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VALERIA MANGANI: ALTAROMA,
ALTA MODA AL SERVIZIO DELLA SALUTE
E DELL'ECONOMIA ROMANA

a cura di
ANNA MARIA BRANCA


Valeria Mangani, vicepresidente
della società AltaRoma

Per Dostoevskij la bellezza,
in tutte le sue forme,
salverà il mondo. AltaRoma, società mista composta da
istituzioni locali e soci privati
di alto livello, rincorre il
medesimo principio: la moda,
insieme alla tecnologia e alla scienza, è davvero in grado
di intervenire fattivamente
sul vivere civile. Non è solo
una questione di stile:
si tratta anche di salute

ostoevskij diceva che la bellezza, in tutte le sue forme, salverà il mondo. Parte da questo concetto Valeria Mangani, vicepresidente di AltaRoma, la società presieduta da Silvia Venturini Fendi, un presidente onorario del livello di Santo Versace e consiglieri quali Nicoletta Fiorucci, Marina Letta Ottaviani, Massimo Migliosi, Andrea Mondello, Roberto Polidori, Lorenzo Tagliavanti e Clara Tosi Pamphili. «Partirei da questo concetto–afferma–perché penso che in ogni settore, dalla politica alla moda, alla società, siamo pervasi da molta volgarità: si avverte il bisogno di una ricerca più accurata di stile». AltaRoma è uno dei centri propulsori della haute-couture italiana, passando per un attento scouting rivolto alle nuove generazioni, per il dialogo e la sinergia con gli opinion leader, il mondo della cultura e dell’arte, per la collaborazione delle istituzioni. Due appuntamenti annuali con la Fashion Week capitolina; un progetto, «Who is On Next?», organizzato con Vogue Italia, per la ricerca e la promozione di giovani talenti creativi; un’esposizione che vede i designer uniti dal tema della ricerca e dell’artigianalità; un progetto di social responsability per costruire entità economiche sostenibili tra il sistema moda italiano e le comunità svantaggiate di alcuni Paesi dell’Africa, in collaborazione con l’International Trade Center, agenzia dell’Onu; una piattaforma, «Artisanal Intelligence», nata per unire arte, artigianato e moda in nome del made in Italy; una rassegna annuale, «Fashion on Paper», nella quale operano le strutture indipendenti nell’editoria di moda.
AltaRoma vanta una compagine sociale composta dalle maggiori istituzioni locali e da un socio privato: l’azionista di maggioranza è la Camera di Commercio di Roma, seguita dal Comune, dalla Regione Lazio e una piccola parte di Provincia insieme a un gruppo di solide strutture imprenditoriali. Intento programmatico di AltaRoma è quello di fornire opportunità e occasioni d’incontro che consentano di mantenere e incrementare la tradizione delle grandi firme italiane e le nuove aziende produttive e creative, oltre che stimolare la crescita del settore moda anche attraverso la formazione intesa come salvaguardia della qualità e della tradizione artigianale del made in Italy.
Dalle parole di Valeria Mangani si evidenzia il salto che la moda sta compiendo verso la tecnologia e il settore sociale: è il caso di magliette per diabetici che possano emettere la dovuta dose di insulina nel corso della giornata, ovvero di apparecchi glucometri stilizzati da mettere in borsetta. È della Mangani anche la battaglia contro il «manichino taglia 36», stereotipo legato a modelli anoressici di donna non condivisi nemmeno dall’associazione Universo Femminile, da lei stessa fondata 6 anni fa per ricreare nella donna una maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità.
Grazie ad AltaRoma la città ha avuto la sua Fashion Night riportata nei calendari di moda internazionali, un trampolino di lancio per l’Italia nel mondo. In tale contesto di trend commerciale e artistico in costante ascesa sarebbe controverso e antitetico ipotizzarne un eventuale scioglimento. La vicepresidente è certa che, se AltaRoma venisse a mancare, Roma non sarebbe più la stessa, come quando Valentino trasferì il proprio atelier a Parigi e la moda si spostò a Nord insieme al turismo da essa attratto.
Domanda. Qual è il rapporto di Roma Capitale con la moda?
