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FAMIGLIE,
IMPRESE E SVILUPPO

DOPO LE IMPOSIZIONI DELL'EBA LA BCE AIUTA LE BANCHE, MA I CLIENTI
CHI LI AIUTA?

 

di FABIO PICCIOLINI
responsabile Credito e Finanza dell’ADICONSUM

Le banche italiane hanno ottenuto
in prestito dalla BCE per tre anni 116 miliardi di euro al tasso
dell’uno per cento.
Le imprese e le famiglie
sperano che una parte
di questa ingente liquidit
à venga usata dagli istituti
di credito per ridare fiato
all’economia nazionale

 

ul sistema bancario italiano si può dire molto. In positivo, che ha retto meglio di altri sistemi la crisi economica, che ha avviato, anche grazie all’Unione europea e alla Banca d’Italia, un sistema per riequilibrare il rapporto con il cliente. In negativo, che ora ha molta difficoltà a reggere la crisi economica e lo stesso sistema, rispetto alla clientela, è ancora molto lungo e molte sono le norme da modificare. Ciò detto, è però necessario spendere alcune parole quando, per motivi scarsamente comprensibili, anche la clientela è sottoposta, sia pure indirettamente, a un «attacco» assolutamente dannoso, se non pericoloso.
È il caso della Raccomandazione dell’EBA, l’autorità bancaria europea, che impone l’aumento del capitale sociale di molte banche europee per complessivi 114 miliardi di euro. Anche se la finalità è di ricostruire fiducia nei sistemi bancari ed è una misura temporanea ed eccezionale, non doveva essere emanata in questo periodo; e soprattutto, tenuto conto che le risposte dovevano essere date il 20 gennaio 2012 e l’operazione conclusa entro il 30 giugno di quest’anno, affronta il problema della patrimonializzazione del sistema bancario cambiando per l’ennesima volta le regole in maniera inadeguata, inutile come dimostra il «fallimento» di alcune banche, ad esempio Dexia, e per alcuni aspetti sbagliata, rischiando solo di aggravare la crisi e di ridurre la concessione di credito già fortemente contingentata.
Significativa la presa di posizione della Banca d’Italia, molto più severa con il sistema bancario di altre banche centrali nazionali, in merito alla necessità di armonizzare le singole regole nazionali prima di procedere alla ricapitalizzazione. Prevedendo di far fronte, al prezzo di mercato, all’esposizione in atto il 30 settembre 2011 verso il debito pubblico dei singoli Stati, la norma fa pagare al sistema bancario una crisi che travolge principalmente gli Stati e quindi i titoli da questi emessi che le banche acquistano spesso sulla base di precisi accordi tra i due soggetti. Una disposizione che ha, alla base, una disomogenea valutazione delle attività ponderate per il rischio a causa della diversità delle varie normative nazionali.
La Raccomandazione stabilisce che le banche costituiscano un «cuscinetto eccezionale temporaneo» di capitale per far fronte alla loro esposizione verso gli Stati. L’accantonamento deve essere costituito sulla base del prezzo di mercato di quei titoli al 30 settembre 2011. In questo senso, se il riferimento non fosse stato il 30 settembre ma ad esempio una data successiva al Consiglio europeo dell’8 dicembre 2011 e dopo le elezioni in Spagna e le misure del Governo Monti in Italia, con certezza le necessità di patrimonializzazione sarebbero state molto più contenute. Tutto ciò nonostante che la stessa EBA avesse evidenziato, all’atto degli «stress test», che le autorità nazionali hanno criteri disomogenei di determinazione delle attività ponderate per il rischio, il cosiddetto floors, per i diversi modelli di rating interni adottati, Irb e Ama. Una situazione, questa, che può deformare la reale struttura del capitale per un’inappropriata indicazione della reale esposizione al rischio.
Una scelta che, peraltro, non risolve i problemi perché solo il superamento della crisi, l’introduzione di una legislazione europea sempre più uniforme, il superamento delle singole difficoltà nazionali e la cessione dei titoli tossici consentiranno di recuperare la stabilità dei sistemi bancari. Infine la decisione dell’Eba viene meno a uno dei suoi pilastri, la protezione del consumatore che si affianca alla stabilità finanziaria e all’armonizzazione e supervisione delle regole, poiché il costo delle ricapitalizzazioni non potrà che ricadere sulla clientela bancaria, sugli azionisti, tra i quali particolarmente in Italia sono presenti con notevoli capitali anche gli enti locali che, già stretti dalla crisi e dalla forte diminuzione degli stanziamenti dello Stato, dovranno compiere esborsi per partecipare alle ricapitalizzazioni, salvo ridurre la presenza delle singole banche nel loro territorio.
Scendendo nei particolari delle previsioni della Raccomandazione, la riduzione del valore di mercato, mark to market, di titoli di Stato nel calcolo del patrimonio penalizza soprattutto le banche italiane che pagano l’aumento degli spread dei titoli di Stato e accresce la volatilità dei titoli stessi. Rasenta poi l’illogicità la previsione dello stesso parametro del 9 per cento come coefficiente sia del «core Tier 1» - la parte di patrimonio composta dal capitale azionario e dalle riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte -, sia per le banche che operano soprattutto nel retail e nei finanziamenti all’economia reale come le italiane, sia per le banche di investimento che operano invece con alto rischio e leve finanziarie doppie e triple di quelle italiane. In sostanza, secondo l’EBA le banche che hanno titoli di Stato dei Paesi a maggior rischio sono come quelle che hanno portato alla crisi del 2008. Insomma non c’è differenza tra gli istituti che finanziano l’economia reale e quelli invece che compiono investimenti speculativi.
