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LUIGI NICOLAIS: CNR, LA RICERCA PRODUCE CONOSCENZA OSSIA SVILUPPO ECONOMICO

Il prof. Luigi Nicolais, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche: «Il punto centrale per il Paese consiste nel fatto che il tessuto industriale deve adeguarsi al grande cambiamento in atto, deve collegarsi con il CNR, con le Università, con il mondo che produce conoscenza, unico modo per rendere competitivi i prodotti. Questo è il compito del CNR, e per questo stiamo lavorando alla sua ristrutturazione in 7 aree scientifiche»

Intervista al presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche

"Maggiore Istituto di ricerca italiano, il Consiglio Nazionale delle Ricerche occupa circa 8 mila persone a tempo indeterminato e circa 2 mila a tempo determinato; nella sua storia ha ottenuto numerosi riconoscimenti; ad esempio, nella classifica 2009 della SIR, la Scimago Institutions Rankings, organo di valutazione che include enti di ricerca di oltre 80 Paesi, figura al 18esimo posto per produzione scientifica, molto superiore alla media. Un’ottima posizione occupa anche in Europa, il quinto posto dopo due istituti tedeschi, il Cnr francese e un istituto inglese. Questo dimostra che il Cnr ha una capacità di produrre conoscenza molto elevata sebbene poi parte significativa di questa eccellenza non trovi adeguato utilizzo e valorizzazione.
Per questo stiamo cercando, anche con la collaborazione di Confindustria, di sollecitare nel tessuto produttivo e imprenditoriale una maggiore attenzione verso i risultati della ricerca». Questo è il sintetico, lapidario identikit del Consiglio Nazionale delle Ricerche, delineato dal suo presidente ing. Luigi Nicolais. Già professore ordinario di Tecnologie dei polimeri nell’Università Federico II di Napoli e direttore dell’Istituto per la Tecnologia dei materiali compositi del CNR, Luigi Nicolais fa parte dell’ISI (Institute for Scientific Information) che comprende gli scienziati più citati nel mondo. Nicolais ha insegnato anche nelle Università di Washington e del Connecticut. Dal maggio 2006 al maggio 2008 è stato ministro della Funzione pubblica nel secondo Governo Prodi. È presidente del CNR dal 18 febbraio scorso.
Domanda. Perché c’è poco impiego delle scoperte del CNR?
Risposta. Un ente di ricerca come il nostro ha il compito di produrre conoscenze e valorizzarne i risultati. Quest’ultimo aspetto non è però facilmente realizzabile, perché c’è bisogno di creare un ambiente ricettivo e favorevole in cui si incontrano, con successo, ricerca, imprenditoria e finanza. Un ecosistema propenso all’innovazione lo si crea progressivamente favorendo la tutela della proprietà intellettuale, il deposito e la tutela di brevetti, la creazione spin-off di aziende, la collaborazione continua con le imprese, i rapporti con le Pubbliche Amministrazioni. La valorizzazione dei risultati della ricerca è un fattore essenziale per aumentare la competitività del Paese; il CNR e le Università devono poi puntare verso una competizione internazionale producendo conoscenze di elevato livello scientifico. Mentre l’Università deve usarle per formare una nuova classe dirigente, insegnando quanto non è ancora scritto nei libri, attraendo verso di esse i giovani, il CNR deve produrre conoscenze dello stesso livello qualitativo, ponendo attenzione al loro impiego per far crescere il Paese. Da un lato deve fornire alle imprese la possibilità di competere in un’economia in cui la conoscenza rappresenta l’elemento essenziale, dall’altro deve assistere la Pubblica Amministrazione nel cambiamento delle tecnologie e del suo modo di essere, in un mondo in cui tutto si evolve.
D. In questa situazione cosa fate?
R. Da quando ho assunto la presidenza, ho cercato di insistere con l’attuale Governo e con il Ministro della Ricerca per equiparare i ricercatori del CNR a quelli universitari. Ciò è essenziale, se vogliamo creare una massa critica; non ha senso proseguire in inattuali separazioni concettuali e normative. I ricercatori vanno tutti considerati allo stesso livello; solo così può realizzarsi una reale osmosi tra Università e Ricerca.
