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CLAUDIO CLAUDIANI: NON BASTA L’AV, OCCORRONO
PIÙ FERROVIE
E PIÙ TRENI

a cura di
UBALDO PACELLA


Claudio Claudiani, presidente dell’Isfort,
Istituto di Ricerca e Formazione Trasporti

«L’obiettivo
è oggi l’affermazione
di un ruolo nuovo
delle ferrovie come cerniera
della mobilità su terra.
Occorre puntare
sul trasporto merci per ferrovia, secondo l’indicazione
dell’Unione Europea,
orientata verso il rafforzamento delle reti ferroviarie,
l’eco-sostenibilità dei traffici
e servizi collettivi più utili
ai territori, soprattutto
in aree ad elevata concentrazione»

trasporti in Italia sono interessati da processi di trasformazione di vasta portata, in grado di ridisegnare le strategie della mobilità, quanto di modificare in profondità modelli consolidati di impresa, sia per ciò che riguarda i traffici delle merci e l’autotrasporto, sia in maniera ancor più accentuata per quello delle persone, legato al trasporto pubblico locale, ai treni regionali, ai flussi nelle metropoli, senza dimenticare le nuove incognite della concorrenza e delle liberalizzazioni, prima tra tutte quella nell’alta velocità ferroviaria che nell’anno in corso vedrà di fronte Trenitalia e NTV, Nuovo Trasporto Viaggiatori. Un impegno oneroso ma ineludibile che dovrebbe andare di pari passo con i piani di sviluppo infrastrutturale appena definiti dal Governo di Mario Monti e tracciati a grandi linee dal nuovo ministro Corrado Passera. Significativo appare su questi temi il parere di Claudio Claudiani, neo presidente dell’Isfort, Istituto di ricerca e formazione dei trasporti, da sempre attento conoscitore del settore e delle politiche della mobilità.
Domanda. Le reti del trasporto vanno oggi ripensate a partire da quella ferroviaria, i cui servizi sembrano accentuatamente polarizzati sull’alta velocità mentre il resto dei collegamenti nazionali appare trascurato, soprattutto per quanto riguarda il Sud e i treni regionali che, nelle dichiarazioni dell’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Mauro Moretti, costituirebbero una sorta di palla al piede per l’azienda, mentre per oltre un milione di cittadini rappresentano il peso quotidiano da affrontare con la rassegnazione che tracima, talvolta, nella protesta. Cosa si dovrebbe fare in concreto?
Risposta. Il disegno strategico di un rilancio della mobilità integrata che poggi sulle ferrovie è l’orizzonte più moderno e impegnativo sul quale occorre agire. Siamo ad un versante cruciale della storia sociale ed economica del Paese; è l’ultima occasione per procedere, a tappe forzate, sulla via della modernizzazione dei sistemi a rete, quello dei trasporti in primis perché è il più fragile. Nelle scelte delle aziende si colgono, ci riferiamo espressamente alle Ferrovie dello Stato, talune incertezze per altro poco comprensibili che necessitano di una più attenta analisi e di eventuali correzioni. L’alta velocità è un successo italiano raggiunto dopo decenni di ritardi, non un fiore all’occhiello bensì la spina dorsale moderna del sistema ferroviario sulla quale, tra l’altro si misurerà la concorrenza. L’Italia è il primo ed unico Paese nel mondo, voglio sottolinearlo, in cui due imprese, una storica pubblica e una privata, offriranno servizi alla clientela, cosa che non accade né in Germania, Francia o Spagna, né in Giappone, dove l’alta velocità è nata da circa 50 anni.
D. L’alta velocità basta a soddisfare le esigenze di mobilità ferroviaria?
R. Non si deve esaurire su queste nuove linee lo sforzo di rilancio del treno. Sono ben altre le priorità di cui l’Italia ha disperato bisogno. Un sistema di collegamenti nazionali a media e lunga percorrenza sulle grandi direttrici nazionali da Nord a Sud e da Ovest a Est, tanto sugli assi ad alta densità di traffico della pianura padana e del Centro-Italia, quanto sulle linee meridionali, che invece sembrano destinate ad un accentuato declino. Esiste una domanda aggregata di mobilità che bisogna stimolare e organizzare per coglierne nel modo migliore le opportunità, al fine di gestirla con migliorata qualità. La contrazione dei collegamenti da e per il Sud in particolare, sovente motivata da ragioni di bilancio, fa emergere la volontà di potenziare solo i collegamenti ad alto valore aggiunto di traffico, marginalizzando il resto della rete ferroviaria e dei territori. I cittadini come l’economia produttiva, hanno bisogno di più ferrovie e di più treni un po’ ovunque, al fine di realizzare un trasporto sostenibile, insieme alle autostrade del mare, conseguendo quel riequilibrio modale quanto mai necessario.
D. Le ferrovie, quindi, debbono fare ancora molto per diventare competitive?
R. Moltissimo è stato fatto in questi anni, grazie ad una gestione industriale rigorosa e tecnicamente molto professionale. È statocompletato un lungo cammino, direi una transizione verso la modernità. Oggi la frontiera è quella dell’affermazione di un ruolo nuovo e decisivo delle ferrovie come cerniera della mobilità su terra, in particolare organizzando la logistica. Occorre puntare sul trasporto delle merci per ferrovia; si interpretano e si valorizzano così l’indicazione e i piani di sviluppo dell’Unione Europea, sempre più orientati verso il rafforzamento delle reti ferroviarie in forza di un’eco-sostenibilità dei traffici e di un livello dei servizi collettivi più utile ai territori, soprattutto nelle aree ad elevata concentrazione e antropizzazione.