Si pensi, poi, alla previsione di riportare minusvalenze solo teoriche, considerata la possibilità di rimborso alla pari alla scadenza dei titoli, quindi senza nessuna perdita; nello stesso tempo è consentita la rivalutazione dei titoli ugualmente rimborsabili alla pari alla scadenza. In tale ambito non si comprende come possa essere applicata la stessa ponderazione per i titoli di Stato usati nelle negoziazioni e quelli immobilizzati che saranno rimborsati, alla pari, alla naturale scadenza.
Il combinato delle varie previsioni della Raccomandazione avrà un effetto non anticiclico, come si chiede alle Autorità e alle Istituzioni nei momenti di crisi, ma pro-ciclico, producendo come primo effetto un’ulteriore contrazione del credito, con tutte le conseguenze che questo può provocare alle imprese e alle famiglie. In campo nazionale, l’ammontare complessivo delle rivalutazioni è di 15,36 miliardi di euro, di cui di 3,267 miliardi per il MPS, 7,974 per l’Unicredit, 1,393 per l’UBI, e 2,731 per il Banco Popolare.
Una situazione che rasenta l’illogicità, tenendo conto che il Gruppo Monte dei Paschi di Siena ha un core Tier1 del 10,6 per cento rispetto al 9 per cento previsto, in quanto sono compresi i Tremonti bond, ossia le obbligazioni bancarie speciali emesse dagli istituti di credito quotati sottoscritte dal Ministero dell’Economia con l’obiettivo di rafforzare il capitale di vigilanza, 5 miliardi, delle banche emittenti. Altrimenti il core Tier1 sarebbe del 6 per cento.
Per raggiungere i requisiti chiesti dall’EBA servono 3,2 miliardi e il Monte dei Paschi di Siena ha previsto di agire su più fronti: utilizzare il fondo di riserva per il sovraprezzo di emissione, convertire le azioni di risparmio, agire per un prestito obbligazionario. Decisioni rilevanti ma insufficienti. L’Unicredit sta agendo, invece, attraverso un aumento di capitale e la ristrutturazione dei cashes «Convertible and subordinated hybrid equity-linked securities», strumenti finanziari ibridi.
Rasenta il paradosso il fatto che le stesse banche tedesche dovranno patrimonializzarsi per cifre notevoli; ad esempio la Commerzbank dovrà ricapitalizzarsi per 5,3 miliardi e la Deutsche Bank per 3,2. Per tale motivo, ora che il problema riguarda anche la Germania, l’Associazione bancaria tedesca ha assunto una posizione simile a quella italiana; paradosso, tenuto conto che larga parte dell’attuale crisi è dovuta alla rigidità della Germania che costringe, ad esempio, la Banca Centrale Europea ad immettere liquidità invece che ad intervenire direttamente sui titoli del debito pubblico dei singoli Stati aderenti all’Unione.
La soluzione che almeno per il momento sembra trovata è, infatti, un’immissione di liquidità illimitata da parte della Banca Centrale Europea che, se da un lato potrà consentire di evitare la chiusura del credito, dall’altro creerà un circolo vizioso: con la liquidità ottenuta gli intermediari compreranno i titoli di Stato che è necessario immettere sul mercato, ma che saranno ponderati nel bilancio della banca con un indice più basso, creando la necessità di una successiva, ulteriore patrimonializzazione.
La Banca Centrale Europea nello scorso dicembre ha concesso in prestito a 523 banche 489,91 miliardi di euro per tre anni al tasso di interesse dell’uno per cento; le banche italiane avrebbero ottenuto 116 miliardi. Prestiti, questi, che potranno essere garantiti anche da titoli con scarso valore di mercato, come i titoli di Stato, anche quelli ritenuti a rischio come quelli italiani. Inoltre le banche centrali nazionali, quindi anche la Banca d’Italia, potranno prestare garanzia anche con i titoli non accettati da quella europea. Le banche italiane, ad esempio, potranno dare in garanzia le obbligazioni emesse e ora garantite dallo Stato.
In questo modo il sistema bancario potrà sostenere il collocamento dei titoli del debito pubblico. Ciò detto, non è contraddittorio però affermare che comunque le banche hanno bisogno di quel capitale per sostenere l’economia reale.
Qui nasce il dilemma del sistema bancario. La soluzione più semplice è di usare i miliardi presi in prestito all’uno per cento per comprare titoli di Stato italiani che rendono circa il sei per cento. Guadagno netto, senza alcun rischio, oltre il cinque per cento. Guadagno, certo, ma senza alcun contributo per la ripresa del Paese. La liquidità data alle banche può essere, infatti, usata per rendere liquidi i mercati evitando il loro blocco, quello che sostanzialmente avviene oggi.
Se, oltre a partecipare al collocamento dei titoli pubblici, le banche riservassero parte della nuova liquidità a buon mercato alla propria clientela, si potrebbe ridare fiato a un sistema di imprese ormai al collasso per la mancanza di produzione a causa degli scarsi ordini, per le troppe tasse e per l’eccessivo costo del credito bancario. Un uguale «aiuto» può essere concesso alle famiglie, che ormai non riescono più a far fronte non solo alla normale vita familiare, ma anche al pagamento dei debiti a causa della forte perdita del valore delle retribuzioni e degli stessi motivi che hanno le imprese, cioè fiscalità e costo del credito bancario.
Finanziare l’economia, aiutare coloro che non riescono a far fronte ai propri impegni, favorire la nascita di nuove imprese finanziando i giovani preparati, applicare costi sostenibili a tutta la clientela: questo è quello che un sistema bancario, che continua ad affermare di essere sano, dovrebbe fare senza speculare, ma riprendendo quella funzione sociale cui si appella continuamente, recuperando lo spirito del 1472 quando in Italia nacque la prima banca contro l’usura e a favore dell’economia locale.

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