GIUSEPPE PECORARO: INDISPENSABILE IL DIALOGO DEL PREFETTO CON TUTTI
Prefetto di Roma dal novembre 2008, Giuseppe Pecoraro, laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli nel 1972, ha ricoperto vari incarichi nella Prefettura di Rovigo e nella Direzione Generale degli Affari dei Culti. Trasferito nel 1978 al Gabinetto del ministro, collaborò con il gruppo incaricato di seguire i lavori parlamentari sull’omicidio di Aldo Moro e della sua scorta. Dal 1979 al 1984 fu nella Segreteria del Capo della Polizia, seguendo i lavori parlamentari della legge di riforma della Pubblica Sicurezza. Nella stessa Segreteria nel 1984 passò all’Ufficio Rapporti sindacali. Nel 1986 assunse la direzione della prima Divisione della Polizia Stradale e successivamente, promosso viceprefetto, ebbe la responsabilità della direzione dell’Ufficio Relazioni Sindacali. Nel 1994 divenne Vice Capo di Gabinetto dei ministri Maroni, Brancaccio e Coronas. Nel novembre 1995, nominato prefetto, diresse la Prefettura di Prato e successivamente quella di Benevento. Nel novembre 2001, trasferito nuovamente a Roma, divenne Capo della Segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza e poi Vice Capo della Polizia e, nel 2007, Capo del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. Infine la nomina a prefetto di Roma.
Domanda. Cinque anni fa, appena ufficializzata la sua nomina a prefetto di Roma, lei dichiarò: «Sono onorato di questo incarico prestigioso che mi è stato affidato e al quale dedicherò la massima attenzione. Mi aspetta un impegno grande e difficile: per questo sono pronto a mettermi al servizio della gente e ad avere un dialogo intenso con le istituzioni locali». Cinque anni dopo quale effetto le fanno queste parole?
Risposta. Lascio ovviamente ai cittadini romani e alle istituzioni valutare il mio operato in questi cinque anni. La principale soddisfazione che ritengo di condividere è quella di non aver mai interrotto il dialogo con i protagonisti, pubblici e privati, del territorio, mantenendo sempre vivo quel rapporto con i rappresentanti delle Istituzioni locali e delle associazioni che mi ha permesso di affrontare efficacemente varie situazioni che si sono presentate e di individuare, quando è stato possibile, le migliori soluzioni.
D. Fermo restando che sul prestigio dell’incarico non c’è alcun dubbio, quanto si è rivelato difficile l’impegno che ricopre?
R. In considerazione dell’attuale difficile congiuntura economica del nostro Paese i disagi maggiori si sono avvertiti in riferimento a quei temi, quali le vertenze sindacali e le manifestazioni di dissenso, originate proprio dalla complessa situazione economica e sociale.
D. Quali sono i problemi maggiori di Roma in materia di sicurezza e di ordine pubblico? Secondo quali linee si è mosso per risolverli?
R. Due sono stati i problemi che hanno visto impegnati la Prefettura e me in questo periodo quinquennale. Il primo è stato la lotta alla criminalità organizzata. Il secondo ha riguardato gli atti violenti emersi in alcune iniziative di protesta. Per il primo problema si è reso necessario assumere iniziative costanti e determinate, con la significativa collaborazione dell’Autorità giudiziaria nonché con le Istituzioni e le associazioni locali, oltreché, ovviamente, con l’incisiva azione delle Forze dell’Ordine, al fine di prevenire infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto sociale ed economico della capitale. Per il secondo problema si è cercato, fin dove possibile, il dialogo con i movimenti e gli emarginati, senza tralasciare fermezza in occasione di azioni violente o comunque illecite.
D. Per Roma e per l’intero Paese di cui è capitale gli ultimi cinque anni sono stati, dal punto di vista economico, tra i peggiori della storia repubblicana. Oggi tutti siamo, in misura diversa, più poveri: quali sono le conseguenze di ciò per l’ordine pubblico?
R. È innegabile una connessione tra crisi economica e aumento di alcuni reati. Per quanto riguarda i reati cosiddetti «predatori», infatti, che sono i più odiosi come i furti, gli scippi e le rapine, l’elemento più significativo su cui occorre aprire una seria e approfondita riflessione, è quello che tali reati sono per la maggior parte compiuti da persone in evidente stato di difficoltà economica. Tale circostanza è indubbiamente il sintomo di un disagio diffuso e l’effetto di una crisi grave che vede protagonisti anche delinquenti occasionali, che ricorrono all’illecito come espediente per sostenersi nei momenti di difficoltà personale.
D. Quali sono oggi gli indici di criminalità di Roma e come sono cambiati negli ultimi cinque anni? È possibile confrontarli con quelli delle altre grandi capitali europee? Che cosa emerge dal confronto?
R. Parlare di «allarme sicurezza» a Roma, considerati i dati relativi ai reati contro la persona, non è assolutamente corretto. Roma, infatti, è una delle città più sicure d’Europa, come dimostrano le statistiche europee in materia (Eurostat). Secondo tali statistiche, infatti, Roma ha registrato, negli ultimi dieci anni, 343 omicidi, numero nettamente inferiore non solo ai 1.778 rilevati a Londra, ma agli 892 perpetrati a Berlino, ai 501 a Madrid e ai 407 a Bruxelles. Spesso si tende ad enfatizzare troppo l’accadimento di isolati episodi di cronaca o di degrado urbano, danneggiando l’immagine della capitale d’Italia e dei sui abitanti.
