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Concorrenza e Costituzione

LE PROFESSIONI
VANNO MODERNIZZATE,
MA NON CON DECRETO

 

di MAURIZIO DE TILLA
presidente dell'O.U.A.
(Organismo Unitario Avvocati)

Un regolamento varato
dal Governo con un decreto legge
ratificato dal Parlamento
senza alcun dibattito,
con il voto di fiducia, è illegittimo sotto il profilo costituzionale.
È completamente viziato
l’articolo 10 della legge di stabilità
dove stabilisce che «le norme vigenti
sugli ordinamenti professionali
sono abrogate»; tali
ordinamenti rimangono
pertanto vigenti

e professioni vanno modernizzate ma non con decreto, senza consultazione con le categorie e senza dibattito parlamentare. L’articolo 10 della legge di stabilità ha, infatti, stabilito che gli ordinamenti professionali saranno riformati con regolamento governativo e decreto presidenziale. Tale articolo, che è stato varato con un decreto legge convertito in legge senza dibattito e con il voto di fiducia, è illegittimo sotto il profilo costituzionale in quanto stravolge principi radicati nel nostro ordinamento giuridico.
La riforma delle professioni non ha nulla a che vedere con le cause della crisi economica. E se si vuole far intendere ciò, è una grande bugia, una scusa per «rottamare» le attività professionali. L’assurdo è che più di due milioni di professionisti, che raccolgono disoccupazione intellettuale, lavoro precario, lavoro sottoremunerato, vengono individuati da una certa stampa, con sicumera, come appartenenti ad una «casta di privilegiati». Dobbiamo purtroppo rilevare che alcuni editorialisti, pur rispettabili, non sanno di cosa parlano, non vivono più tra la gente, nella società civile e farneticano nella loro gratuita supponenza. Invocano «criteri comunitari» che non conoscono.
L’Europa non chiede di liberalizzare il mondo delle professioni parametrandolo alla concezione anglosassone della «common law», che si contrappone al «civil law» che caratterizza tutta la parte continentale dell’Europa. Si parla quindi impropriamente di «eliminazione degli ostacoli all’accesso e all’esercizio della professione». Ciò non può certamente riguardare gli avvocati e la quasi totalità dei professionisti, che già sono fortemente liberalizzati con albi sovraffollati ed esercizio professionale indistinto e diffuso in tutto il territorio nazionale.
Ma allora di cosa stiamo parlando? Qual’è la ragione che ha imposto la «delegificazione» degli ordinamenti professionali? Rivolgiamo un forte appello a tutte le professioni, al CUP, al PAT, alla Confprofessionisti, all’Adepp, agli Ordini e alle Associazioni professionali a contrastare interventi legislativi che si susseguono con ritmi incalzanti e tendono ad attuare un cieco liberismo che Benedetto Croce ha sempre fortemente criticato, contrapponendolo al liberalismo che, esso sì, caratterizza il mondo delle professioni con il suo linguaggio e con la sua azione segnata dall’etica del lavoro e preposta allo sviluppo civile ed economico del Paese. L’appello è tanto più forte dopo l’illuminante parere di alcuni giuristi, primo tra tutti Massimo Luciani che ha portato argomenti rilevanti di palese incostituzionalità della normativa della seconda manovra economica e della legge di stabilità, per la parte riguardante le professioni.
Il punto saliente è che il meccanismo scelto per innovare gli ordinamenti è quello della cosiddetta «delegificazione», ammesso nel nostro ordinamento ma con il limite insuperabile che un regolamento non può abrogare una legge. È quindi completamente viziato l’articolo 10 della legge di stabilità laddove stabilisce che «le norme vigenti sugli ordinamenti professionali sono abrogate con effetto dell’entrata in vigore del regolamento governativo». Tale norma, viziata sotto il profilo costituzionale, non può costituire fonte legittima di abrogazione degli ordinamenti professionali che rimangono in piedi e vigenti, e che non possono essere abrogati «automaticamente».
L’articolo 10 è poi formulato, sotto il profilo letterale, in modo impreciso e fuorviante, imponendo l’abrogazione di tutte le norme sugli ordinamenti professionali. La norma citata non distingue fra norma e norma - così puntualmente afferma Luciani -, ma dispone l’abrogazione di tutte le norme degli ordinamenti professionali «una volta che sia entrato in vigore il regolamento dalla legge autorizzato». Alla palese incongruenza ed irragionevolezza - articolo 3 della Costituzione - si unisce il contrasto con gli articoli 24 e 32 della stessa per la compromissione di diritti fondamentali ivi previsti: quelli della difesa in giudizio e della tutela della salute.
La «delegificazione» pone, inoltre, un altro grave problema, per il quale si invoca il ricorso delle Regioni, laddove l’articolo 117 comma 3 della Costituzione stabilisce che è di competenza concorrente tra Stato e Regioni la materia delle professioni, e quindi lo Stato non può invadere, con un potere regolamentare, sfere di competenza regionale. Nel caso specifico è illegittimo l’uso della fonte regolamentare in materia di giurisdizione e, segnatamente, con riguardo al potere giurisdizionale dei Consigli nazionali delle professioni. È più che fondato il dubbio di legittimità costituzionale laddove la legge affida ad un regolamento il compito di intervenire in materie coperte da riserva assoluta di legge.
Per quanto riguarda l’Avvocatura, il vizio di incostituzionalità è ancora più palese laddove si arriva a configurare l’assurdo che il ruolo della Magistratura debba essere regolato dalla legge mentre le funzioni svolte dall’Avvocatura - soggetto costituzionale - possano essere disciplinate e modificate con regolamento. Risultano violati palesemente gli articoli 24 (difesa dei cittadini) e 111 (giusto processo), che sono i cardini della giurisdizione, insieme all’indipendenza del giudice. Non va, infine, trascurato il rilievo che le novelle legislative in atto e in fieri sono affidate alla decretazione di urgenza e a leggi delega modificate con maxi emendamenti approvati con la fiducia, senza consultazione e senza dibattito parlamentare. Sotto tale profilo risulta palese la violazione non solo dell’iter ordinario di produzione legislativa sancito dagli articoli 70 e 72 della Costituzione, ma anche di quello previsto per la cosiddetta decretazione d’urgenza (articolo 77, comma 2 della stessa).
L’OUA promuoverà, insieme a cittadini, professionisti, Ordini nazionali e territoriali, e associazioni, un’iniziativa per rimettere la normativa sulle professioni alla Corte costituzionale, alla Corte europea dei diritti dell’uomo e alla Corte europea di Giustizia. Chiede al CUP di fare altrettanto aderendo all’azione individuale e collettiva che si va a proporre. Nella Conferenza nazionale svoltasi a Roma nei giorni 25 e 26 novembre scorsi, presenti 2 mila avvocati in rappresentanza della totalità degli Ordini e delle Associazioni forensi, l’Avvocatura ha chiesto un incontro alle più alte cariche dello Stato per illustrare le proprie ragioni.

