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paola sansoni: cna impresa-donna italia, più credito alle donne

Paola Sansoni, segretario nazionale di CNA Impresa-Donna

Imprenditoria femminile, il nuovo passo dell’Italia deve ripartire da qui. Non è uno slogan, assicura Paola Sansoni, confermata da poche settimane alla guida nazionale di CNA Impresa-donna. I traguardi legati alla presenza femminile nel mondo dell’impresa, precisa, vanno perseguiti «senza alcuno spirito rivendicativo»: l’obiettivo è fare in modo che le significative potenzialità del fattore donna diventino una freccia all’arco della rinascita del Paese. «I numeri parlano chiaro e sintetizzano una realtà fatta di risultati tangibili e profitti in crescita per le signore che si cimentano nella sfida di fare impresa–fa il punto la Sansoni–. Le loro eccellenze, tratti tipici del management al femminile, sono molteplici: minore propensione ai rischi economici e maggior cautela negli investimenti rispetto ai colleghi uomini. E poi l’attenzione alla qualità dei processi, dei prodotti e dei servizi, ma anche la sensibilità per le risorse umane, per il mondo e per il territorio circostanti. Senza mai perdere di vista la cura per la qualità del lavoro e dell’organizzazione d’impresa in generale».
Tanto che le aziende in rosa, spiega la Sansoni, aumentano nonostante la crisi. E in parte perfino per effetto di essa. «Basti pensare–ricorda–a quante donne reagiscono alla disoccupazione o alla perdita del lavoro fisso con l’inventiva, con l’iniziativa, con la voglia di intraprendere una nuova strada, per quanto difficile». Ma la buona volontà non può certo bastare, oggi più che mai. «Se vogliamo davvero rendere le imprenditrici protagoniste della nuova crescita italiana, dobbiamo intervenire su due nodi fondamentali: l’accesso al credito e il welfare». Forlivese, Paola Sansoni dal 1993 è titolare di Studio Immagine, azienda specializzata in servizi pubblicitari e promozionali per le imprese.
Nel 2010 ha costituito una seconda società, che ha come oggetto la gestione a 360 gradi dei servizi per il mercato virtuale personalizzato per le aziende. Il tutto di pari passo con l’impegno svolto nella CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato, in vista di mete a misura di impresa femminile.
Domanda. Donne imprenditrici, sempre più numerose e sempre più brave. Sono i numeri a confermarlo?
Risposta. Certamente. L’Italia, nella quale la disoccupazione si attesta ormai a livelli insostenibili e dove soprattutto le donne faticano a trovare spazio nel mondo del lavoro, sembra aver individuato una soluzione di respiro e di prospettiva nell’impresa femminile. Le donne vogliono il progresso e il cambiamento. Non si rassegnano facilmente alla disoccupazione o al licenziamento e cercano, oggi più che mai, l’innovazione, la rigenerazione e l’affermazione. E la naturale risposta a tutto questo è proprio l’avvio di una propria iniziativa imprenditoriale. Una recente ricerca dell’Unioncamere afferma testualmente che le imprese femminili continuano ad avere un «passo più veloce rispetto al totale delle imprese», mantenendo un segno di crescita positivo. I dati dell’Osservatorio sull’imprenditoria femminile, poi, oltre al saldo positivo pari a circa 5 mila unità in più in un anno, mostrano anche la tendenza al rafforzamento strutturale del modo di fare impresa al femminile, testimoniato da un consistente incremento delle società di capitali di donne.
D. Basta questo andamento?
R. No di certo, c’è ancora tanto da fare. Ma ne vale la pena per il Paese. È di tutta evidenza che più donne lavorano, più crescerà la richiesta di servizi con conseguente circolo virtuoso dell’economia. Si stima, ad esempio, che l’ingresso nel mercato del lavoro di centomila donne oggi inattive farebbe crescere il prodotto interno di 0,3 punti percentuali all’anno, consentendo di finanziare un incremento del 30 per cento della spesa pubblica per le famiglie.
D. Questa espansione riguarda anche i settori della produzione manifatturiera? Esistono ancora ambiti considerati non a misura di donna?
