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RENATO LAURO:
TOR VERGATA,
LA FORMAZIONE
AL SERVIZIO DEL MONDO LAVORATIVO REALE

a cura di
ROMINA CIUFFA


Renato Lauro, rettore dell'Università
di Roma Tor Vergata

«La crisi economica
ha penalizzato l'attività
di tutti gli Atenei che
hanno risentito anche
delle difficoltà delle
famiglie nel pagare
le tasse universitarie
e delle imprese;
abbiamo avviato
una razionalizzazione
chiudendo corsi ridondanti,
accorpandone altri,
potenziando l'attività
di ricerca, aumentando
il numero di studenti
provenienti da tutto il mondo»

n tempo chi non voleva studiare andava a lavorare, oggi si assiste al fenomeno inverso: chi non lavora studia. L'Università resta l'unico appiglio di speranza, nell'attesa che cambino i Governi e, con essi, cambi la situazione in Italia. Eppure questa nel mondo del lavoro non fa che peggiorare. Sembrerebbe un classico paradosso, come quello di Zenone: come fa a vincere sempre la tartaruga nella gara di velocità su Achille? Com'è possibile che vi sia tanta domanda di lavoro e, nello stesso tempo, che tutti quei posti vacanti non vengano coperti? Perché la corsa al lavoro non finisce mai, ma il vincitore è sempre più lento del vinto? Con ignoranza, la vox populi si pronuncia in questo modo: «Dovrebbero andare a fare gli operai». Ma perché un laureato in Medicina dovrebbe occuparsi di carpenteria o infissi, quando vi sono soggetti specializzati per farlo e la propria preparazione riguarda tutt'altro? Perché un ingegnere dovrebbe stare alla cassa di un bar? Perché chi non ha mai studiato dovrebbe ricoprire incarichi rilevanti nella società?
Il malessere giovanile è giunto a un tale livello che la soluzione è estrema: non vale nemmeno più la pena attivarsi, è inutile inviare curriculum per posti di lavoro già occupati. E quando è dall'Università stessa che parte l'esempio di nepotismo, avallato dai media e dai fatti, cosa fare per cambiare la percezione di autoefficacia di proto-professionisti?
Una risposta coerente la dà il rettore dell'Università di Roma Tor Vergata Renato Lauro: non c'è dialogo fra mondo della formazione e mondo del lavoro, domanda e offerta non si incontrano. Meritano menzione in questo ambito le iniziative della Facoltà di Economia che ha appena ospitato la terza edizione di un evento dedicato al mondo del lavoro, il «Campus&Leaders&Talents» organizzato dall'Ufficio Laureati Desk Imprese e dall'Alet, Associazione che riunisce i laureati della Facoltà di Economia, in collaborazione con l'Alitur, Associazione Laureati Ingegneria Tor Vergata. Nel corso della manifestazione sono state presentate le opportunità formative e lavorative e i programmi di stage delle aziende, sono stati raccolti curricula, sono stati svolti colloqui di selezione per accertare le competenze di laureati e laureandi e verificarne la corrispondenza con le attività aziendali, con un occhio fisso sulle attività presenti e future includendovi le nuove professionalità.
Il rettore spiega in che modo l'Ateneo romano sta affrontando una crisi che ha colpito tutti - imprese, famiglie, professioni - anche innestando nel sistema nuovi spunti per rivalutare l'autoefficacia percepita dei giovani.
Domanda. Dal 2008 lei è a capo dell'Università di Tor Vergata. Come procede il suo mandato?
Risposta. L'inizio del mio rettorato è stato in coincidenza con l'inizio di una grave crisi economica che ha condizionato in maniera negativa l'attività del nostro ateneo, così come ha penalizzato l'attività di tutti gli atenei italiani che hanno risentito anche delle difficoltà delle famiglie nel far fronte al pagamento delle tasse universitarie e dei problemi di partner quali fondazioni e imprese con cui il mondo accademico collabora nella ricerca. Poiché le difficoltà aguzzano l'ingegno, è stata avviata una fase di razionalizzazione cui hanno partecipato tutte le componenti dell'Ateneo, chiudendo dei corsi di studio ridondanti, accorpandone altri che avevano corsi didattici formativi compatibili, potenziando l'attività di ricerca ed anche spingendo sull'internazionalizzazione: ora abbiamo 1.900 studenti provenienti da tutte le parti del mondo, come Brasile, Cina, America, Sudamerica, Europa dell'Est. Altrettanto importante per migliorare la «qualità» della spesa è stato un ampio ricorso alle tecnologie per la riduzione di quella energetica e del costo dei servizi.