D. Come giungere in pratica a questa equiparazione?
R. Sto indirizzando la politica edilizia del CNR verso la creazione di strutture di ricerca vicine alle Università. Non più grandi aree lontane e separate; anche fisicamente i ricercatori, universitari e del CNR, devono stare vicini. Si avranno in tal modo maggiori possibilità di scambi, di lavori in comune, di sviluppo congiunto di ricerche e progetti.
D. Quali sono i rapporti tra il CNR e il mondo della produzione?
R. Le imprese devono convincersi che la competizione può essere affrontata positivamente intervenendo sui prodotti, arricchendoli di conoscenze, liberandoli dai vincoli progettuali e produttivi. Solo favorendo collegamenti fluidi fra chi sviluppa saperi e chi realizza prodotti sarà possibile garantire crescita e migliori opportunità di vita. Per rendere efficace e possibile questo non facile rapporto occorre intervenire anche sull’organizzazione delle strutture di ricerca. Per questo stiamo lavorando alla ristrutturazione del Cnr in sette aree scientifiche. Tale scelta agevolerà l’aggregarsi delle competenze, la specializzazione e riconoscibilità all’esterno e favorirà, nello stesso tempo, una maggiore interazione fra i diversi saperi e facendo così avanzare le numerose frontiere della scienza e delle tecnologie.
D. Come è possibile far collaborare specialisti in campi molto diversi tra loro?
R. Pensiamo alla diagnostica per immagini, una disciplina di grandissima utilità sociale e con grandi ricadute applicative e tecnologiche, che non sarebbe nata se un fisico, un ingegnere, un medico, un biologo e un matematico, ciascuno eccellente nella propria disciplina, non si fossero uniti per sviluppare un apparecchio capace di esaminare il paziente e contemporaneamente, con sistemi avanzati di fisica, elettronica e matematica, di elaborare i dati. Questo è il modello di interazione cui ispirarsi e da seguire. Spero che il CNR proceda in tale direzione.
D. Come operano e quali materie studiano le vostre sette aree tematiche?
R. I sette dipartimenti aggregano le numerose competenze per macro-aree; a titolo esemplificativo si possono richiamare le nuove denominazioni: Scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente; Scienze bio-agroalimentari; Scienze biomediche; Scienze chimiche e tecnologie dei materiali; Scienze fisiche e tecnologie della materia; Ingegneria, ICT e tecnologie per l’energia e i trasporti; Scienze umane e sociali, patrimonio culturale. È evidente che tutto lo scibile trova accoglienza ed è oggetto di studio. L’obiettivo è procedere, parallelamente a quella che viene definita verticalizzazione della ricerca, a realizzare attraverso progetti trasversali un sistema complesso di ricerca dinamico e interagente sia con l’impresa sia con gli altri centri di ricerca internazionali. A tal fine bisogna operare molto sul versante organizzativo interno. Lo scorso luglio ho nominato il nuovo direttore generale nella persona di Paolo Annunziato, e abbiamo avviato un bando per i sette direttori di Dipartimento, tutto attraverso una procedura online perché il CNR deve essere il punto di riferimento anche del cambiamento tecnologico. Bisogna abbandonare il modello cartaceo e passare a quello digitale, non per usare il computer come una macchina da scrivere evoluta ma per servirsi dei suoi flussi documentali, cambiando il modo di trasmettere e gestire le informazioni.
D. Di quali progetti si tratta?
R. Abbiamo in corso un grande progetto di e-library, cioè di biblioteca digitale, che ci permetterà anche di evitare che i singoli istituti sottoscrivano più abbonamenti a pubblicazioni scientifiche, in quanto la sede centrale ne farà uno solo consentendo a tutti i nostri ricercatori e collaboratori di accedervi. Stiamo attuando una piccola rivoluzione per giungere a un «CNR 2.0» migliorando, rendendo più efficiente l’uso delle tecnologie e degli applicativi informatici per favorire l’interazione con i ricercatori, che sono al centro della nostra attenzione. Molte delle proposte di trasformazione sono avanzate da loro.