R. Non soltanto in diverse ricerche, ma anche dallo stesso sistema delle imprese associate che la CNA rappresenta emerge con chiarezza una realtà in forte evoluzione. Le imprenditrici di oggi non sono più collocate e confinate esclusivamente nei settori ritenuti tradizionalmente a loro più congeniali, come le attività di cura alla persona e i servizi, ma emergono con buoni risultati anche in contesti diversi, convenzionalmente maschili. Basti pensare alla meccanica, all’informatica, all’edilizia, ai trasporti, all’installazione, all’impiantistica. Non solo. Qualcosa cambia nella formulazione giuridica delle società: sebbene resti la preferenza per la ditta individuale, si registra comunque un costante aumento del passaggio alle società in nome collettivo e a responsabilità limitata.
D. Quali i lati vincenti delle imprenditrici di successo?
R. Sappiamo non da oggi che le donne spiccano sul piano della cultura, della preparazione e competitività negli studi. A causa della crisi economica, negli anni più recenti è risultata evidente la necessità di puntare su nuovi modelli di sviluppo adatti a valorizzare le capacità competitive del nostro sistema di piccole e medie imprese. In questo campo le imprenditrici possono far emergere, in presenza ovviamente di un contesto favorevole, molti tratti tipici delle loro attitudini a fare impresa, come la peculiare sensibilità, che si rivela un’arma vincente per molti aspetti.
D. In che modo può essere utile?
R. Le donne alla guida di un’azienda possono indubbiamente fare leva su un innato e sottile intuito per individuare e interpretare il mercato e, nello stesso tempo, per individuarne con anticipo tendenze, prodotti e servizi innovativi. Ma non solo. Viviamo in un momento di notevole contrazione economica e questo crea notevoli problemi per l’accesso al credito, che le banche il più delle volte non concedono in maniera adeguata. Rispetto agli uomini le donne hanno, per natura, una minore propensione al rischio. Dunque chiedono più contenuti finanziamenti esterni, cercando di utilizzare di più le forze interne, derivanti dai propri patrimoni anche familiari. E riescono ugualmente a fare impresa. Questo aspetto le facilita enormemente, visto che non si può più costruire tutto con finanziamenti esterni.
D. Che cosa intende dire?
R. Siamo in un Paese in cui purtroppo certi condizionamenti culturali sono ancora pesanti e di ostacolo ad una vera parità di condizioni, anche per quanto riguarda le attività imprenditoriali. È infatti la parità di trattamento l’obiettivo da perseguire, non un privilegio speciale per le donne. Ma purtroppo siamo ancora lontani. Nei rapporti con le banche, in particolare, si può dire che per la donna la stretta creditizia incide due volte, proprio perché alle donne vengono concessi minori finanziamenti, pur di fronte a una minore domanda di credito rispetto a quella degli uomini. Ma ciò che reputo inaccettabile, oltre che penalizzante, è un’ulteriore ingiustizia: il costo del denaro per le donne imprenditrici è più elevato che per gli uomini. Un malcostume che non ha nessuna logica ma è solo conseguenza di un grave deficit culturale e di assenti pari opportunità.
D. Come pensa si possa rimediare?
R. Non ho mai pensato che le donne debbano godere di vantaggi o facilitazioni, ma che l’Italia, per il bene del Paese, deve essere pronta a compiere finalmente un salto che altri Paesi europei hanno già compiuto. Mi riferisco a quegli Stati in cui si sono creati contesti più favorevoli al lavoro anche imprenditoriale delle donne, dimostrando che la rimozione degli ostacoli al lavoro femminile determinano risultati sorprendenti di crescita economica. Fin dalla nascita l’Unione europea ha posto tra i propri principi fondamentali l’uguaglianza tra uomini e donne, le pari opportunità nel lavoro, la diversificazione delle scelte professionali delle donne, il loro accesso al lavoro autonomo, la formazione imprenditoriale.
D. Come trovare un punto di incontro tra banche e imprese?
R. Dai dati del recente studio della Banca d’Italia e dell’indagine trimestrale che compiamo con l’Artigiancassa si evince che l’accesso al credito per le imprese femminili è ben più arduo rispetto a quello della totalità delle imprese. Il numero delle imprenditrici che nel secondo trimestre 2013 hanno chiesto credito alle banche è diminuito rispetto alla precedente rilevazione. Tra le imprenditrici si registra una percentuale più alta di risposte negative: soltanto il 16,5 per cento di loro vede accolta per l’intero ammontare la propria richiesta rispetto al 20,6 per cento del totale delle imprese. Ottenuto il credito, il tasso di interesse spesso è più alto o vengono richieste maggiori garanzie. Un paradosso ingiustificato, tenuto conto dell’alta solvibilità delle imprese femminili, poco propense al rischio e più affidabili rispetto al trend della totalità delle aziende italiane.
