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FERNANDO D'OLIVEIRA NEVES:
PORTOGALLO E ITALIA PER UN'EUROPA
PIÙ SOLIDALE

a cura di
LUCIANO DI DOMENICO

?Fernando d’Oliveira Neves,
ambasciatore del Portogallo presso
lo Stato italiano

Lasciando l’Italia
dopo tre anni e mezzo,
l’ambasciatore lusitano
analizza i rapporti
politici, culturali
e commerciali tra
i due Paesi, che sono
del tutto d’accordo
nella difesa e nel
rafforzamento
dell’Unione europea

mbasciatore del Portogallo in Italia, Fernando d’Oliveira Neves lascia l’incarico dopo circa tre anni e mezzo di permanenza e concluderà anche, come ha dichiarato qualche tempo fa, la propria, lunga carriera diplomatica. Una carriera che ha ruotato per la gran parte intorno all’Europa. Il suo primo incarico è stato nel Ministero degli Esteri per preparare l’adesione del Portogallo alla Comunità europea, presso la quale poi è stato inviato in rappresentanza del suo Paese. In quella veste ha operato per preparare la prima presidenza portoghese del Consiglio europeo del 1992, ed è stato portavoce della nuova presidenza portoghese nel 2000. È stato quindi Segretario di Stato degli Affari Europei e successivamente Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri. Ma la tappa più importante della sua carriera è stata la trattativa che ha condotto su mandato delle Nazioni Unite e che si è conclusa con l’indipendenza di Timor Est, piccolo Stato del Sud-Est asiatico, ex colonia portoghese. È stato anche ambasciatore in Angola in un periodo particolare, quando questo Paese era ancora in guerra. Con la Russia e gli Stati Uniti il Portogallo componeva la troika che doveva accompagnare lo Stato africano verso la pace. L’ambasciatore Neves era presente a Luanda alla firma dell’accordo che sancì la fine di ogni ostilità. Oggi l’Angola gode di una grande prosperità grazie anche alle ingenti riserve di petrolio e alle miniere di diamanti di cui dispone, con una crescita annuale del prodotto interno intorno al 12 per cento.
Domanda. Quali sono i rapporti bilaterali tra l’Italia e il Portogallo sul piano politico, commerciale, culturale e turistico?
Risposta. I rapporti politici sono ottimi. Posso dire che le nostre rispettive posizioni in campo internazionale coincidono al 99 per cento. Sul piano commerciale, invece, sono un po’ penalizzanti per noi. Il totale dei rapporti tra import ed export tra i due Paesi ammonta a circa cinque miliardi di euro l’anno, ma il saldo è positivo per l’Italia. Due terzi di questa cifra, infatti, è rappresentata dalle esportazioni italiane verso il Portogallo. Mentre vanno bene i rapporti sul piano turistico: negli ultimi anni si è registrato un incremento medio del 7 per cento dei flussi dall’Italia al Portogallo.
D. E sul piano culturale invece?
R. Devo dire che le soddisfazioni più grandi le ho avute proprio nei rapporti culturali tra i nostri Paesi. Un’intesa formidabile. La cultura portoghese ha un’ottima accoglienza in Italia. Il poeta Fernando Pessoa, ad esempio, è molto conosciuto dagli italiani. Il portoghese è insegnato in più di venti Università in Italia e in molte è la lingua più scelta, dopo l’inglese e lo spagnolo. Molti studenti, inoltre, vanno a studiare nel Portogallo, nell’ambito del progetto europeo Erasmus. Il Portogallo è il Paese ospite di cinque festival del cinema in Italia. E poi non dimentichiamo gli strettissimi legami nel settore dell’architettura: molti professionisti portoghesi lavorano in Italia e molti professionisti italiani in Portogallo; i rapporti sono molto intensi e di reciproca soddisfazione.
D. Lei ha dichiarato che tra tutte le popolazioni dei Paesi che ha visitato o nei quali ha prestato servizio diplomatico, gli italiani sono i più simili ai portoghesi. È così?
R. È proprio così nei rapporti quotidiani con la famiglia, con gli amici, per il senso ludico, la spontaneità e una certa disinvoltura nell’osservanza delle regole. Tra le tante affinità, purtroppo, figura anche la profonda crisi economica che sta debilitando anche i nostri due Paesi, che sono stati costretti ad adottare misure draconiane per ridurre il debito pubblico, imponente nel rapporto con il prodotto interno.
