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FILIPPO BERSELLI: SALONE DELLA GIUSTIZIA, UN LUOGO
DI INCONTRO
E DIBATTITO PACATO

a cura di
LUIGI LOCATELLI


Il sen. Filippo Berselli, presidente della
Commissione Giustizia del Senato

«Siamo partiti dal presupposto
che occorre un luogo
di incontro nel quale,
anziché scontrarsi, litigare,
salire sulle barricate,
possiamo confrontarci
e individuare soluzioni
nell'interesse degli italiani;
questa la novità del recente
Salone della Giustizia»

egli uffici giudiziari italiani attualmente sono in servizio 8.886 magistrati, di cui 8.284 iscritti all'ANM, fondata nel 1909 dopo il «Proclama di Trani», documento inviato nell'aprile 1904 a Giovanni Giolitti capo del Governo, e al ministro della Giustizia da un gruppo di pretori di Trani. Definitisi «magistrati in sott'ordine», rivendicavano dignità nella loro funzione e la possibilità di rendere giustizia nelle controversie «minori», come erano denominate le vicende dei cittadini comuni. Cinque anni dopo nasceva quella che oggi è denominata Associazione Nazionale Magistrati e che, dalla fine degli anni 50, ha visto nascere correnti contrapposte per l'elezione del Comitato direttivo. Oggi le correnti sono quattro: Unità per la Costituzione, Magistratura Indipendente, Magistratura Democratica, Movimento per la Giustizia. Problemi, insoddisfazioni, inviti alle riforme già allora non erano molto diversi da quelli attuali, accompagnati oggi da frequenti polemiche di stampa e nel mondo politico. Malgrado l'articolo 104 della Costituzione affermi che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», presieduto dal Capo dello Stato, in Italia poche attività professionali come la magistratura sono oggetto di critiche, polemiche, insoddisfazione anche dei cittadini.
Non c'è sentenza penale per gravi delitti che, nei reportages della cronaca stampata e radiotv non venga commentata e discussa anche con accenti aspri. Non c'è editorialista che non abbia invitato Governo e Parlamento a farsi promotori di una profonda riforma dell'apparato giudiziario. La chiedono gli stessi magistrati nei loro convegni sul tema. L'ultimo è stato il Salone della Giustizia svoltosi a Roma lo scorso dicembre sui temi del diritto, della sicurezza, della legalità, con la partecipazione delle maggiori personalità operanti nell'ambito del diritto: giuristi, magistrati, avvocati, uomini politici. Promotore del Salone è stato il senatore del Pdl Filippo Berselli.
«La novità del Salone 2011–spiega con evidente ma giustificata ironia–è che abbia avuto luogo. Visti gli attuali chiari di luna, non mi sembra poco». Avvocato di Cassazione, per cinque legislature a Montecitorio e per tre al Senato, è ora presidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama. «La peculiarità di questo terzo Salone della Giustizia di Roma–spiega Berselli–, pur ricalcando lo schema delle edizioni precedenti, consiste nel fatto che si è voluto coniugare l'aspetto convegnistico con quello espositivo. Di convegni sulla giustizia ne sono stati realizzati tanti, e tanti ancora se ne faranno con non esaltanti risultati. Quando si parla di giustizia ci si scontra, si litiga, si sale sulle barricate. Noi siamo partiti dal presupposto che occorre un luogo di incontro, nel quale ci si possa confrontare e non scontrare, possano individuarsi delle soluzioni nell'interesse degli italiani».
Domanda. Con un animo sereno, senza polemica e contrapposizioni di parte politica. È possibile?
Risposta. Certamente. Parto sempre dal presupposto che la riforma della giustizia non può essere né di destra né di sinistra. Se si fa una riforma di destra e nella legislatura successiva vince la sinistra, viene abrogata, e viceversa con una riforma di sinistra. Quindi bisogna trovare una sintesi tra le varie posizioni per arrivare a riforme il più possibile condivise. Questo è stato lo schema delle quattro giornate del Salone. Si è ragionato, si è discusso, sono state avanzate proposte ma senza litigi, senza preconcetti.
D. Che cosa ha rappresentato l'aspetto espositivo del convegno?
R. La reale novità. Non una Fiera ma un vero e proprio Salone con un padiglione dedicato all'aspetto convegnistico e uno a quello espositivo, nel quale per esempio abbiamo avuto la possibilità di ammirare i mezzi delle Forze Armate e delle Forze dell'Ordine, oltre alla simpatica iniziativa realizzata dal Dipartimento dell'Amministrazione giudiziaria con il mercatino di Natale nel quale le cooperative carcerarie hanno presentato i prodotti realizzati dai detenuti.
D. Solitamente il pianeta della giustizia dimentica le Forze dell'Ordine e il mondo carcerario?