Risposta. Molto stretto: il sindaco Gianni Alemanno tiene moltissimo alla moda per la promozione e la valorizzazione della città in quanto nulla più di essa potrebbe costituire una freccia nella faretra in più per aggiudicarsi le Olimpiadi del 2020 a Roma. Quando si dovrà scegliere fra Istanbul e Roma, al di là delle infrastrutture, degli impianti sportivi e di quanto altro si dovrà fare in campo tecnico, quale sarà la grande differenza? Roma ha il made in Italy, la moda sarà determinante. In Cina, in Giappone o in America mi chiedono: «Quando rifarete Donna sotto le stelle?», e ciò dimostra che nell’immaginazione collettiva è rimasto l’evento tv che ha costituito la massima promozione per Roma.
D. È tutto merito della moda?
R. La moda dà più visibilità in assoluto a qualsiasi evento, ecco perché spesso accosto ad essa problemi sociali e sanitari. Nel consiglio di amministrazione di AltaRoma propongo sempre di abbinare le nostre manifestazioni ad iniziative socialmente utili, eticamente corrette, e di far scendere l’alta moda dagli atelier dorati nelle strade e tra la gente, evitando l’immagine di un mondo irraggiungibile, di un’attività che non serve a nessuno, soprattutto in questi tempi di crisi.
D. Manifestazioni come «Donna sotto le stelle» non rafforzano invece l’idea dell’irraggiungibilità di questo mondo?
R. Se si rifacesse una sfilata come quelle di Piazza di Spagna, dovrebbero sfilare i grandi stilisti del made in Italy, coloro che rendono l’Italia un faro di stile nel mondo come Armani, Versace, Valentino, Missoni ecc. Aggiungendo una novità: ognuno di loro dovrebbe presentare un abito di un nuovo, giovane talento emergente. All’epoca l’immagine più suggestiva era costituita dagli abiti lunghi, da sera, ma dalla scalinata si facevano scendere due stili: si cominciava con gli abiti corti, i tailleur, poi i lunghi per i gran finali. Oggi le occasioni per indossare capi di alta moda sono sempre più rare, ed è questo il maggior problema. Con la Dolce Vita è finita una grande era e Roma ha subito un cambiamento, cadendo in un certo senso nell’oblio, con conseguenze purtroppo negative anche nel settore turistico ed economico: l’alta moda alimentava, infatti, un consistente indotto nell’economia romana e italiana. Negli anni 80 il lusso era in voga, i ristoranti e i locali notturni erano affollati, si sfoggiavano vestiti sempre diversi; molti stranieri, soprattutto sceicchi arabi, venivano a Roma per affari portando anche le mogli, che non mancavano di fare shopping negli atelier.
D. C’è possibilità che quei tempi d’oro ritornino?
R. Per ora è tutto finito, sebbene io non escluda che si possa recuperare quella situazione. Con AltaRoma stiamo cercando di riportare in auge proprio questo, e a tali fini serve un’organizzazione dell’alta moda quale la nostra, presente nei calendari internazionali perché affiliata alle settimane di Parigi, di New York, di Londra, di Milano, di Tokyo ecc. È vitale per Roma far parte di una rete mondiale di capitali della moda. Per questo la presenza di AltaRoma è necessaria e faccio appello alle istituzioni per evitarne la chiusura: bisogna gestire la moda con molta consapevolezza. Alcuni politici non hanno capito che è utile per attrarre turismo e per inserire Roma in un circuito mondiale bisogna figurare nei calendari. Dopo 10 anni di attività AltaRoma è collocata in questo ambito.
D. Cosa state facendo affinché AltaRoma non chiuda?
R. Lavoriamo per dimostrare che la sua assenza provocherebbe una perdita economica. La moda è un settore che esporta e che, dati Istat alla mano, rappresenta oltre il 9,31 per cento del prodotto interno e impiega più di 2 milioni 800 mila lavoratori. Grazie ad AltaRoma la capitale si è aggiudicata la Vogue Fashion Night dello scorso settembre, la notte in cui tutti i negozi sono rimasti aperti, organizzata dal Comune con la presenza della direttrice di Vogue, Franca Sozzani, e con una risposta superiore rispetto a quella riscontrata a Milano e in altre capitali mondiali. Il romano si è mostrato entusiasta, curioso e predisposto ai grandi eventi.
D. Dalla Vogue Fashion Night cosa è emerso dal punto di visto commerciale?
R. Accenno innanzitutto all’idea di Franca Sozzani di far creare ad ogni stilista dei propri gadget e di devolverne alla Croce Rossa Italiana il ricavato della vendita; moda e settore sociale devono andare a braccetto. Dal punto di vista economico, la Notte è stata un’occasione per i negozianti di farsi conoscere senza costi pubblicitari.
