hi non detesta gli evasori fiscali che non partecipano allo sforzo compiuto dagli altri cittadini di contribuire finanziariamente alle spese necessarie per far vivere e funzionare il Paese? Tutti li condannano, nessuno si compiace del loro comportamento; molti di loro si giustificano, però, sostenendo che il fisco, con il proprio farraginoso e ottuso apparato legislativo, non si fa benvolere dai contribuenti onesti e corretti. In conclusione, se si trovano masse contente di frodarlo è difficile trovare chi sia felice di pagare le tasse.
Contro gli evasori si assiste a una continua campagna giornalistica, politica, elettorale, che spesso resta allo stato intenzionale o solo verbale. In Italia chi paga scrupolosamente le tasse, chi non riesce ad eludere il fisco, non lo fa perché ne provi gioia e si senta meritorio di lode e apprezzamento, ma perché è costretto a farlo, non può sfuggire. Nel più dei casi si odia l’evasore per la fortuna o per il coraggio che ha di farlo.
Su questo fenomeno umano si sovrappone l’azione di tre categorie di persone: gli appartenenti alle istituzioni che non possono predicare diversamente; i politici a caccia di benemerenze ossia di voti; i giornalisti divisi in due sottogruppi, quelli che condannano gli evasori perché, come tutti, li odiano irriflessivamente, e quelli che lo fanno solo apparentemente ma che, se potessero, non sarebbero da meno. Sparlare del fisco in Italia è uno sport popolare, è consentito da secoli; scriverne male è pericoloso, si può essere incriminati del reato di istigazione a violare leggi fondamentali dello Stato, necessarie alla sopravvivenza di tutti.
Addirittura la «prima» legge dello Stato, ossia la Costituzione, riconosce la «sacralità» delle tasse, sottraendone le leggi istitutive alla possibilità di abrogazione attraverso il referendum popolare. Ma in questo caso si presume trattarsi di tasse giuste, essenziali, necessarie all’esistenza e al funzionamento dello Stato; su quelle che esorbitano da tali scopi, che sono invece ingiuste, ingiustificate, dirette a scopi voluttuari, personali, partigiani, il discorso non può non essere diverso.
Poniamo l’esempio di imposte e tasse varate esclusivamente per alimentare spese superflue, inutili, talvolta addirittura dannose per la collettività; o il cui gettito vada a foraggiare organismi e personaggi parassitari; o che venga sottratto subdolamente ad altre più necessarie e indispensabili funzioni e destinazioni. Si assiste ogni giorno a una valanga di sprechi, cominciamo ad esempio da uno dei supremi organi dello Stato prescritti dalla Costituzione, il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro che ha pari rilevanza costituzionale, ma non certo utilità, di Presidenza della Repubblica, Governo, Parlamento, Consiglio Superiore della Magistratura.
Sin dalla sua istituzione è stato inutile, costoso, e ad oltre 60 anni dall’istituzione serve solo a elargire «sine cura» ai reduci della politica e dei sindacati. Inutili sono anche altri organi, elettivi o meno come Province e Comunità montane; ma almeno le Province dopo la guerra furono ancora utili allo Stato e alla popolazione. La Costituzione aveva previsto anche le Regioni ordinarie, ma per oltre un ventennio non se ne avvertì affatto il bisogno, e certamente il Paese non andava peggio di oggi.
Poi si teorizzò il concetto di democrazia partecipata, in base al quale se l’eletto dal popolo non è retribuito, non cura gli interessi degli elettori; se è ricco, pensa solo a diventarlo di più. Fu superato questo duplice «pericolo» pagando politici e pubblici amministratori in genere con questo bel risultato: non solo costoro hanno continuato a finanziarsi illecitamente, ma hanno creato una nuova professione estesasi via via macroscopicamente con la creazione di sempre nuovi organismi elettivi o paraelettivi, fino ad operare una trasformazione del sistema: la rappresentanza popolare è diventata la prima forma di ammortizzatore sociale non per disoccupati ma per chi non ha voglia di lavorare; o meglio per chi è disposto a servire un leader che lo coopta negli organi elettivi e da questi lo fa retribuire. Si è giunti a far eleggere proprie supporter personali in Consigli regionali per farle erogare lo stipendio dalla Regione. Può essere soddisfatto il contribuente nel versare una parte sempre maggiore del proprio sudato guadagno al fisco per finanziare tale sistema?
È proprio infondata allora la teoria del diritto alla disobbedienza fiscale? Cosa insegnano in proposito dalle loro cattedre i professori chiamati a mettere ordine ai conti del Paese? Riescono a garantire la giusta, legittima destinazione delle ingentissime somme sottratte in più, con la loro strategia di politica economica e finanziaria, agli italiani che come contropartita non vedono eliminata la massa di spese inutili, ingiustificate, illegittime compiute ad ogni livello politico e amministrativo?
Un taglio netto in questo mondo creerebbe ai professori un problema sociale, non diverso da quello da loro prodotto con l’eccesso di tasse. Ma i politici li condizionano con il voto in Parlamento, i contribuenti no. È facile governare in tal modo. Si è fatto crescere troppo il sistema politico-amministrativo che non solo assorbe ingenti risorse finanziarie per sé, ma moltissime altre ne spreca in spese inutili per foraggiare il mondo che gli vive intorno.
Lo scorso autunno 5 o 6 bellissime località italiane sono state stravolte da alluvioni per l’incuria e la mancanza di stanziamenti e opere pubbliche; un caso si è verificato anche a Roma con un morto annegato - un immigrato, a chi importa? - per i tombini ostruiti da decenni. «Non abbiamo fondi», spiega la pretenziosa «Roma Capitale». Io avrei immediatamente interrotto il Festival del Film in corso con pranzi, feste e trallallà, e impiegato quei fondi nel ripristino dei tombini.