D. Quale ruolo hanno i giovani in tutto ciò?
R. La capacità e la creatività, che sono alla base della ricerca, provengono principalmente dai giovani; anche i meno giovani sono essenziali perché in grado di coordinare le varie iniziative e di vedere lontano; ma i giovani ricercatori rappresentano la linfa vitale del CNR. Cercherò di farli intervenire ancora di più, in futuro, in tutti i momenti decisionali dell’ente. Questo è un altro cambiamento sul quale stiamo lavorando; abbiamo grandi progetti in corso, tra questi quello sull’Antartide che prevede la costruzione di una nave sperimentale per tutte le ricerche marine; oppure quelli sull’archeologia, sui sistemi dei beni culturali, sulla medicina, sull’oncologia, settore nel quale siamo secondi nel mondo dietro gli Stati Uniti e primi in Europa.
D. In quale settore siete meno avanti?
R. Credo che abbiamo tutte le condizioni per dare un grande contributo allo sviluppo del Paese. In passato forse si è posta scarsa attenzione alla comunicazione; per natura il ricercatore, una volta che ha prodotto una nuova conoscenza e l’ha comunicata ai propri colleghi attraverso convegni o articoli scientifici, ritiene tutto il resto non necessario perché il suo obiettivo era quello di spostare in avanti la frontiera della conoscenza; e quando riesce in questo, ritiene di aver raggiunto lo scopo e si accontenta di essere conosciuto nel proprio ambiente. Quello che invece oggi dobbiamo fare è comunicare all’esterno, ai profani e ai non scienziati, i risultati ottenuti, e questo è un compito nel quale la carta stampata, la radio, la tv possono aiutare molto. Dobbiamo essere più bravi nel comunicare le nostre attività e nel trasformare la conoscenza in cultura.
D. La tv ha un grande seguito; perché non diffonde conoscenze?
R. Ricordo che gli italiani hanno imparato a leggere e a scrivere tutti grazie a un professore che all’epoca curava la rubrica tv «Non è mai troppo tardi». Le trasmissioni culturali costituiscono un eccezionale mezzo di coinvolgimento del cittadino. La tv, in particolare quella pubblica, sostenuta finanziariamente dagli abbonati, dovrebbe riservare grandi spazi alla cultura scientifica, ma anche a quella umanistica. Senza quest’ultima, infatti, non sopravvivono né quella scientifica né quella tecnologica, perché spetta ad essa il compito di riempirle di contenuti. Oggi a scuola non è più necessario insegnare come si usa il computer, ma come apprendere usando il computer. Non è un fatto secondario che tra le nostre sette aree strategiche di ricerca figuri quella di scienze umane e sociali.
D. A quanto ammonta il vostro budget finanziario?
R. Il CNR ha un bilancio di circa un miliardo di euro, ed è capace di introitare quasi il 40 per cento dalle partecipazioni competitive. Riceviamo ogni anno circa 647 milioni di euro dallo Stato, e circa 361 milioni da iniziative esterne, ossia dai progetti cui partecipiamo. Di questi ultimi, circa il 35 per cento poggia su fondi provenienti dalle Regioni, dall’Unione Europea, dai servizi di alta tecnologia che forniamo. Abbiamo 107 istituti diffusi capillarmente in tutta l’Italia e tra questi, 23 nel Lazio, 18 in Campania e 12 in Lombardia. Siamo presenti in tutte le Regioni tranne la Val D’Aosta e il Trentino, dove stiamo però intervenendo. Abbiamo un ottimo rapporto inter-istituzionale con tutti i governi regionali e ci candidiamo a sostenerli nelle politiche di diffusione territoriale dell’innovazione.
D. Come si diventa ricercatori?
R. Partecipando a un concorso pubblico con esami di vario genere. Poi i vincitori svolgono un’attività di formazione «on the job», nel senso che si formeranno lavorando nei dipartimenti e negli istituti, dopo i quali con passaggi interni si sale da ricercatore a primo ricercatore, a direttore di ricerca e così via.