D. In che modo i tagli operati dal Governo sui fondi destinati all'Università hanno colpito Tor Vergata?
R. Poiché i provvedimenti presi hanno consentito di contenere le minusvalenze dovute alla crisi economica, siamo stati tra gli Atenei meno penalizzati dalla riduzione del fondo di finanziamento ordinario delle Università in quanto «virtuosi». Tuttavia il taglio dei finanziamenti ordinari, che è di valore consistente e che è previsto anche per i prossimi anni accademici, ha influito negativamente sulla possibilità di reclutare i giovani, ha ridotto il numero delle borse di studio per dottorati di ricerca e altre forme di collaborazione remunerata per i giovani, ha rallentato il rinnovo tecnologico dell'Ateneo.
D. Quali sono gli esempi di reazione alla crisi che Tor Vergata ha messo e sta mettendo in atto?
R. Oltre alle economie realizzate attraverso la razionalizzazione dell'apparato gestionale dell'Università, stiamo investendo sul futuro curando il più importante progetto di ricerca nazionale nell'ambito della fisica. Inoltre è in via di perfezionamento un consorzio con l'Università di Harvard per la nascita di una fondazione Harvard-Tor Vergata. Procediamo senza demordere, anzi sempre più motivati, nello sviluppo di questa istituzione, nonostante il disinteresse da parte del Governo verso la vita delle Università.
D. In realtà Tor Vergata ha operato un aumento delle tasse universitarie, che grava sugli iscritti con dei provvedimenti diretti, invece, all'istituzione universitaria. È così?
R. Abbiamo incrementato le tasse universitarie del 12 per cento, ma non possiamo fare altrimenti. Va detto però che le nostre tasse sono le più basse rispetto a quelle dei tanti Atenei italiani, pertanto non abbiamo fatto che adeguarci al mercato.
D. Come si prospetta la situazione universitaria dopo la riforma?
R. La riforma presenta aspetti sicuramente positivi, ma ve n'è uno che li condiziona tutti negativamente; ossia, la totale assenza di finanziamenti adeguati alle Università italiane. Questo per un Paese che si vuole dire moderno e che si vuole proporre come interlocutore rispettato nella scena mondiale, certamente non è segno di maturità politica, intellettuale, culturale, sociale e civile. Della Legge Gelmini apprezzo la valutazione ex post dell'attività dei docenti, il riconoscimento del merito e le conseguenze che ne derivano sul piano economico e normativo.
D. Il passaggio da un sistema di «vecchio» ordinamento a un sistema di «nuovo» ordinamento, che ha frastagliato tutte le lauree in due momenti - il cosiddetto 3 più 2 - ha aiutato nell'inserimento dei giovani laureati nel mondo del lavoro, come la riforma che lo decise si prefiggeva?
R. Il 3 più 2 in alcuni casi può essere una scelta didattica utile, ma personalmente ne ho una visione parzialmente negativa: se in alcuni casi un corso triennale è adatto a creare figure professionali che mancavano e quindi è possibile esaurire quelli che sono gli obiettivi formativi degli iscritti a determinati corsi, in altri settori ciò avviene in maniera assolutamente parziale. La nostra Università, ad esempio, dopo un lungo braccio di ferro ha mantenuto il corso di Laurea a ciclo unico in Giurisprudenza, mentre in altri Atenei è stato scelto il 3 più 2 e credo di poter affermare che i risultati della scelta fatta sono nettamente positivi.
D. La Facoltà di Economia ha appena concluso il terzo «career day», giornata dedicata al collegamento tra mondo accademico e quello professionale: il Campus&Leaders&Talents ha ospitato anche quest'anno imprese e istituzioni accademiche per parlare di lavoro e formazione, e offrire un orientamento definitivo e un'opportunità di lavoro. Quali sono i risultati emersi nel corso di quest'ultima edizione?
R. È emerso come non sia sufficiente, oggi, una preparazione generica né un back ground superficiale, privo di una formazione funzionalmente collegata al mercato del lavoro. Tutte le Università, se vogliono svolgere il loro compito in maniera eccellente e qualitativamente adeguata, devono individuare le richieste del mondo del lavoro e preparare i giovani proprio a soddisfarle. Si legge su tutti i giornali che in Italia mancano specialisti in tanti campi, e nello stesso tempo molti giovani non trovano lavoro: questo avviene perché c'è uno scollamento tra il mondo del lavoro e la formazione dei giovani, prima nella scuola e successivamente nelle Università.