D. «Mettersi al servizio della gente» è la traduzione del concetto anglosassone del «civil servant» che definisce, o almeno dovrebbe definire, l’essenza della funzione pubblica. Eppure mai come in questo momento la distanza fra istituzioni - per non parlare della politica - e cittadini è sembrata così grande. È una distanza che sente anche lei nel suo lavoro? Se sì, è possibile e in che modo colmarla o almeno ridurla?
R. Ho sempre pensato e detto ai miei collaboratori che i poteri attribuiti alla Prefettura e al prefetto vanno esercitati per «servire» i cittadini. Ho detto, altresì, che la nostra autorevolezza deriva dalla qualità del servizio che prestiamo e non dal potere che l’ordinamento ci attribuisce. Sono certo che in questi cinque anni ci siamo tutti impegnati a dare concretezza a questi principi.
D. Parliamo delle «emergenze»: a memoria, negli ultimi anni, si è parlato di «Roma stuprata», di «invasione Rom», di «emergenza manifestazioni». Delle prime due ormai, non si parla più perché sono state risolte; e se sì come? O perché prima erano state artificiosamente, e anche mediaticamente, amplificate? Per motivazioni sostanzialmente politiche?
R. Come ho già detto, le Forze dell’Ordine e la Prefettura si sono impegnate al massimo e ritengo che non si potesse richiedere di più in considerazione dei tanti rilevanti ed imprevedibili avvenimenti di cui la capitale è stata teatro, quali i grandi eventi sportivi e non, le dimissioni del Papa, la crisi della politica e la crisi economica. Ciononostante, lo sforzo posto in essere ha fatto sì che sia stato assicurato un sereno ordine sociale.
D. Relativamente alle manifestazioni, ogni volta che si presenta un’emergenza ci si torna a dividere fra chi sostiene il diritto di manifestare sempre e comunque, specialmente a Roma, e chi invece vorrebbe impedire a priori lo svolgersi di manifestazioni il cui sbocco violento è largamente prevedibile. E poi, ad evento accaduto, fa la contabilità dei danni. Lei si è sempre schierato fra i primi. Ma il conto da pagare non rischia di essere troppo elevato?
R. Il diritto di manifestare, costituzionalmente garantito, è inviolabile purché sia esercitato nel rispetto della legalità. Spesso siamo costretti ad adottare misure idonee a prevenire atti di violenza, o almeno a limitarne la portata offensiva, per contrastare quei pochi soggetti facinorosi che talvolta si infiltrano nei cortei pacifici. L’auspicio è che si possa sempre instaurare un efficace dialogo tra i manifestanti e le forze dell’ordine.
D. Negli ultimi mesi lei si è dovuto confrontare con una particolare tipologia di manifestazioni, quelle calcistiche. Possibile che nel nostro Paese, non solo a Roma, per una partita di pallone si debbano mobilitare ogni volta migliaia di agenti? Di chi sono, a suo avviso, le responsabilità? E come si può uscire da una situazione che, negli altri grandi Paesi civili, è stata ampiamente superata?
R. È vero, è un problema che ancora, ahimé, coinvolge il nostro Paese. I decreti Pisanu, a cui ho lavorato a suo tempo, hanno certamente migliorato la situazione e favorito la riduzione del numero delle Forze dell’Ordine negli stadi; ma non mi sento di dire, anche alla luce dei comportamenti delle tifoserie romane, che l’obiettivo perseguito si sia realizzato: l’uscita dagli stadi degli operatori di polizia. Certamente la partita di calcio continua ad essere, da una parte, l’occasione per scaricare tensioni sociali, ma anche per delinquere impunemente; non è sempre facile, nonostante le molteplici apparecchiature tecniche, individuare, in presenza di una gran massa di persone, i responsabili di iniziative illecite o non consone a una società civile. Una maggiore attenzione da parte degli organi preposti e da parte di coloro che, a vario titolo, operano nel mondo del calcio, unitamente ad iniziative culturali, possono essere utili per isolare i violenti e gli «urlatori».
D. Infine, nelle sue parole di 5 anni fa lei faceva riferimento a un «intenso dialogo» con le istituzioni locali. Quali erano e quali sono le finalità di tale dialogo? Come si è espresso in questi anni? Che tipo di interlocutori ha trovato? E le loro estrazioni politiche hanno fatto una qualche differenza?
R. In un momento storico difficile come quello che stiamo vivendo, credo fortemente che proprio le Istituzioni debbano dimostrare, per prime, di privilegiare il metodo del dialogo e del confronto, innanzitutto tra di loro. Un alto grado di interazione tra pubblici poteri, infatti, fornisce ai cittadini non solo un esempio comportamentale di buona pratica da imitare nelle relazioni di qualsiasi genere, ma innesca un circolo virtuoso tra Pubbliche Amministrazioni che si riverbera positivamente sulla collettività in termini di servizi più efficaci.
D. Quali sono gli obiettivi che il prefetto di Roma si pone nei prossimi anni di attività? Al di là delle notazioni personali, quali sono gli impegni che Roma è chiamata ad affrontare nel prossimo futuro?
R. Continuare il dialogo con tutti è assolutamente indispensabile, non solo con le varie autorità competenti, ma anche con quelle frange prive di riferimenti istituzionali, al fine di comprenderne le esigenze e intercettarne le istanze in modo da fornire una risposta comunque compatibile con gli interessi generali.