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TERRORISMO
Benefici penitenziari anche
agli eversori non violenti


di Antonio Marini

Secondo la Suprema Corte
di Cassazione, gli autori dei delitti
commessi con finalità terroristiche
e di eversione dell’ordinamento
democratico sono esclusi dai benefici penitenziari soltanto
se questi stessi delitti sono stati commessi mediante il concreto
compimento di atti di violenza

Benefici penitenziari anche
agli eversori non violenti

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, gli autori dei delitti
commessi con finalità terroristiche e di eversione dell’ordinamento
democratico sono esclusi dai benefici penitenziari soltanto
se questi stessi delitti sono stati commessi mediante il concreto
compimento di atti di violenza

l concreto compimento di atti di violenza, quale specifico strumento di finalità terroristiche o eversive, è requisito necessario perché operi il divieto alle misure alternative al carcere, secondo quanto previsto dall’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario. L’ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 45.945, depositata il 12 dicembre 2011, con la quale ha accolto il ricorso di un eversore toscano, condannato per atti intimidatori nei confronti di alcuni esponenti politici.
La fissazione di tale principio di diritto trae origine da una decisione del Tribunale di sorveglianza di Torino, che il primo dicembre 2010 aveva dichiarato inammissibili le istanze di misure alternative - affidamento in prova e semilibertà - presentate dal difensore, sul rilievo che il titolo del reato, la cui pena era in espiazione, risultava ostativo alla concessione di tali benefici. Rilevava in tal senso il predetto Tribunale, a sostegno della propria decisione, che la ratio del divieto di cui al citato 4 bis corrispondeva perfettamente alla natura del delitto previsto dall’articolo 270 bis del Codice penale - associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico -, qualificabile a pericolo presunto, ex se, a prescindere dal compimento di specifici atti di violenza.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per Cassazione, deducendosi la violazione di legge, posto che l’articolo 4 bis prevede, nell’elencazione dei titoli di reato escludenti i benefici, i delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, «mediante il compimento di atti di violenza», circostanza questa non presente nel caso di specie. Accogliendo il ricorso la Suprema Corte ha escluso che il reato associativo previsto dall’articolo 270 bis debba ritenersi ricompreso ex se nell’elenco dei reati ostativi, a prescindere dal compimento di atti di violenza, stabilendo che il divieto dei benefici penitenziari opera solo nei casi in cui i delitti per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico siano stati commessi mediante concreti atti di violenza.
A tale conclusione conducono sia la lettura ermeneutica della norma, sia il quadro sistematico, sia infine un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma medesima. Secondo la Cassazione, la lettura interpretativa dell’articolo 4 bis sul punto in esame rende del tutto evidente che il brano «mediante il compimento di atti di violenza» è strutturalmente connesso a tutta la disposizione. Sicché, una piena lettura del brano stesso evidenzia che il divieto riguarda esclusivamente i delitti commessi mediante il compimento di atti di violenza.
Una diversa interpretazione della norma, che isolasse il primo brano («delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico»), attribuendogli una forza autonoma in grado di per sé di escludere i benefici in questione, lascerebbe senza riferimento (ma anche senza senso) il successivo brano: «mediante il compimento di atti di violenza».
Lo stesso deve dirsi con riguardo ad un’interpretazione che intendesse legare quest’ultimo brano ai soli delitti di eversione dell’ordine democratico, scindendoli dai delitti commessi per finalità di terrorismo. Una simile operazione sarebbe assolutamente incongrua, oltreché inconciliabile sotto il profilo logico giuridico, per la semplice ragione che la legge accomuna ed equipara il terrorismo e l’eversione, sicché non sarebbe lecito scindere le due categorie sia pure ad altri fini. Peraltro, sotto il profilo sistematico, la Corte ha rilevato che lo stesso articolo 4 bis pone, subito dopo il passo appena esaminato, il delitto di associazione mafiosa di cui all’articolo 416 bis, come ostativo ex se ai benefici penitenziari, senza indicazione al compimento di atti di violenza, pur fisiologici a tale tipo di reato.
Tale differenziazione non può essere casuale, né senza significato. Per cui si deve ritenere che il legislatore, nell’affrontare i due temi - terrorismo ed eversione da un lato, mafia dall’altro - li ha voluti trattare in modo diverso, essendo per la verità differenti i due fenomeni, sia sul piano sociale che su quello criminologico. La mafia va combattuta sempre e comunque, non avendo essa né giustificazioni né ideologie di riferimento, e dunque non merita neppure benefici in sede di esecuzione della pena, fatta salva la collaborazione.
Per il terrorismo o l’eversione si è evidentemente voluta evitare la prospettiva, ove si prescindesse dai concreti atti di violenza, di una criminalizzazione, perseguita fino al momento dell’espiazione della pena, del mero dissenso ideologico politico-sociale, che si sia manifestato in forme associative pur pericolose, in quanto si propongono la commissione di azioni violente, tuttavia non sempre attuate in concreto.
Emerge dunque un’evidente logica normativa, anch’essa coerente con la lettura interpretativa del brano in questione, della quale va preso atto, senza possibilità di sovrapposizioni meramente soggettive. Del resto, risulta quanto mai significativo che proprio l’articolo 270 bis da un lato punisca, quale reato a difesa anticipata, il mero fatto dell’associazione finalizzata, distinta dagli atti di violenza eventualmente commessi, che si pongono in concorso materiale con il reato associativo, dall’altro equipari totalmente le finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico quali elementi alternativamente essenziali alla fattispecie di reato.
Ne consegue che l’effettivo e concreto compimento di atti di violenza ben può essere posto dal legislatore quale ulteriore requisito, per il maggior disvalore che rappresenta, necessario per l’ostatività dei benefici penitenziari. Peraltro, tenuto conto delle finalità di recupero sociale cui l’intera normativa penitenziaria è ispirata, non si può ignorare che la concreta mancanza di atti di violenza nel vissuto deviante del condannato è un favorevole punto di partenza che non può essere eluso in funzione di un positivo percorso di risocializzazione.

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