?Il presidente del consiglio dei ministri Sen. Prof. Mario Monti
?

LETTERA APERTA DEL PRESIDENTE DELL’OUA
AL CAPO DEL GOVERNO

?Ill.mo Sen. Prof.
Mario MONTI
Presidente del
Consiglio dei Ministri


Ill.mo e carissimo Presidente,
mi permetto di rivolgermi a Lei per illustrarLe la posizione dell’Avvocatura riguardo alle prospettate liberalizzazioni.
L’attività dell’avvocato-difensore non può rientrare nei principi della libertà di impresa e nelle regole della concorrenza. L’avvocato che difende un cittadino in un processo ha, infatti, una sua specificità e peculiarità. L’avvocato svolge una funzione costituzionale che non può essere ricondotta alle regole del mercato.
L’art. 24 della Costituzione sancisce il principio della inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del processo e, collegato a questo, il principio della tutela dei non abbienti. L’art. 111 sancisce poi il principio della parità delle parti nel processo.
Dal dettato costituzionale emerge che l’Avvocatura è una componente essenziale della giurisdizione che trova fondamento in principi fondamentali della nostra Costituzione che vengono attuati con il suo concorso decisivo. Il ruolo dell’Avvocatura diventa, quindi, l’indispensabile sostegno alla correttezza e pienezza del ruolo del giudice per la rappresentazione della situazione giuridica delle parti.
Piero Calamandrei proclamava che l’avvocato nell’esercizio del proprio ministero deve obbedire solo alle leggi e alla propria coscienza e non curarsi di altro, di guisa che il difensore può essere posto sullo stesso piano del giudice quando giudica. L’autonomia e la libertà dell’avvocato è, infatti, condizione e garanzia dell’imparzialità del giudice e, quindi, dell’attuazione della giustizia.
Ora, Illustrissimo Presidente, mi permetto di rivolgerLe alcune domande. Come si fa a configurare una concezione mercantile dell’avvocato che contraddice la riconosciuta funzione costituzionale di difensore dei diritti dei cittadini e di garante dell’equità della giurisdizione? Quale senso ha la previsione di un esercizio professionale dell’avvocato riferito a società di capitali con soci non professionisti e/o soci di capitale che possono condizionare la sua indipendenza?
Come si può «delegificare» l’ordinamento forense fissando una nuova disciplina con un regolamento governativo che, come Ella ben conosce, ha valore di normativa di rango secondario? Come si può abrogare per legge il 14 agosto 2012 l’ordinamento forense che trae fondamento dalla Costituzione? Sono questi atti che si possono compiere agevolmente in un sistema democratico di tutela dei diritti?
L’Avvocatura accetta ogni sacrificio economico, ma non può accettare che vengano violati principi e libertà fissati dalla Costituzione che non hanno, per altro, nulla a che vedere con la crisi economica.
Grato per una cortese risposta. Con rinnovata stima.
avv. Maurizio de Tilla
Presidente dell’Organismo Unitario
dell’Avvocatura Italiana
eletto dal Congresso Nazionale Forense

Roma, 13 dicembre 2011

 

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