R. Il Salone ha poggiato su tre pilastri. Uno è la Giustizia, inaugurato dal ministro Paola Severino, l'altro è la Sicurezza, concluso dal ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri dopo che il ministro della Salute Renato Balduzzi ha trattato il tema della sicurezza dei farmaci. Poi è stato trattato il terzo pilastro, il tema della Legalità, con il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo, perché noi riteniamo che la legalità sia il presupposto della sicurezza e della giustizia. La legalità si comincia ad apprendere in famiglia nei primi anni di vita, ma è poi la scuola a svolgere un ruolo fondamentale per radicarne i principi. Ringrazio il ministro Profumo che ha portato ogni giorno al Salone un'infinità di ragazzi che hanno partecipato ai convegni cui erano direttamente interessati, come quello della penultima giornata intitolato «Conservare la memoria per coltivare la speranza», nel quale sono state presentate al pubblico per la prima volta, e lette da Michele Placido, le lettere che Aldo Moro scrisse durante la prigionia in mano alle Brigate Rosse. È stato commovente per tutti noi ed edificante per i tanti ragazzi presenti che di quel tragico episodio sapevano poco o niente. Un Salone non solo dedicato agli addetti ai lavori e che ha visto la presenza di altre istituzioni, Ordini professionali, Senato della Repubblica, quattro ministri. Ma soprattutto di giovani, tanti, che fruiranno del «sistema Giustizia» quando saranno grandi. Gli Ordini professionali, il Consiglio Nazionale Forense, l'Organismo Unitario dell'Avvocatura, il Consiglio Superiore della Magistratura hanno organizzato tanti dibattiti e incontri. La terza edizione del Salone della Giustizia, svoltosi per la prima volta a Roma in quanto centro del potere politico e istituzionale, ha soddisfatto le aspettative di relatori e partecipanti perché non è uno show destinato al grande pubblico ma un incontro di quanti sono a vario titolo interessati alla sicurezza, alla legalità, alla giustizia. L'aver unito l'aspetto convegnistico a quello espositivo ha aperto il pianeta giustizia a coloro che non lo conoscevano. Abbiamo cercato di farlo in una sorta di casa di vetro all'interno della quale erano visibili tutti gli aspetti della giustizia in Italia, con i suoi pregi e difetti.
D. I problemi della giustizia sono di vecchia data, se n'è discusso e scritto molto ma non si è fatto nulla. Perché?
R. Sono state adottate alcune misure tampone, non risolutive. Oggi pendono oltre 6 milioni di cause penali e quasi 5 milioni e mezzo civili. I tempi della giustizia italiana non sono quelli europei. Periodicamente si riparla di soluzioni tampone. Una proposta interessante per eliminare l'arretrato è stata avanzata da Piero Guido Alpa, presidente del Consiglio Nazionale Forense: mettere a disposizione della giustizia 10 mila avvocati con il compito di smaltirlo. Mi è sembrata una proposta di grande interesse, perché viene da un mondo professionale che può dare un contributo di qualità e di serietà allo smaltimento delle cause, e perché l'operazione sarebbe a costo zero per lo Stato. La possibilità di smaltire o ridurre notevolmente 5 milioni e mezzo di cause civili arretrate senza alcuna spesa non è irrilevante dal momento che l'intervento degli avvocati dovrebbe essere gratuito. Per le cause penali un'operazione simile sarebbe molto più complessa. Abbiamo avuto in passato le Sezioni-stralcio, finalizzate a smaltire le cause civili, ma con scarsi risultati. Dico sempre che i processi penali finiscono sui giornali e in tv, i fascicoli delle cause civili si accumulano in archivio e non se ne parla mai, sebbene interessino una moltitudine di cittadini. Eppure chiunque prima o poi si imbatte in un magistrato in sede civile. Il cittadino soffre molto i ritardi della giustizia. In un convegno ho citato l'esempio di un mio cliente che intraprese una causa civile per un modesto procedimento relativo a un incidente stradale nel quale aveva subito gravi lesioni; la responsabilità era pacifica, si trattò di esperire una consulenza tecnica d'ufficio; tra primo e secondo grado la causa è durata 22 anni. La controparte non ha fatto ricorso in Cassazione, altrimenti ne sarebbero trascorsi altri 3 o 4. Molte cause vengono trasferite agli eredi. È inammissibile, questo dimostra una grave patologia nel funzionamento della giustizia. Bisogna non solo accelerare la giustizia per i processi futuri, ma smaltire l'arretrato che rappresenta una palla al piede di ogni cittadino. Nelle classifiche mondiali siamo vicini al Gabon, lo Stato africano a cavallo dell'Equatore, formato per tre quarti di foresta, con 5 abitanti per chilometro quadrato e una speranza di vita di 50 anni; dovremmo invece essere vicino ai tempi di Berlino o Parigi.
D. Non dipende anche dagli avvocati?
