back


SIMEST: UN MONDO NUOVO
IN CUI LE IMPRESE ITALIANE DIVENTANO INTERNAZIONALI

a cura di
FRANCESCO PIPPI


Roma. La sede della Simest

ella presentazione del saggio di Carlo Jean e Paolo Savona, intitolato «Il mondo nuovo. Effetti e prospettive di un cambiamento globale», l’amministratore delegato e direttore generale della Simest, Massimo D’Aiuto, scrive: «Nell’esperienza che abbiamo vissuto negli ultimi vent’anni, in tanti Paesi dove abbiamo affiancato le eccellenze italiane nel realizzare progetti grandi e piccoli, l’inserimento delle nostre imprese nel tessuto economico è stato spesso favorito dalle caratteristiche proprie degli italiani; tra queste una forte capacità, sia degli imprenditori sia delle maestranze, nell’esprimere alti valori morali».
Da parte sua il presidente della stessa Simest, Giancarlo Lanna, avverte: «Qualunque credibile prospettiva di sviluppo dell’economia italiana passa necessariamente per la maggiore internazionalizzazione delle nostre imprese, a cominciare dalle piccole e medie che ne rappresentano la struttura portante. È un processo difficile, che deve superare gravi limiti strutturali primo dei quali, appunto, la ridotta dimensione. Ma detto questo, ed anche considerando la grave crisi economica e finanziaria in atto, l’economia italiana può farcela».
In un panorama economico non solo nazionale, generalmente tendente al cupo se non al depressivo, il parere dei vertici della più grande holding finanziaria italiana a partecipazione pubblico-privata (il 76 per cento è del Ministero dello Sviluppo economico, il restante 24 per cento delle principali banche italiane) operante nello sviluppo internazionale delle imprese, richiede un approfondimento, almeno sotto due aspetti. Il primo aspetto attiene alla Simest in senso stretto: anche l’anno 2011, in un contesto tutt’altro che tranquillo in aree rilevanti per l’operatività della società italiana per le imprese all’estero - basti pensare ai rivolgimenti tuttora in corso in molti Paesi della sponda Sud del Mediterraneo -, si è chiuso con valori complessivamente positivi in termini sia di aumento di attività sia di loro redditività.
Una piacevole, per così dire, abitudine per gli azionisti di una struttura che, a partire dal 1991, è arrivata ad essere oggi presente, a fianco delle imprese italiane, in oltre 90 Paesi attraverso: la partecipazione al capitale delle società estere e quella del Fondo pubblico di venture capital da essa gestito, entrambi per un massimo di 8 anni; l’assistenza specialistica sui progetti e sullo scouting per l’individuazione delle opportunità d’investimento; la gestione dei fondi pubblici per l’internazionalizzazione, in primis l’export credit ma anche l’inserimento nei mercati, la patrimonializzazione, gli studi di fattibilità e di assistenza tecnica.
A queste attività si è affiancata, nell’anno appena trascorso, la consistente novità costituita dall’ampliamento dell’operatività ai Paesi dell’Unione Europea, Italia compresa, nei quali la Simest opera a condizioni di mercato con una funzione tipicamente di private equity: la partecipazione, fino al 49 per cento, al capitale di imprese italiane o delle loro controllate europee, che compiano investimenti produttivi in innovazione o ricerca applicata. Tale ampliamento, sottolineano i vertici della Simest, unisce allo sviluppo internazionale delle imprese italiane anche il loro rafforzamento produttivo e tecnologico, facendo così assumere alla società il ruolo completo di «Finanziaria per la competitività delle aziende italiane».
Il secondo aspetto, più generale, attiene al sistema delle imprese al quale la Simest si indirizza: in un momento in cui la parola «crescita» è diventata un mantra ossessivo, nessuno forse meglio dei vertici di questa Finanziaria può raccontare se e come l’economia italiana sia realmente in grado di perseguirla, al di là delle genericità e dei luoghi comuni, fuori ed ora anche dentro i confini nazionali. Da questo punto di vista il ruolo della Simest è quello di un gigantesco stetoscopio, che ausculta ogni giorno il battito dell’Italia che produce e che funziona.
Ma diventa anche, se non soprattutto, quello del dottore in grado di diagnosticarne lo stato di salute e, nel pieno rispetto dei propri compiti istituzionali, di suggerire le terapie che consentano di riprendere finalmente la strada dello sviluppo. Una strada che, per quanto impervia, stando alle testimonianze sopra citate, non appare certamente impossibile.

back