D. Quali soluzioni intravede?
R. Le banche negano la fondatezza di quanto ho descritto. Non è facile ribaltare questo sistema ma un passo da compiere, con il contributo delle istituzioni, è il dialogo tra imprese e sistema bancario per definire un trattamento paritario da parte degli istituti bancari, senza distinzione di genere, nella concessione di finanziamenti alle imprenditrici. Bisogna agire in modo duplice: superare il problema culturale e intervenire in modo pragmatico, con risposte tecniche tempestive. Di recente è stato compiuto un passo avanti, su cui riponiamo molte speranze. La CNA ha apprezzato l’istituzione, presso il Fondo centrale di garanzia, di una Sezione dedicata alle imprese femminili. Il coinvolgimento dello Stato che si fa garante delle nostre istanze è un segnale. Ci aspettiamo che l’iniziativa favorisca lo sviluppo delle imprese femminili al servizio della competitività del Paese. Auspichiamo che i 20 milioni di euro finora stanziati siano solo il primo passo di un metodo da perseguire anche in futuro.
D. Quale ruolo può svolgere la CNA nel sostegno all’impresa?
R. Quello appena citato è un esempio di intervento dello Stato a garanzia dell’impresa. A fianco di esso c’è la possibilità che sia la stessa associazione a contribuire alla valorizzazione dell’impresa apportando elementi di valutazione non solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa. In questo senso insieme con l’Artigiancassa abbiamo avviato un progetto che dovrà essere ulteriormente potenziato e diffuso, e che potrà diventare un esempio da estendere a tutto il sistema bancario.
D. Quali sono le proposte per il welfare?
R. Il welfare è un problema storico, basato anch’esso sul fattore cultura. Perché il welfare va considerato un’esigenza della società nel suo insieme, con l’obiettivo di riequilibrare i ruoli di uomo e donna nella gestione dei compiti familiari. Da alcuni anni si stanno sviluppando famiglie in cui l’uomo partecipa in misura mai vista prima alla vita familiare e alla cura dei figli, ma la società italiana è ancora sbilanciata in favore di una rilevante asimmetria nel ruolo di cura della famiglia, che pesa per l’80 per cento sulla donna. Sembra che non si sia ancora capito che il welfare è un nodo essenziale per le donne lavoratrici, che hanno bisogno anzitutto di conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro. Questo diventa più complesso per le imprenditrici rispetto alle lavoratrici dipendenti. Avendo introdotto pochissime novità di genere, dai congedi di paternità ai voucher per i servizi dell’infanzia, lontane da una chiara e strutturata politica per il welfare, le riforme degli ultimi anni non hanno risolto questo nodo oltre ai complessi problemi legati alla maternità. Non dimentichiamo che tante donne si prendono cura anche dei propri genitori anziani. In tutto questo le imprenditrici sono lasciate sole.
D. Come si articola la proposta che CNA Impresa-donna ha messo a punto proprio per un welfare più inclusivo e efficace?
R. La premessa è che noi non pensiamo che si debba percorrere ostinatamente la via delle agevolazioni dello Stato. Bisogna vedere nel welfare un ambito in cui sperimentare nuove forme di progettazione economico-istituzionale e di finanziamento non esclusivamente né necessariamente pubblico. È questo il campo in cui correggere carenze e distorsioni che caratterizzano il complesso di normative su congedo, maternità, regolazione degli orari. Ma il punto è che va favorito il privato laddove il pubblico è insufficiente. Un modello del genere costituirebbe nello stesso tempo anche un volano per la nascita di nuove imprese, spesso femminili, creando occupazione e dunque crescita. Un tale sistema potrebbe essere reso più accessibile alle imprese femminili ipotizzando meccanismi di deduzione dei costi dei servizi di welfare dal computo del reddito complessivo dell’imprenditrice. Dunque un modello che consideri la necessità dei servizi di welfare come elemento riferibile non solo alla persona, ma anche all’impresa. E risolvere i nodi del welfare può essere la carta decisiva per attuare il principio europeo del «gender mainstreaming» come strategia trasversale di tutte le politiche.  

Tags: Gennaio 2014 donne imprese imprenditoria

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