D. Come scegliete i progetti e in quanto tempo sono eseguiti?
R. I progetti nascono come risposta a delle call, dei bandi locali, nazionali e comunitari. Le proposte sono oggetto di severe valutazioni da parte di diversi e qualificati soggetti. I tempi e le modalità organizzative poi spesso sono disciplinate all’interno degli stessi bandi. Un esempio: sui 36 progetti che hanno vinto il bando nazionale sulle «smart cities», 28 erano di ricercatori del CNR.
D. Come ripartite le risorse finanziarie di cui disponete?
R. Dei 647 milioni di euro che ci concede lo Stato, circa 400 sono destinati agli stipendi; con i restanti dobbiamo far fronte a una serie di spese di gestione e di manutenzione. Ma riusciamo ugualmente a destinare una parte di questi fondi all’attività di ricerca libera, emanando bandi per giovani ricercatori. Queste sono iniziative nostre, una sorta di investimento interno. Sto spingendo molto per incrementare questa entrata che proviene dall’esterno, specialmente dall’Europa; con il programma Horizon 2020, che partirà tra due anni, sono previsti circa 180 miliardi di euro.
D. Nei 107 istituti ve ne sono alcuni che si distinguono di più?
R. Abbiamo eccellenze un po’ dovunque. In Toscana abbiamo grandi istituti nel settore della Fisiologia medica ma anche dell’Informatica, delle Telecomunicazioni e della Fotonica. In Lombardia vi sono strutture molto avanzate nel settore delle moderne industrie manifatturiere, centri di eccellenza nella Medicina a Lecco, di Biotecnologia e Materiali in Campania, di Nanotecnologie in Puglia, nel settore della Pesca in Sicilia. A Roma abbiamo un robusto gruppo nei settori dei Beni culturali, della Giurisprudenza e del Diritto internazionale; in Basilicata nello studio dell’Ambiente. Diciamo che c’è di tutto, e di questo sono molto orgoglioso. Sono strutture che andrebbero maggiormente conosciute, e speriamo che avvenga l’anno prossimo, al compimento dei 90 anni del Cnr che fu fondato nel 1923. Il primo presidente fu il grande matematico Vito Volterra.
D. Quanti anni un ricercatore può restare nel CNR?
R. Siamo una fucina di giovani, avremmo bisogno di maggiori fondi per farli restare con noi. Abbiamo quasi 2 mila precari, giovani che vengono a lavorare da noi, si perfezionano e continuano a stare con noi. Sono pieni di entusiasmo, sono artisti perché il ricercatore può definirsi tale in quanto crea. Dobbiamo fare di tutto per metterli in condizione di lavorare serenamente; il nostro compito è far funzionare questa macchina.
D. Quante ricercatrici avete e quali sono le loro caratteristiche?
R. Abbiamo una buona percentuale di donne all’inizio della loro carriera, quasi il 50 per cento del totale; purtroppo però la loro presenza si riduce via via ai livelli apicali a causa di vari problemi, e non da ultimo quelli dei tempi di lavoro e della cura della famiglia e dei figli. È indubbio che bisogna rivedere e intervenire, normativamente ed economicamente, sull’attuale organizzazione dei tempi di lavoro, sugli strumenti a tutela della famiglia, sulle reti relazionali e i modelli culturali in termini di pari opportunità e valorizzazione del ruolo femminile.
D. Quali novità vi sono nel campo della sua specifica competenza professionale, costituita dalle ricerche sui materiali compositi?
R. Sui materiali compositi ho appena pubblicato recentemente un’enciclopedia di 5 volumi per 3.500 pagine con una casa editrice americana, la Wiley. Esiste un istituto specifico nato dalle mie ricerche. I nuovi materiali oggi si impiegano in generale nei settori aerospaziale e dei trasporti, ma anche in quello biomedico nel quale la possibilità di progettare e di realizzare il materiale ha aperto anche la possibilità di creare dei substrati biocompatibili, sui quali poi le cellule riescono a creare protesi senza rischio di rigetto: oggetti vivi con indicazioni di crescita per diventare un nervo artificiale, un legamento, una pelle, aprendo in questo modo nuove opportunità di cura e di intervento per la salute delle persone.

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