso, andrebbero aumentate le sanzioni per le imprese responsabili delle violazioni di legge.
D. Nell’ultimo ventennio il potere dei sindacati si è ridotto notevolmente; ha contribuito a questo l’istituzione del Garante?
R. Da quando è entrata in vigore la legge 146, scioperare, oggettivamente, non è facile, perché l’Autorità deve pronunciarsi su ogni proclamazione. L’evoluzione del quadro economico e sociale, che sta interessando il settore dei servizi pubblici, rende, inoltre, non solo opportuno, ma necessario che l’Autorità ricorra ad un’interpretazione dinamica delle proprie prerogative. Sarebbe utile attribuire per legge all’Autorità una maggiore funzione consultiva nella fase finale di risoluzione tecnica delle controversie, da esercitare successivamente alla proclamazione dello sciopero, su richiesta delle parti o di propria iniziativa, e che, se accettata da queste ultime, può diventare un impegno a non effettuare lo sciopero.
D. Come vi giudicano i sindacati?
R. Nutrono rispetto per l’Autorità. Il dialogo con le Confederazioni più rappresentative è equilibrato e positivo; al loro senso di responsabilità si deve non solo l’edificazione di una solida rete di accordi sulle prestazioni indispensabili, in attuazione della legge, ma anche il rispetto delle regole, attraverso l’opera di influenza che le organizzazioni sindacali esercitano sui loro iscritti. Tuttavia si assiste anche ad una proliferazione improvvisa di sigle sindacali che, pur con pochi iscritti, hanno la tendenza a rivendicare un ruolo di sistematica contrapposizione nelle dinamiche delle relazioni industriali. Sono quelle che conservano un’impostazione massimalista, che non apprezzano l’attività di mediazione dell’Autorità su cui, invece, è necessario investire. Si tratta di una questione estremamente delicata perché se, da un lato, l’esercizio del diritto di sciopero va riconosciuto in capo a qualsiasi lavoratore e a qualsiasi organizzazione sindacale, dall’altro si avverte sempre di più l’esigenza di evitare che a tale strumento si faccia ricorso in modo spregiudicato, magari a discapito delle organizzazioni sindacali maggiormente capaci di raccogliere il consenso della maggioranza dei lavoratori.
D. Che pensa della precettazione?
R. Quando in Parlamento si discusse la legge 146, Gino Giugni, allora presidente della Commissione Lavoro del Senato, riteneva che questo potere dovesse essere attribuito unicamente all’Autorità di garanzia, in virtù della sua terzietà. Si optò, invece, per un sistema misto, nel quale la Commissione di garanzia segnala alle autorità competenti i casi in cui occorre precettare, fermo restando il potere autonomo e diretto del Governo e delle Prefetture di intervenire nei casi di necessità ed urgenza. L’istituto della precettazione presenta, comunque, profili problematici, perché, come è già successo, può dar vita a differenti valutazioni tecniche da parte dell’Autorità e del Governo, che necessitano di essere superate attraverso un rafforzamento dei poteri dell’Autorità, consistente nell’attribuzione di un parere obbligatorio e vincolante anche nei casi in cui siano il Governo e le Prefetture ad intervenire in modo autonomo.
D. Quanto hanno influito le nuove leggi sul mercato del lavoro?
R. Dall’applicazione della legge 146 sono fuori le aziende come la Fiat. Noi ci occupiamo solo di quelle, pubbliche o private, che erogano i servizi pubblici essenziali. Indubbiamente, l’accentuazione della cosiddetta «flessibilità» nel rapporto di lavoro ha comportato un’elevazione della soglia della conflittualità. È un dato di fatto. Ma ciò non toglie che l’erogazione dei servizi debba essere, sostanzialmente, continua, regolare e senza alcuna interruzione.
D. Incide il fenomeno dei Cobas?
R. I sindacati di base sono quelli meno propensi alla cultura del dialogo e della concertazione, ma la logica del «muro contro muro» è sbagliata. Se ne facciano una ragione.   

Tags: Aprile 2014 trasporti sindacato contratti raccolta rifiuti caos trasporti roma trasporti trasporto pubblico locale trasporto aereo

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa