siste o non esiste
questa tanto discussa
crisi economica mondiale
e, tantopiù, questa
presunta, disastrosa situazione
della finanza pubblica
italiana? Sono veri o no i
giudizi negativi espressi,
oltreché da inaffidabili
agenzie straniere di rating,
da uomini politici italiani e
stranieri sul debito pubblico
nazionale e sulle negative
conseguenze che esso
provocherebbe nell'economia
italiana e addirittura
europea? Sono giustificati i
drastici provvedimenti richiesti al
Governo italiano, anzi impostigli dai
cosiddetti nostri partner e alleati,
Francia e Germania?
Assillati dai problemi quotidiani,
angosciati dalle negative previsioni
gratuitamente propinate da una consistente
parte di giornali e televisioni
di proprietà dei grandi gruppi economici,
frastornati dalla grancassa
internazionale a servizio degli stessi
o di analoghi interessi, gli italiani
non sanno a chi dar retta. Tantopiù che non ricordano la simile, martellante
campagna orchestrata nel 1992
- i ventenni di oggi vagivano ancora
nelle culle -, dagli stessi gruppi che,
liquidata dai giudici di Milano la
vecchia classe politica, puntavano
soprattutto a due scopi: riformare le
pensioni e appropriarsi di aziende e
proprietà dello Stato.
Riformare le pensioni per alleggerire
le grandi aziende private degli
oneri sociali a loro carico, cioè dei
contributi; appropriarsi delle migliori
e più redditizie aziende e proprietà dello Stato a prezzi di liquidazione.
Nel primo obiettivo riuscirono in
parte con la riforma Dini e con le leggi
Treu e Biagi; nel secondo sono riusciti
in pieno facendo man bassa di
quanto gli italiani in decenni avevano
costruito con il lavoro, il risparmio,
i sacrifici, dopo ma anche prima
della guerra, durante il Fascismo.
Dal 1992 ad oggi la popolazione
ma anche molti imprenditori si sono
resi conto che, sgominata all'epoca
dalla magistratura milanese, la corruzione
dei politici non è scomparsa
affatto ma, grazie a nuove leggi studiate
ad hoc, è più fiorente e inattaccabile
di prima; che per favorire la libera
concorrenza a vantaggio dei
consumatori in alcuni settori è stato
eliminato il monopolio dello Stato
ma ne sono stati creati altri privati
senza alcun beneficio per i cittadini;
che anche in un'economia liberista
l'intervento dello Stato è necessario
per riparare i dissesti finanziari dei
privati; che si sono riprodotte, in sostanza,
le condizioni che indussero il
regime fascista a creare l'Iri, denominato
appunto Istituto per la Ricostruzione
Industriale, per salvare e
rilevare aziende private disastrate,
per evitare fallimenti, disoccupazione,
disagio sociale.
Ebbene, che succede a questo punto
nel mondo? Cambiano gli equilibri
politici tra le grandi potenze, il
progresso scientifico e tecnologico
accelera lo sviluppo di grandi Paesi
sottosviluppati, saltano gli equilibri
economici o meglio si muovono verso
nuovi equilibri; la transizione determina
inevitabilmente una crisi generale.
E subito riprendono vigore e
iniziative i grandi gruppi economici
che puntano ad approfittare del momento,
della debolezza dei Governi,
per rimpinguare i loro carnieri.
A tal fine, vere o non vere le difficoltà finanziarie del Governo italiano
comunque paralizzato nell'azione
di sostegno all'economia interna
dall'incauta adesione ai vari trattati
europei - istituzione dell'euro, Maastricht,
Patto di stabilità, Basilea ecc.
- i grandi gruppi economici hanno
tutto l'interesse a far apparire più grave la situazione. Con una differenza
rispetto al 1992: non sono più soltanto italiani, ma sono anche europei
e addirittura americani. Già in
questi venti anni di privatizzazioni
potenti gruppi finanziari
europei si sono estesi in
Italia acquistando società,
banche, industrie, immobili;
la crisi economica internazionale,
la debolezza e
gli errori dei nostri governanti
gli ha posto su un
piatto d'argento un altro
sostanzioso, ricchissimo
pranzo. Stavolta nel menù figurano l'Eni, l'Enel, le
Ferrovie dello Stato, le
aziende municipalizzate in
spregio alla volontà della
maggioranza degli italiani
espressasi contro, nel recente
referendum. Alcuni rami di tali
gruppi pubblici italiani sono stati già aperti ai privati; ma la voracità del
capitalismo è incontenibile, vuole il
via libera totale.
Non mi è parso di leggere dubbi,
sulla stampa italiana ed europea,
sulle vere motivazioni dell'irrispettoso
trattamento riservato al presidente
del Consiglio Silvio Berlusconi
nell'incontro di fine ottobre con i
suoi colleghi Nicolas Sarkozy e Angela
Merkel. L'appoggio che questi
due hanno dato ai grandi gruppi
economici europei intervenendo pesantemente
nei fatti interni italiani e
imponendo a Berlusconi proprio
quello che costoro chiedono - la
riforma delle pensioni e le privatizzazioni
- non spiega i loro veri fini. A
mio parere si tratta di ben altro.
A pensar male si fa peccato, secondo
il saggio Giulio Andreotti, ma si
indovina. Non sono così ambizioso
da voler indovinare ad ogni costo, ma
ritengo che anche Berlusconi potrebbe
non aver raccontato tutto sul contenuto
di quell'incontro. A proposito
del quale non si è parlato dell'«affaire » più grande, gigantesco apertosi
nel Mediterraneo con la guerra e la
sconfitta della Libia, avviata proprio
dalla Francia. C'è una ben altra tavola
imbandita in Europa cui partecipare
in proporzione agli appetiti e ai crediti
dei commensali, alle portate e ai
piatti figuranti nel menù.
L'Italia ne fa parte di diritto, gli altri
commensali sono ovviamente
Francia e Inghilterra che hanno catturato
la preda, Stati Uniti che
gliel'hanno permesso, Germania
perché non si può estrometterla tanto
più che appoggia la Francia. Possibile
che quest'ultima voglia riformare
le pensioni degli italiani sapendo
che è pressoché impossibile? I sui
scopi allora sono altri: privatizzazioni
per i grandi gruppi finanziari
francesi, parte del leone in Libia per
Parigi.