D. Quali sono le altre iniziative?
R. Nel 2012 ci aspettiamo un nuovo evento internazionale che, concepito a carattere itinerante, sembra possa svolgersi a Roma. Se questo sarà possibile, AltaRoma ne avrà la gestione. Abbiamo anche creato, insieme a Vogue, un grande concorso per talent scouting, dal titolo «Who’s On Next»; chiudendo la nostra agenzia, Roma perderebbe anche questo poiché Vogue lo realizzerebbe a Milano. Quest’anno è stato vinto da Stella Jean, una giovane stilista emergente italo-haitiana che avevo io convinto a partecipare. Lo scorso ottobre mi sono recata a Los Angeles per assistere alla prima americana di una mostra già presentata in Europa, «Il teatro alla moda», e ho svolto una lezione agli studenti del Los Angeles Fashion Institute of Design, incentrata sull’intelligenza artigianale del nostro Paese, quella che gli americani chiamano «artisanal intelligence». A differenza del resto del mondo, a Roma infatti possediamo ancora un patrimonio inestimabile, gli artigiani; me lo fece notare tre anni fa anche un giovane stilista francese, Pascal Goutrand, che aveva vinto una borsa di studio dell’Accademia di Francia e che mi propose un progetto sulla moda. In Francia da almeno 15 anni mancano gli artigiani perché le multinazionali della moda hanno acquisito tutte le piccole botteghe. Quel giovane stilista chiedeva il patrocinio del Campidoglio e di AltaRoma per realizzare un itinerario nel quale segnalare, per quell’anno, tutti i camiciai della città. Nel solo Centro storico ne aveva individuati 35; in ogni successiva edizione immaginava di recensire altre categorie. Proponeva di commissionare loro una camicia Regimental da esporre in una galleria d’arte. Abbiamo allestito quella mostra in occasione della settimana della moda di tre anni fa, ma è passata in sordina, la gente non ha compreso di cosa si trattasse. L’anno successivo l’iniziativa ha avuto un successo tale da essere descritto in un libro edito da AltaRoma, prima guida dell’artigianato su misura maschile e poi femminile, quest’ultima iniziativa presentata durante la settimana della moda di AltaRoma 2011. Un’altra curiosità: gli italiani sono conosciuti nel mondo per la ricercatezza dello stile, gli uomini indicano le loro iniziali sulle camicie; alla mostra dei 35 camiciai tutti ricamarono quattro lettere: ROMA.
D. Che differenza c’è tra AltaRoma e la Camera della Moda?
R. Per anni quest'ultima rappresentò l’alta moda prevalentemente romana e le cui sfilate si svolgevano in questa città; a Milano si svolgevano quelle del prét-à-porter; entrata in crisi, la Camera della Moda si trasferì a Milano ma il suo logo è ancora lo stemma michelangiolesco disegnato sul pavimento della Piazza del Campidoglio. Oggi Milano è la capitale economica della moda, ma Roma detiene a ragione, secondo la critica di moda Maria Luisa Frisa, la «Scuola romana», ossia quell’insieme di istituti che hanno formato i direttori artistici delle maison più importanti nel mondo. Fra i tanti, Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, attuali direttori creativi di Valentino, usciti dall’Istituto Europeo di Design, come anche Ettore Bilotta che disegna per Lancetti; o Frida Giannini, direttore creativo di Gucci, proveniente dall’Accademia di Moda e Costume. Relativamente nuovo è il corso di laurea in Scienza della moda dell’Università Sapienza.
D. I titoli rilasciati dalle scuole di moda hanno un valore legale?
R. Certamente quelli rilasciati dalla Sapienza, mentre sono riconosciuti come corsi di laurea di primo livello quelli dello Ied e dell’Accademia di Moda e Costume secondo il decreto Gelmini 2011. A Roma sorgerà anche un Museo della Moda. Il sindaco ne ha individuato la sede nelle Scuderie Savoia a Villa Ada, dove dovrebbe sorgere quello che vorremmo divenisse un polo di eccellenza anche per presenza di artigiani e per livello di formazione. Il progetto è in fase di perfezionamento. Sembra che AltaRoma non ne venga interessata; se è giusto che il Comune proceda da solo, sarebbe poco lungimirante però chiudere AltaRoma, società di natura «istituzionale» rispetto alla Camera della Moda che, invece, è un’azienda privata; per far parte di questa gli stilisti devono versare una quota, e solo in tal modo sono tutelati e possono essere inseriti in calendario. AltaRoma funziona esattamente in maniera opposta: le azioni sono detenute per il 57 per cento dalla Camera di Commercio, per il 18 dalla Regione Lazio, per 18 dal Comune di Roma e per il 7 per cento dalla Provincia. Le sue risorse finanziarie sono pubbliche, per ogni iniziativa vengono indette gare, e di ciò gli stilisti sono avvantaggiati.
