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Giancarlo Leone: questa è la nostra passata, presente e futura televisione

Giancarlo Leone, direttore di Rai1

a cura di
FABRIZIO SVALDUZ

Dal primo gennaio 2013, direttore di Rai1 dopo essere stato responsabile dell’Intrattenimento dal luglio 2011 e, prima, vicedirettore generale, incarico affidatogli nel luglio 2006 e poi confermato nel 2009, Giancarlo Leone entrò come giornalista alla Rai nel 1983, nel 1992 divenne responsabile dell’ufficio stampa, per passare, 3 anni dopo, alla vicedirezione del Coordinamento palinsesti, diventandone l’anno seguente direttore. Nel giugno del 1998 fu nominato responsabile del Marketing strategico offerta e palinsesti, ruolo che conservò ad interim nel gennaio del 1999, quando divenne nuovo direttore di Rai International, incarico che mantenne fino al marzo 2000. Dallo stesso anno, e fino al 2006, ha ricoperto la carica di amministratore delegato di Rai Cinema. Appassionato di golf, ha da poco festeggiato il suo primo anno alla direzione di Rai1, rete rimasta in testa agli ascolti per tutto il 2013: lo share ottenuto in 11 mesi ha, infatti, registrato una media del 19 per cento nel prime time e del 18 per cento nel daytime. Un ottimo risultato, considerando che Rai1 è rimasta l’unica esclusa dall’emorragia di ascolti, dovuta all’ultimo anno di digitalizzazione, che ha rafforzato le reti tematiche a scapito di quelle generaliste.
Domanda. Lo scorso 3 gennaio la Rai ha festeggiato i 60 anni dell’esordio delle trasmissioni televisive. Cosa rappresenta questa data per gli italiani di fronte a quello che è stato definito un «medium generalista di flusso che tendeva a sincronizzare i ritmi di una comunità»? La festa è più per la Rai o per il suo pubblico?
Risposta. Direi, assolutamente, che è il pubblico il protagonista di tale celebrazione. In 60 anni si è passati da un unicum, il famoso Canale 1, a un’offerta diversificata del sistema televisivo, attraverso la tv satellitare, la pay-tv fino al digitale terrestre, che si è aggiunto al vecchio sistema analogico di trasmissione. Per non parlare poi degli altri sistemi di emissione, dal web all’IP-TV, la tv diffusa a banda larga attraverso internet. Rispetto alla tv dell’era «geologica» del 1954, oggi in Italia si possono vedere, gratuitamente, oltre 100 canali tv sul digitale terrestre e alcune centinaia sulla piattaforma a pagamento Sky. In questa vera rivoluzione tecnologica e culturale è incontrovertibile però che la Rai mantenga una propria centralità, continuando ad essere vista dal 40 per cento del pubblico italiano attraverso i suoi 14 canali tv.
D. Quali sono i dirigenti storici che hanno fatto grande la Rai?
R. Comincerei da Ettore Bernabei, Biagio Agnes, due grandissimi cardini del servizio pubblico radiotelevisivo. Poi vorrei citare, forse meno noti fuori dell’ambiente tv, Giovanni Salvi, ex vicedirettore generale di lungo corso e inventore dell’intrattenimento di Rai1, e Beppe Cereda, uno dei migliori cervelli per quanto riguarda la programmazione di cinema e di fiction italiana, già direttore di Rai3. A loro, aggiungerei Giorgio Cingoli che dall’Inghilterra negli anni 80 portò il Televideo, adattandolo giornalisticamente all’Italia, e poi Franco Iseppi, illuminato ex direttore generale. Ma la lista sarebbe più lunga.
D. Per il critico tv Aldo Grasso «i grandi successi di audience sono rappresentati da varietà e fiction fortemente nostalgici, come se la Rai avesse lo sguardo costantemente rivolto al passato». È così?
R. È solo in parte vero, nel senso che la fiction che realizza la Rai, da una parte si rivolge al passato del nostro Paese con le miniserie o con certe serie tv, e dall’altra affronta anche la Storia nel senso più tradizionale della parola. Ma produciamo, anche, fiction decisamente più contemporanee, rivolte ai giovani e girate con un taglio moderno, come la recentissima «Braccialetti rossi», sei episodi con sei bambini protagonisti, ambientata negli ospedali. Diciamo che il compito della fiction, come quello dell’intrattenimento, non è solo andare incontro al pubblico classico, ma anche formare le nuove generazioni attraverso programmi innovativi e attuali. Per inciso, poi, all’interno del Festival di Sanremo lo scorso anno abbiamo introdotto argomenti impegnativi come il femminicidio e l’omosessualità, che una volta non appartenevano a Rai1 e alla Rai. Pur rispettando la sua critica, credo che Grasso sia stato ingeneroso.
D. Quale saranno le novità, invece, del Festival di Sanremo in onda nel corrente mese?
R. I temi portanti sono: il 60esimo della Rai, che avremo modo di raccontare attraverso la presenza di grandi personaggi, e la canzone d’autore ripercorsa sul palco da alcuni dei più grandi cantanti italiani.