D. Come procede l’attuazione dell’accordo di salvataggio di 78 miliardi di euro da voi siglato nel maggio scorso con l’Unione europea e con il Fondo monetario internazionale?
R. Rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale si recano continuamente in Portogallo per esaminare lo stato di attuazione dell’accordo, che è integralmente e rigorosamente applicato. Abbiamo problemi per la presenza di un deficit ancora al di sopra dei parametri fissati a Maastricht. Occorre però rilevare come nel 2008 il Portogallo avesse un rapporto tra deficit e prodotto interno pari al 2,8 per cento, quindi nel pieno rispetto dei parametri europei. E il debito pubblico era intorno al 66,8 per cento del prodotto interno. Nell’ultimo decennio il Portogallo, come l’Italia, ha incontrato difficoltà nella crescita. Dopo l’adozione dell’euro il mio Paese ha registrato una crescita inferiore a quella media europea, mentre negli ultimi 40 anni del secolo scorso il Portogallo aveva raggiunto l’indice di sviluppo più alto d’Europa. Dal 2006 il mio Paese ha varato riforme strutturali molto significative, ad esempio nel campo della previdenza, delle liberalizzazioni, della sburocratizzazione degli apparati dello Stato. Riforme che tutti gli altri Paesi, compresa l’Italia, stanno compiendo oggi. Poi si è arrivati al 2009, un anno molto difficile per noi come per tutti gli altri Paesi, e il Portogallo ha dovuto aumentare di molto le spese per combattere la recessione economica.
D. Ora come va il vostro deficit?
R. Il rapporto tra debito e prodotto interno, che era sotto il 3 per cento, è salito al 9 per cento. Nel 2010 il Governo ha compiuto grandi sforzi per ridurlo, ma ha voluto mantenere le misure che stimolavano la crescita. E così siamo riusciti ad avere un incremento di ricchezza dell’1,4 per cento, con la riduzione del debito al 6,8 per cento. All’inizio del 2011 l’Europa ha, però, cambiato i metodi di calcolo, e così il nostro debito è risalito, in tale anno, al 9 per cento. Nel 2011 il Portogallo ha portato a compimento e persino superato l’obiettivo fissato nell’Accordo di assistenza finanziaria, ritenendosi che quando i conti siano conclusi si collochi al 4 per cento circa. Ora la differenza di rendimento tra i nostri titoli pubblici e quelli tedeschi, il cosiddetto spread, è intorno ai mille punti. Penso che avrebbero potuto attendere che fossimo usciti tutti dalla crisi, prima di cambiare le regole. E così, alla fine, abbiamo dovuto chiedere l’assistenza internazionale e firmare l’accordo dei 78 miliardi. Siamo stati penalizzati dai mercati e dalle agenzie di rating senza alcuna colpa. Perché noi avevamo i conti in ordine e avevamo attuato le numerose riforme. Ma poiché siamo un piccolo Paese, dall’economia aperta, nessuno si è curato di compiere analisi accurate della nostra situazione. Al riguardo desidero segnalare un episodio. Il mio collega ambasciatore a Londra ha riunito questi esperti delle società di analisi e ha chiesto loro una spiegazione sulle valutazioni che emettevano. La risposta stupefacente è stata che nessuno di loro conosceva la realtà economica e finanziaria del Portogallo.
D. Come giudica la posizione della Germania, molto più preoccupata per la propria economia e le proprie finanze e poco incline a gesti di aperta solidarietà e ad appoggiare decisioni che comportino maggior esborsi di denaro per sostenere i suoi partner in difficoltà?
R. Credo che non sia una questione di solidarietà, ma di mancanza di visione. La Germania è il Paese che più beneficia dell’Unione europea. La stessa cancelliera Angela Merkel ha ricordato che tutti noi, inclusi portoghesi, italiani e greci, avevamo pagato per la riunificazione della Germania. E non l’abbiamo fatto soltanto per solidarietà, ma anche per una questione politica. La pace, l’unità, la crescita sostenibile, la stabilità, si ottengono e si difendono stando tutti uniti. Quando si è divisi la storia ha già dimostrato cosa può accadere. Quello che non riesco a capire è come i tedeschi non comprendano che, se tutto crolla, finiscono male anche loro che hanno le banche piene di titoli di Stato dei diversi Paesi oggi in difficoltà ed esportano in tutta l’area europea ricavandone benefici economico-finanziari superiori a quanto versano nelle casse dell’Unione. Se avessero ancora il marco che, visto quanto accade, avrebbe un alto valore rispetto alle altre monete, i tedeschi venderebbero molto meno merci all’estero e la loro economia ne soffrirebbe. Il premier italiano Mario Monti, che sta operando molto bene a livello europeo, ha detto qualche tempo fa che non è corretto distinguere i Paesi in virtuosi e non, dal momento che la Germania e la Francia sono stati i primi a violare gli accordi di Maastricht.