D. Qual’è la situazione del trasporto regionale in Italia?
R. Insieme a quello pubblico locale sta vivendo una fase di accentuata crisi. I tagli finanziari, se pur mitigati dalle decisioni del Governo Monti, obbligano a ripensare in profondità il sistema. Occorre puntare decisamente sull’efficienza, sull’integrazione tra strada e rotaia e tra settore pubblico e privato, su modelli d’esercizio innovativi, sulle tecnologie avanzate e sulla telematica, per offrire quella flessibilità di offerta fondamentale per rispondere alla domanda di mobilità delle città e dei territori. L’analisi attenta dei costi e benefici dimostrerebbe che un opportuno potenziamento quantitativo e qualitativo dei servizi ferroviari produrrebbe positive ricadute in termini sia di mercato sia di una mobilità sostenibile. Da anni investimenti e nuovi treni sono condivisi tuttavia, tranne alcune operazioni di restyling del vecchio, poco viene fatto. Quello che i cittadini, i pendolari in particolare, riscontrano sono gravi carenze soprattutto sull’affidabilità dei servizi. I mille treni evocati nel 2007 dall’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, poi trasformati in più sobri mille vagoni, stentano ad uscire dalle fabbriche.
D. Liberalizzazioni e concorrenza possono favorire lo sviluppo delle ferrovie e dei trasporti?
R. Il mercato non è una panacea, bensì la risposta più efficiente ai bisogni collettivi, purché sia ben regolato, disponga di un controllo efficace, trovi le risorse necessarie a garantirne l’operabilità. Il trasporto pubblico locale necessita di contributi pubblici e di servizi. Possono essere messi a gara tra società strutturate e competitive, ma i risultati saranno migliori a parità di costo per i cittadini solo con un rigoroso presidio dell’efficienza dei servizi, altrimenti produrrà guasti e conflitti del lavoro, senza un reale salto di qualità. Non è un caso che la bozza di relazione presentata dal presidente della Commissione Trasporti della Camera Mario Valducci ponga la liberalizzazione del trasporto pubblico locale e le gare come un obiettivo da conseguire solo dopo aver dato al sistema una sua intrinseca sostenibilità. Si è favorevoli all’apertura dei mercati nel trasporto, facendo tesoro dell’esperienza di altri vettori, si pensi a quello aereo e marittimo, fatte ovviamente le dovute differenze.
D. Si parla sempre più frequentemente di cessione da parte della Finmeccanica delle attività civili, tra queste dell’industria ferroviaria. Pensa che questa eventualità possa costituire un’opportunità per l’Italia o potrebbe ridurre ancor più la nostra presenza nel campo delle imprese ad elevato contenuto tecnologico?
R. La politica industriale del nostro Paese dagli anni 80 in poi si è indirizzata verso una progressiva liquidazione dei grandi sistemi produttivi; basti pensare alla parabola della chimica, un settore nel quale eravamo uno dei protagonisti mondiali. Considero ciò molto negativo ed una delle principali cause del declino o della stagnazione che caratterizza il nostro Paese in Europa e nel mercato globale. Oggi le economie mature possono competere solo sul fronte delle alte tecnologie, e quella ferroviaria è una di queste. Sarebbe un imperdonabile errore disperdere il know how acquisito sia nel campo del segnalamento, sia in quello del materiale rotabile.
D. Quali prospettive ha la nostra industria del settore?
R. Il successo della RFI, Rete Ferroviaria Italiana, e quello tecnologico dell’alta velocità italiana stanno aprendo alle imprese nazionali molti nuovi mercati esteri, con la messa a punto di sistemi di sicurezza e di gestione ai vertici mondiali. Privarci di questi asset sarebbe deleterio perché ci consegnerebbe anche in questo settore all’egemonia internazionale. Vorrei ricordare che strade simili sono già state malauguratamente percorse in passato, ad esempio quando la Fiat di Cesare Romiti decise di vendere alla francese Alstom gli stabilimenti di Savigliano e con essi la tecnologia del Pendolino, che oggi è esportata in decine di Paesi con ottimi successi.
D. Quale sarebbe allora a suo parere la strada da seguire?
R. Spero che si possa costruire in Italia un polo tecnologico ferroviario, magari con il concorso di alcune imprese del settore in partnership con gruppi internazionali di primario livello. Le soluzioni si possono trovare, ciò che non va disperso è il lavoro, la ricerca, l’innovazione. Senza queste componenti il nostro Paese non avrà la capacità di rilanciarsi in modo duraturo e strutturale. Il primato dell’economia sulla finanza, dopo la catastrofe di questo tempo, non deve costituire uno slogan, ma una strada da percorrere con pazienza, sacrificio e tanta, tanta speranza.

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