D. L’edizione del 2013 di Sanremo ha chiuso in pareggio economico con i costi totalmente pagati dagli spot per un totale, mai smentito dalla Rai, di 18 milioni di euro, di cui 7 milioni di fronte alla convenzione con il Comune di Sanremo. Un record per la sua direzione. A quali costi puntate nell’edizione del 2014?
R. Il nostro obiettivo è, almeno, il pareggio economico, e posso anticipare che l’edizione di questo mese sarà in grado di ripagarsi ampiamente con i ricavi pubblicitari, nonostante il Festival di Sanremo possa essere attribuito, da un punto di vista puramente formale, al canone anziché alla pubblicità, in quanto il contratto di servizio prevede tra gli obblighi da canone quello di promuovere la musica, anche quella leggera e contemporanea. Il controllo dei costi va fatto nei tempi giusti e noi l’abbiamo avviato nell’edizione scorsa con una grande manovra economica, dei cui risultati beneficia l’edizione di quest’anno e quelle future. Ovviamente, ci auguriamo gli stessi strepitosi ascolti dello scorso anno.
D. Nel 2015, in occasione dei 60 anni del Festival di Sanremo, che tipo di edizione vorrebbe progettare?
R. Sappiamo già adesso che l’edizione 2015 costerà ancora un po’ meno perché nel frattempo sarà entrata in vigore la nuova convenzione tra la Rai e il Comune di Sanremo, che riduce ulteriormente il costo, di 9 milioni fino a 2 anni fa, di 7 milioni quello attuale ma che scenderà a poco meno di 6 milioni dal 2015. Con tale presupposto potremmo organizzare i programmi più in grande.
D. Dopo gli ottimi esiti di «Tale e Quale show», il talent condotto da Carlo Conti il venerdì sera che lo scorso dicembre ha chiuso con un trionfale 30,02 per cento di ascolto, confermandosi lo spettacolo di intrattenimento più visto dell’anno, lo showman toscano non meriterebbe di condurre il Festival di Sanremo?
R. Non è ancora chiaro quando, ma fin d’ora posso anticipare che, nell’arco dei prossimi 3 anni, Carlo Conti sicuramente condurrà un festival di Sanremo, perché lo merita.
D. Cosa è successo nei rapporti tra la Rai e Pippo Baudo e in quelli con Maurizio Crozza che è sembrato ad un passo da Rai1 lo scorso autunno, rimanendo poi a La7?
R. Personalmente, quando ero a capo dell’Intrattenimento Rai, penultimo mio incarico, ho avuto il piacere di riportare Baudo in tv, producendo per lui e per Rai3 «Il viaggio», in due serie. Da quando sono direttore di Rai1, con lui stiamo parlando concretamente di progetti e prevedo, entro l’anno, un suo ritorno in rete. Invece, il mancato approdo in Rai di Maurizio è stato causato dal fatto che sulla Rai si apre spesso un dibattito politico che talvolta supera anche le finalità di chi lo genera. Il fatto di non voler entrare in un’arena dove erano in discussione, tra l’altro, anche i compensi degli artisti, ha spinto lo stesso Crozza a compiere un passo indietro, probabilmente per non fornire il destro a un dibattito politico. E mi spiace che questo sia avvenuto, perché avremmo potuto dimostrare invece che l’arrivo di tale artista sarebbe stato, anche in termini economici, un segnale significativo di riduzione addirittura dei costi di produzione dei programmi di Rai1. Ritengo che questa vicenda sia semplicemente il rinvio di un appuntamento che mi auguro ci sarà.
D. Rilevamento Auditel a parte, quale responsabilità gravano sulle sue decisioni prima di sposare un progetto? Va mai in conflitto con se stesso dopo una scelta difficile?
R. Vivo quotidianamente questo conflitto. Personalmente, la mia formazione culturale proviene, prima di approdare in Rai, dalla musica e dal teatro, dove ho avuto l’onore di esordire lavorando nel Teatro Eliseo di Roma nella Compagnia dei Giovani, affiancando nella regia Romolo Valli e Giorgio De Lullo, e poi di essere stato assistente del direttore artistico del Festival di Spoleto. È chiaro, allora, che confrontare la propria esperienza culturale con la quotidianità della televisione obbliga a fare i conti con se stessi, tenendo conto che si deve ideare e programmare non rispecchiando i propri gusti personali ma ciò che si ritiene giusto per il pubblico televisivo. È una grande responsabilità, ma è un onore averla.
D. A cavallo dello scorso dicembre ha mandato in onda «Mission», primo esperimento di social tv. Qual è il bilancio di questo esperimento che ha suscitato preventive polemiche?