D. Alta moda e solidarietà: quale collegamento c’è?
R. Ogni edizione di AltaRoma si caratterizza per la promozione di iniziative a scopo benefico. La moda può lanciare convincenti messaggi per l’attenzione che riesce a richiamare anche fuori dalla passerella; non solo: essa incontra l’arte, la cultura, la musica ed ora anche scienza e tecnologia. Abbiamo cercato di affiancare il settore sociale in varie occasioni, per esempio con la cena di beneficenza per la Foresid, associazione italiana per il diabete. In quell’occasione abbiamo commissionato agli stilisti un glucometro alla moda da portare in borsa per le ragazze che devono misurarsi continuamente il tasso glicemico. Sono stati creati glucometri rosa, verde e gialli per i ragazzi, ornati da Swarovsky, colorati anche per sdrammatizzarne la funzione e venire incontro alle esigenze dei giovani.
D. Dove la scienza incontra la moda?
R. Da tre anni insegno alla Sapienza Tecnologia dei tessuti, nell’ambito didattico della Medicina del lavoro, un esempio di come la scienza incontri la moda. Vi sono tessuti che possono aiutare la salute, è il caso delle «smart shirt», maglie intelligenti che attraverso le nanotecnologie possono essere impregnate di insulina da rilasciare sulla cute per essere assorbita attraverso la traspirazione senza necessità, per il soggetto, di ritirarsi in un luogo specifico. Saranno in commercio tra non molto, non appena saranno definite le modalità di rilascio della giusta dose rispetto alle esigenze individuali; saranno vendute in farmacia e avranno molti usi. Per ora sono usate in ambito militare e sportivo. Esistono maglie e collant ad altri effetti, ad esempio addizionate di principi attivi chimici o fitoterapici. È il caso del collant alla Centella asiatica o al Kelp per prevenire la cellulite o migliorare la circolazione sanguigna e il ristagno venoso. Ad uso militare sono le maglie con fibre d’argento, utili ai soldati in missione impossibilitato alla pulizia giornaliera: i filati di nitrato d’argento sono antibatterici e antiodore. Se il filato è trattato attraverso le nanotecnologie con biossido di titanio, si ottengono indumenti leggerissimi e altamente traspiranti in grado di proteggere la pelle dalle radiazioni solari. Ho appena prestato una consulenza a un’azienda automobilistica italiana per la fabbricazione di smart-shirt con filati di carbonio atti a filtrare le radiazioni elettromagnetiche all’interno del veicolo e a sostenere la fascia lombare proteggendola dal mal di schiena per conducenti e piloti che devono stare molto tempo seduti. La moda è anche il futuro della telemedicina: nel 2050 oltre il 35 per cento della popolazione avrà più di 65 anni. Microchip sottilissimi inseriti nel tessuto sono già in grado di trasmettere i parametri vitali di un anziano che vive solo; tramite un collegamento wi-fi al GPS si è in grado di sapere se ha avuto un arresto cardiaco a casa o a passeggio e si fa intervenire automaticamente un’ambulanza. Grazie al rilevatore di inclinazione, si può sapere se l’anziano è in piedi o è caduto. Queste tecnologie saranno indispensabili allorché, secondo l’Osservatorio della Terza Età, gli anziani in Italia saranno 800 mila, raddoppiando nei prossimi 40 anni. Si parla già dell’«abito «della gioia» che, attraverso microsensori, stimoli le endorfine.
D. La moda non è responsabile di una caduta di stile e di gusto?
R. Sì, insieme alla tv. È responsabile di tutti i clichè che emergono, come i giornali e i mezzi di comunicazione di massa. Sono stata madrina del concorso «Modella Oggi-In forma per la vita». Ero contraria perché non sostengo concorsi per modelle, finché mi hanno spiegato che partecipavano ragazze per combattere forme di anoressia e bulimia. Ne è emersa un’utile tavola rotonda fondata sulla triangolazione moda-alimentazione-psiche. La mia battaglia sarà chiedere alle industrie di manichini di aumentare le misure almeno di un paio di taglie. È una battaglia che va fatta contro l’anoressia, per ritornare alla normalità di essere donna. Istituirei corsi di stile per migliorare l’autostima delle giovani attraverso la moda.

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