D. Che cosa pensa Lei della gravissima crisi attuale?
R. Sono totalmente d’accordo con il mio presidente della Repubblica Anibal Cavaco Silva, il quale, in un intervento nell’Istituto Universitario Europeo di Firenze, qualche mese fa ha ricordato gli innumerevoli passi compiuti sulla strada dell’integrazione europea che, in più di cinque decenni, ha garantito il più lungo periodo di pace e di prosperità della storia europea. L’interesse comune ha finora prevalso su quello dei singoli Stati, e dovrà essere ancora più così, ha detto Cavaco il quale, come il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente del Consiglio Mario Monti, è un vero europeista. Solo mantenendo l’integrità dell’Unione Europea, rafforzandone i legami e l’operatività, possiamo continuare a beneficiare della pace e della prosperità degli ultimi sessant’anni.
D. Molti critici sostengono che sia stata l’introduzione dell’euro la vera causa della crisi attuale?
R. Il presidente Monti l’ha ricordato recentemente a Berlino, e l’avevano già fatto il precedente ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi: quello che è avvenuto in Europa è stato per larga parte colpa della finanza selvaggia anglo-americana. Occorre anche dire che l’Unione Europea non aveva gli strumenti per opporre un’efficace difesa.
D. Una delle critiche al Trattato di Maastricht riguarda la creazione di un sistema federale mentre il governo dell’economia è rimesso al senso di responsabilità dei singoli Stati i. Ciò avrebbe determinato situazioni, nei conti pubblici, contrastanti con le prescrizioni comunitarie. Quale è la sua opinione?
R. Dopo Maastricht tutti sostenevano che il Trattato riguardava la stabilità e la crescita, ma era necessario un equilibrio tra stabilità e crescita, mentre si è data più attenzione alla stabilità. Occorrono maggiore coordinazione, una vera governance politica, unica per l’economia dell’Unione. Altrimenti l’euro rischia di non aver la stessa credibilità in ogni Stato membro, a seconda della forza economica dei singoli Paesi. Per svolgere un compito adeguato la Banca Centrale Europea deve avere più poteri e costituire il vero garante dell’euro. Deve comportarsi come una vera banca centrale, unica per tutti i Paesi dell’eurozona. L’Inghilterra ha una situazione peggiore della nostra, eppure grazie alla sua Banca che stampa sterline riesce ad assicurare la stabilità della moneta e a fronteggiare meglio i cicli economici negativi.
D. Come prevede che si chiuderà questo periodo di crisi? Prevarrà la logica della totale solidarietà, foriera di una vera Europa, unita politicamente ed economicamente, con un governo sovranazionale sempre più esteso, o prevarranno logiche campanilistiche che indeboliranno l’Unione Europea frenerandone lo sviluppo?
R. Spero prevalga il buon senso. Credo che anche i banchieri e gli imprenditori tedeschi abbiano tutto l’interesse a rafforzare i poteri dell’Unione Europea, perché anche i Paesi più forti devono temere i rischi di un crollo della casa comune. Speriamo che tutti i responsabili degli Stati dell’Unione capiscano che devono potenziare il ruolo della Banca centrale e che, nello stesso tempo, devono operare affinché siano stabilite regole per disciplinare i mercati finanziari. Occorre evitare una nuova bolla speculativa, frutto di un’eccessiva e letale deregulation dei mercati finanziari. Dall’inizio del secolo ho la sensazione che dobbiamo temere nuove aggressioni: non più quelle belliche, ma finanziarie, altrettanto distruttive del benessere collettivo. Spero che i veri uomini di Stato trovino la via degli accordi per assicurare una prospettiva di stabile progresso alle popolazioni europee.

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