R. Sono soddisfatto per avere portato in prima serata temi così difficili e mai toccati nella fascia della prima serata come quello dei profughi e dei rifugiati. Sono invece rimasto deluso dalle critiche strumentali che hanno preceduto il programma, nate su internet da una serie di illazioni sul programma che poi si sono rivelate non vere, sullo sfruttamento del dolore. Questo dimostra che sul web si possono generare dei mostri, se non si è in grado di governare la comunicazione. Dopo la messa in onda però, critiche e indignazione si sono dissolte, perché generate dal nulla. Si è parlato solo del successo o dell’insuccesso, in termini di ascolto, del programma. Vale la pena osare e cercare di portare temi anche difficili in prima serata, indipendentemente dalla ingenerosità con la quale la stampa, la critica ed anche gli addetti ai lavori considerano certi programmi, segno di arretratezza culturale di costoro che dividono i programmi in due categorie: i successi e i flop. «Mission» proseguirà su fasce orarie più adatte per questi temi.
D. Può anticipare qualche titolo su Rai1 nei prossimi mesi?
R. Per la fiction, abbiamo delle miniserie significative tra mafia ed eroi borghesi, come «Il giudice meschino» con Luca Zingaretti; «Don Diana» con Alessandro Preziosi; e «Qualunque cosa succeda» sull’avvocato Giorgio Ambrosoli, interpretato da Pierfrancesco Favino. Nell’intrattenimento avremo 3 nuovissimi format, «La Pista», dove tutto girerà intorno a un luogo per performance musicali e non, condotto da Flavio Insinna, e «I can do that!», show popolare condotto da Carlo Conti che vede artisti impegnati in situazioni inedite e spettacolari; il terzo sarà «C. Factor, Non ci resta che ridere», primo talent per comici presentato da Carlo Conti e Gabriele Cirilli, posticipato a maggio per problemi organizzativi, nel quale potremo sperimentare e vedere come può operare su Rai1 la nuova fucina dei comici. Infine vi sarà l’arrivo in prima serata del venerdì di Enrico Brignano con un «one man show» dedicato alle sue passioni teatrali, in quattro appuntamenti.
D. Nell’«emotainment», che unisce emozione e intrattenimento, già presente su Rai1, quali le novità?
R. Sono soddisfatto del risultato ottenuto a gennaio da «Così lontani così vicini», che viene dal format internazionale «Long last family» riadattato in Italia con la collaborazione di Magnolia e condotto da Al Bano con Cristina Parodi. Abbiamo dimostrato che si può portare in prima serata, come già facemmo per Rai2 con «Pechino Express», un modello industriale ed editoriale del tutto diverso e on the road, cioè prodotto, girato e montato fuori dalla sacralità delle dirette in studio. Un linguaggio nuovo per Rai1 da questo punto di vista in prima serata, che ha portato ottimi risultati perché ha ottenuto una lusinghiera media di oltre il 16 per cento di share. È una strada che proseguiremo.
D. Quando rivedremo Roberto Benigni su Rai1? E con che spettacolo?
R. Benigni è uno dei pochi artisti, come Fiorello, che può permettersi il lusso di decidere quando è pronto per fare qualcosa per noi, sapendo che Rai1, che amo definire la rete dei Numeri 1, l’aspetta. Ogni grande artista ha i propri tempi per scrivere, elaborare, maturare ed essere pronto per mostrare la sua nuova opera in tv. In merito al soggetto da lui scelto, ci ha annunciato che toccherà il tema dei Dieci Comandamenti, visti da qualcuno molto più illustre e trascendente di Dante. L’argomento sarà la fonte della sua ispirazione per quello che si preannuncia l’evento televisivo, credo, di quest’anno.
D. Rivedremo Adriano Celentano su Rai1 o è prematuro, dopo la sua esibizione live su Canale 5?
R. Le polemiche nacquero dopo la sua partecipazione al Festival di Sanremo e, quell’anno, l’azienda non aveva le risorse per riprendere l’avvenimento in diretta ad ottobre dall’Arena di Verona, che sarebbe costato molto e che poi fu trasmesso da Canale 5. Ma Celentano è nato musicalmente in Rai ed è, e sarà sempre, benvenuto da noi.
D. Il modello di tv di Mediaset serve alla Rai per migliorare?
R. Credo che sempre di più Rai e Rai1 debbano differenziarsi dal modello commerciale. Sono convinto che, da questo punto di vista, non dobbiamo guardare alla tv commerciale come un punto di riferimento ma come a un concorrente dal quale allontanarsi per modelli produttivi, industriali e culturali, perché la loro finalità è quella di avere dei ricavi commerciali. Quella nostra, invece, è di seguire il pubblico televisivo, sviluppando la capacità di mantenere e ampliare con esso il rapporto, tenendo certamente in conto, anche, i ricavi commerciali. Credo che ruoli e modelli debbano mantenersi distinti.
D. Avrebbe un ricordo legato alla tv, di suo padre, il presidente della Repubblica Giovanni?
R. Mio padre non guardava troppo la televisione, ma ricordo che negli anni 60 intervenne, quale professore universitario e avvocato di chiara fama, nella serie informativa «Sapere» sul Canale 1, dove raccontò all’Italia televisiva il processo penale. Pensarlo in onda sul canale che, molti anni dopo, avrei diretto, ancora oggi mi emoziona.   

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