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CORSERA STORY


«BARATRO ECONOMICO»
ITALIANO: SILENZIO STAMPA

L'opinione del Corrierista

 

osa scrivevano i direttori dei grandi giornali quando i precedenti «onorevoli» professori proposero agli italiani di entrare nell’Unione monetaria europea ripudiando la lira e adottando l’euro? La massa dei lettori avrà sicuramente letto i loro articoli, ma pochi li ricordano. Sarebbe il caso di ripubblicarli, infarciti come erano di promesse, e di confrontarli con quanto si è verificato finora e quanto sta avvenendo. Perché chi ha convinto gli italiani ad accettare quelle condizioni è responsabile delle odierne vicissitudini nostrane, della «gogna» mediatica mondiale cui l’Italia è stata sottoposta, dei pesanti attentati al suo sistema economico e istituzionale stavolta non in stazioni e gallerie ferroviarie ma nei «mercati». Ovviamente finanziari.
La responsabilità è anche di quei giornalisti che si prestarono a diffondere pedissequamente le teorie che i professori, sotto improvvisate e mentite spoglie di governanti, propinarono ai loro lettori sui falsi miti della libera concorrenza, dell’economia di mercato, della riduzione di costi e tariffe per famiglie e imprese, insomma su tutto ciò che non c’è stato; e a far rinnegare in gran parte quel sistema di economia mista adottato dal fascismo negli anni Trenta ma saggiamente proseguito dai partiti democratici nel dopoguerra con strabilianti risultati, a cominciare dal miracolo economico degli anni 60.
Può sembrare eccessivo definire truffa la grande operazione di «liberalizzazione e privatizzazione» di aziende e beni dello Stato compiuta negli anni 90 in seguito alla distruzione della classe politica ad opera della magistratura milanese. I «professori» non sono truffatori, in gran parte sono studiosi che in buona fede si innamorano di certe teorie, le ritengono valide universalmente, non ne concepiscono un’efficacia limitata al tempo e ai sistemi economici cui sono applicate.
Che però quell’operazione sia stata una trappola non si può negare. Era necessario attendere i risultati fallimentari che ha dato? Era difficile prevederli? Comunque occorreva prudenza, la stessa che ha avuto l’Inghilterra tenendosi stretta la propria sterlina. Si dirà: l’Inghilterra è un’isola e fa parte di un mondo diverso, quello anglo-americano; l’Italia, rispondo, è quasi un’isola, il Sud è un altro mondo, tutto il Paese è al centro ed è il «centro» del Mediterraneo.
Per gli italiani «questa» Europa si è rivelata una trappola per topi, ossia per la massa timorosa e credulona; e una tagliola per volpi, ossia per i suoi politici che l’hanno accettata supinamente per lucrarne vantaggi e carriere. Reduci e testimoni della seconda guerra mondiale si erano illusi di costruire un’Europa senza più diseguaglianze, senza ricchi ma anche senza poveri, senza sfruttati e senza sfruttatori, nella quale fossero più o meno tutti uguali, e soprattutto non vi fossero più le guerre. Invece ne ha fatte già un paio, finora contro i vicini.
È bastato un ventennio, l’ultimo trascorso, per dimenticare gli ideali e gli scopi del Trattato di Roma; per sostituire all’Europa della fratellanza quella del capitale. Tante volte abbiamo sentito ripetere da gente della strada che, se non avesse aderito all’euro, l’Italia sarebbe finita nel disastro, la lira sarebbe caduta in un baratro ecc. Una litania ricorrente dal luglio 1960 quando, caduto il Governo Tambroni, per lasciare il Pci ed allearsi alla Dc il Psi impose la nazionalizzazione dell’energia elettrica; il Partito liberale uscì dalla maggioranza e si cominciarono a predire il baratro, l’abisso, la rovina imminente per l’economia italiana; che, invece, si sviluppò realizzando le maggiori opere pubbliche del dopoguerra ed eliminando la miseria ancora esistente.
Un «mantra», come lo chiamano oggi i giovani, recitato dalle grandi famiglie dell’economia italiana detentrici del potere economico; un baratro sempre annunciato ma mai arrivato. La popolazione italiana è stata sempre attiva ed operosa. Ora saremmo di nuovo sull’orlo dell’abisso? A questo interrogativo e ai timori e opinioni di tanti italiani che hanno creduto nel potere salvifico dell’euro, io ne aggiungo altri. Come vengono compiute analisi, stime, sondaggi sulla presunta fallimentare situazione dell’economia nazionale e statale italiana? Sono state compiute, dai grandi giornali, inchieste per accertarla? Le agenzie internazionali di rating sparano giudizi negativi capaci di abbattere l’intera economia di un Paese come l’Italia; è stata mai compiuta un’inchiesta giornalistica vera, non manipolata, sulla proprietà di tali agenzie, sui loro committenti, sugli interessi che perseguono e nascondono, sulle modalità di esecuzione del loro lavoro?
Da tempo certe inchieste sono scomparse dai giornali italiani; ci sarà pure qualche motivo o è un comportamento casuale di giornalisti, direttori ed editori? Un tempo, quando succedeva qualcosa di strano, di anormale, di raro, il primo compito da svolgere, nelle redazioni, era l’inchiesta, affidata ad un giornalista o a uno staff di giornalisti specializzati. Ne ho conosciuti tanti, pronti sempre a partire con il minimo bagaglio e l’inseparabile Olivetti Lettera 22. Tornavano dopo settimane o mesi, con una montagna di dati veri, di notizie apprese direttamente alla fonte.
Da quando i giornali sono in mano a banche, assicurazioni, gruppi economici e finanziari, industrie, le inchieste sono bandite, tranne quelle strumentali agli interessi della proprietà. Sono bravissimi, ad esempio, i giornalisti del Corriere della Sera Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo nello svelare gli sprechi di politici e pubblici amministratori; ma non eseguiranno mai inchieste sui comportamenti dei grandi gruppi finanziari proprietari del loro giornale e della casa editrice dei loro libri. Potrebbero però indagare sui comportamenti di gruppi economici e finanziari stranieri, in particolare europei; e sulle agenzie di rating americane.
Nella rivoluzione in atto in Italia, decisa e attuata a freddo, accuratamente lontano dall’opinione pubblica rivelata dalle urne - ammesso che gli elettori non siano imboniti e ingannati dai mezzi di comunicazione -, si scatena un diluvio di tasse, imposte, tagli di spesa, sacrifici, ulteriore disoccupazione, contemporanea paradossale incipiente recessione e inflazione; abbondano i giudizi astratti di cattedratici, ma non c’è verso che si leggano sui grandi giornali i risultati di una veritiera, onesta, indipendente inchiesta giornalistica sulla reale situazione dell’economia italiana.

Victor Ciuffa

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