D. C'è, in tal proposito, collaborazione tra le Università?
R. La collaborazione tra Università è un modo per rendere più efficaci le attività didattiche e di ricerca in un periodo di scarsi finanziamenti.
D. Come si pone Tor Vergata rispetto alle altre in Europa?
R. Negli ultimi due anni, da quando sono rettore, la nostra Università è risalita di più di 100 posti nel ranking internazionale. Naturalmente i ranking hanno un valore relativo, ma pur sempre utile a qualificare le Università. In Italia noi siamo spesso tra i primi nella valutazione per la ricerca e per la didattica, ma siamo penalizzati soprattutto per la valutazione dei servizi quali i trasporti, la cui realizzazione non dipende da noi.
D. Si parlava della creazione di una metropolitana leggera per facilitare il collegamento con l'Università di Tor Vergata: cos'è stato fatto?
R. Ho seguito a lungo il progetto della metropolitana leggera, approvato dal Comune di Roma e rettificato più di un anno fa. Purtroppo vi sono problemi economici che ne ritardano la realizzazione.
D. Tor Vergata sarebbe nella posizione ideale per competere con le altre Università romane e soprattutto divenire il centro accademico dell'intera regione, trovandosi in una zona limitrofa alla città ma anche ai Castelli Romani e in un punto che è di snodo tra la periferia e il centro. È vero?
R. L'Università Tor Vergata è dotata di strutture di eccellenza in molti settori e di una estensione territoriale ideale per essere un vero Campus . Nostri punti di forza sono le residenze universitarie funzionali e moderne in grado di ospitare 1.500 studenti, strutture di ricerca quali l'Agenzia Spaziale Italiana e il Consiglio Nazionale delle Ricerche.
D. Si parla solitamente di fuga dei cervelli in riferimento ai cervelli già formati; si dice che l'Italia investe nella formazione e perde ciò che ha investito una volta che si trasferiscono all'estero per fare carriera; ma è un momento in cui tale fuga avviene anche a livello formativo: molti preferiscono anticipare il momento del trasferimento fuori dall'Italia. È vero?
R. Coloro che possono permettersi di iscriversi a un'Università non italiana sono solo una minoranza.
D. Ma anche solo la tendenza a farlo non costituisce un pericolo per un Paese come il nostro?
R. Più che un pericolo è certamente un fenomeno negativo perché si perdono risorse umane di qualità su cui lo Stato ha investito somme notevoli per la loro preparazione.
D. Avviene il contrario? Giungono in Italia i cervelli stranieri?
R. Qualcuno. Noi qui abbiamo, ad esempio, un progetto, sul solare organico, messo su da un professore giunto a Tor Vergata dall'Inghilterra.
D. Lei è un medico. Cosa può dire della situazione dei giovani medici, ma anche della vecchia guardia?
R. Presto i «vecchi» medici saranno andati in pensione, mentre tra i giovani i più fortunati sono quelli iscritti a Medicina da poco, perché quando si laureeranno si troveranno di fronte a una situazione di carenza e quindi di grande bisogno di medici, e saranno certamente una categoria d professionisti che avrà un grande mercato.
D. Cosa pensa della polemica sollevata dall'introduzione del numero chiuso nella Facoltà di Medicina?
R. Penso che il numero programmato sia stato necessario in un momento in cui c'erano più medici che spazzini, uno ogni 300 abitanti, forse anche di più. Oltreché scomodo, ciò era anche mortificante per la categoria, che combatteva contro grandi difficoltà lavorative e ciò andava a detrimento del proprio impegno professionale, mentre cercava la maniera per sbarcare il lunario. Questa situazione, oggettivamente difficile, è stata temperata dall'introduzione del numero programmato. Se non vi fosse il numero programmato, viste le molte richieste di iscrizioni alle Facoltà di Medicina, si creerebbe nuovamente una situazione di disagio per la categoria.

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