R. Ne abbiamo un numero enorme, 240 mila. Roma ne ha più di tutta la Francia, molti contribuiscono ad aumentare il contenzioso. Ma non guadagnano di più se la causa ha tempi biblici, perché ricevono un fondo spese all'inizio e vengono saldati alla fine del processo. È vero però che più sono gli avvocati, più aumentano le cause. Abbiamo invece pochi magistrati e poche risorse, si sono attuati tagli orizzontali in un settore in cui occorreva essere selettivi. Ma perché in alcuni Tribunali l'attività è soddisfacente nonostante la carenza di magistrati, risorse e personale amministrativo? Per svolgere funzioni apicali occorrono non grandi giuristi ma grandi organizzatori; non manager esterni, perché tra i magistrati ordinari figurano spiccate personalità capaci di svolgere questo ruolo. Non interessa che un presidente di Tribunale emetta una sentenza da pubblicare sulle riviste giuridiche, ma che faccia funzionare nel modo migliore l'ufficio. Le gravi carenze del pianeta giustizia non esistono nel settore privato. Molti di coloro che nei Tribunali ottengono i ruoli apicali non hanno mentalità manageriale adeguata. E non è facile cambiare.
D. Quanto influisce la politica nell'organizzazione degli uffici?
R. Non sono tra quanti affermano che la magistratura è politicizzata. Purtroppo vi sono magistrati che fanno pesare le loro convinzioni politiche e ideologiche nei processi e conquistano le prime pagine dei giornali. La stragrande maggioranza svolge bene il proprio lavoro senza interferenze di carattere politico o ideologico. Un esimio procuratore sosteneva che il magistrato non solo deve essere indipendente dalla politica, ma deve anche apparirlo. Anche perché un magistrato caratterizzato politicamente suscita sfiducia nell'opinione pubblica. Alcuni magistrati rilasciano dichiarazioni e fanno conferenze stampa, ma non c'è bisogno di apparire sempre in tv o sui giornali. Una dose di riservatezza è indispensabile anche per rispetto delle persone indagate, perché è obbligatoria la presunzione di non colpevolezza.
D. Quale esito avrà il dibattito in atto sulla responsabilità civile dei magistrati?
R. Il referendum del 1987 che la proponeva passò con una valanga dell'80,2 per cento di voti; fu disatteso con una legge che oggi è stata oggetto di dura condanna da parte della Corte di Giustizia europea, perché subordina la responsabilità civile dei magistrati all'esistenza di dolo o colpa grave. Dovremmo uniformare la normativa all'indicazione dell'Unione Europea, ma non credo che si farà, perché non taglia i costi né rilancia l'economia. Il Governo Monti non potrà neppure proporla, ha già tante mine sul proprio cammino.
D. Malgrado il Salone, il problema della giustizia appare senza soluzione?
R. Occorre essere ottimisti. Anzitutto tramite il Consiglio Superiore della Magistratura si dovrebbero collocare nelle posizioni apicali magistrati in grado di svolgere un'attività di carattere manageriale e organizzativo. Già questo servirebbe molto. Il ministro Severino auspica l'efficienza, la prima è quella degli uffici giudiziari. Poi va abbandonata la politica dei tagli orizzontali, estremamente punitiva, vanno trovate soluzioni innovative come quella prospettata dal prof. Alpa per abbattere l'arretrato civile. Per raggiungere l'efficienza strutturale occorrono maggiori mezzi.
D. Perché 50 anni fa non esistevano tutti questi problemi?
R. Il numero degli avvocati era infinitamente minore, il contenzioso non era come quello di oggi, anche se c'erano problemi diversi. Dobbiamo creare condizioni di confronto costruttivo tra la maggioranza e l'opposizione parlamentare, far capire ai magistrati che alcune riforme si debbono fare anche per salvaguardare la loro immagine. Parlo della separazione delle carriere che non può non esservi in un processo di tipo accusatorio. Opporsi ad essa non ha fondamento, nessuno ha mai pensato di mettere i magistrati sotto il potere esecutivo. Non si vede per quale motivo il rappresentante dell'accusa non debba avere i medesimi poteri dell'avvocato della difesa. Il giusto processo si basa sulla terzietà del giudice che oggi è dubbia, con i magistrati dell'accusa e giudicanti provenienti dal medesimo concorso, appartenenti allo stesso ordine, magari operanti negli stessi uffici. C'è un'inevitabile contiguità tra magistrato del pubblico ministero e magistrato giudicante. Non ho mai visto un pubblico ministero bussare alla porta prima di entrare nella stanza del giudice; conosco tanti avvocati che bussano e aspettano in corridoio. Per l'avvocato difensore il rapporto con il pubblico ministero è di sudditanza, dovrebbe essere di assoluta parità.
D. Come valuta i magistrati ex parlamentari che tornano alla loro attività?
R. Un disegno di legge in Commissione Giustizia affronta il tema ma si è arenato perché propone che il magistrato ex parlamentare non possa rientrare in magistratura ma entri a far parte del Consiglio di Stato, con ruolo e trattamento economico rilevanti. Sarebbe come dargli una corsia preferenziale, una promozione. Si potrebbe provocare una corsa dei magistrati verso la politica per poco tempo, per poi avere una nuova opportunità.

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