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CORSERA STORY


IL POPOLO EBETE DELLA TELEVISIONE ITALIANA

L'opinione del Corrierista

 

dar retta agli attuali dibattiti televisivi incentrati su temi politici e ai quali partecipano esponenti di vari partiti - un tempo erano più propriamente chiamati «tribune politiche», oggi «talk show» anche se il termine significa altro -, gli italiani o quanto meno i telespettatori italiani sarebbero un popolo di ebeti. Per vari motivi. Innanzitutto perché tale appare quella frazione di essi - venti o trenta, solitamente - invitata ad assistere di persona negli studi televisivi al loro svolgimento, alla loro registrazione e, più raramente, alla trasmissione «in diretta», come si dice in gergo tv.
Come giornalista, un paio di volte mi è capitato di partecipare a dibattiti politici televisivi di altri tempi, infinitamente più sereni, composti, discorsivi e convincenti per i telespettatori rispetto alle sconclusionate, inutili, sguaiate gazzarre deliberatamente orchestrate dai programmatori e dai partecipanti alle odierne «performances». In quelle e in altre occasioni ho compreso il motivo per il quale dal piccolo pubblico chiamato in sala ad assistervi silenzioso e apparentemente attento, scoppia periodicamente un applauso improvviso, concorde, convinto, unanime, da parte di tutti indistintamente i presenti. Solitamente a teatro o altrove l'applauso sgorga isolato per poi rapidamente ma progressivamente allargarsi. In televisione no.
Alzando lo sguardo sulla parete dinanzi agli spettatori plaudenti, ho visto illuminarsi di quando in quando la scritta «Applausi», ossia l'invito ad applaudire, ovviamente a comando, nel momento in cui un misterioso direttore di orchestrati gradimenti artificiali, e quindi falsi, preme un bottone. Nei grandi teatri specialmente lirici hanno avuto sempre ingresso gratuito, per assistere anche alle «premières» più esclusive, i clacchisti, pattuglie di operatori talvolta professionisti, appositamente pagati, talaltra musicofili appassionati disposti a spellarsi le mani pur di non perdere uno spettacolo.
Si sa che per moltissimi ragazzi assistere gratis dal vivo ad esibizioni musicali dei loro idoli canori ha costituito in passato e costituisce tuttora un desiderio inappagato: gli aspiranti sono una massa, le occasioni e i posti sono limitati. Eppure, tranne i primi decenni di esistenza della tv, da un certo momento in poi quest'ultima è stata costretta a pagarli per farli intervenire. E i loro applausi non hanno più rappresentato il ringraziamento per l'ammissione a un evento sospirato, ma il compenso per un ingaggio lavorativo, per un impiego del tempo, per un fastidio.
Abbiamo avuto l'esempio di trasmissioni e spettacoli che ufficialmente hanno vantato pluridecennali primati di longevità, record largamente pubblicizzati dalla tv e da altri mezzi di comunicazione. Come le noiose serie del «Maurizio Costanzo show» in scena nel Teatro Parioli di Roma. Autoreferenzialità e pubblicità a parte, la massa dei romani resta indifferente e non si sogna di partecipare a stucchevoli esibizioni né pagando, né gratuitamente, né essendo pagata. In molti eventi l'apparente affollamento di platee era in realtà dovuto ad affannosi rastrellamenti di spettatori dalla «bocca buona» in paesi della lontana provincia italiana, tradotti in pullman in città.
Oggi la televisione - intendendo con il termine qualunque emittente che per fare «audience» ricorra a tali puerili sistemi - continua a reclutare striminziti pubblici di cripto-clacchisti per ammantare di una fittizia partecipazione le gesta di rampanti, esagitati, bulleschi conduttori di «talk show» e dei loro invariabili ospiti politici, illusoriamente portati, questi, ad esibirsi ritenendo di accrescere i propri consensi. Per non parlare delle conduttrici delle quali, tranne in rari casi, sono troppo evidenti l'attenzione che pongono all'acconciatura, al maquillage, alle creme antirughe, ai tiraggi, ai monili, e lo sfoggio di calcolate mossette ammaliatrici, prevalenti rispetto allo studio e alla conoscenza dei contenuti da diffondere.
In un pubblico di telespettatori smaliziati infonde piuttosto tristezza l'osservazione degli atteggiamenti assunti durante tali trasmissioni dai «forzati del talk show», anche se familiari, amici, o sostenitori dei politici di scena. Quanto più il conduttore si agita per animare il dibattito, si sforza per accendere micce, gettare benzina sul fuoco, stimolare reazioni e contrasti balzando da una curva all'altra di quelle arene di cartapesta, tanto più si appanna lo sguardo dell'inattendibile campione di italiani che assistono.
I loro occhi rivelano l'esistenza di pensieri lontani, di menti distratte, di interessi diversi. Incidentalmente la telecamera inquadra talvolta lo scorcio finale di un mal represso sbadiglio. Nonostante quanto accade nello studio, spessissimo le pupille vagano nel vuoto o fissano un punto indeterminato. Soprattutto se del campione fanno parte dei giovani, non occorre molto per capire che la loro fantasia galoppa anche se il corpo è immobile, prigioniero di un meccanismo propagandistico per loro incomprensibile se non ostile.
A tutto ciò si accompagna spesso l'esagerato compiacimento di cameramen soliti «zoomare» frequentemente e smisuratamente sul volto di procaci ed inespressive conduttrici facendoli esondare dallo schermo, con il controproducente risultato di rivelare più la bravura e l'accanimento paraterapeutico delle truccatrici che la naturale e spontanea avvenenza delle «dive», e di dirottare l'attenzione dei telespettatori verso il misterioso mondo delle raccomandazioni e delle protezioni prevalentemente politiche.
Normalmente lo spettatore di tali talk show intellettualmente e culturalmente non è proprio un iperdotato; normalmente la sua attenzione è rivolta ai protagonisti principali dell'incontro o dello scontro; normalmente, pertanto, non fa molto caso alle retrovie di quelle arene, alle seconde linee, a platee, balconate, loggioni o «curve». Insomma dagli spalti televisivi, da quell'area visibilissima ma grigia, indistinta e anonima che fa da cornice e tappezzeria ai vociantissimi eroi della nostra attuale classe politica nazionale - lontanissima da quella degli Orazi e Curiazi, di Ettore Fieramosca, Pietro Micca, Francesco Baracca, Primo Carnera ecc. -, viene diffusa una falsa immagine del popolo italiano. Del quale però nessuna agenzia di sondaggi è disposta a raccogliere, gratis, le sue opinioni, a cominciare da quelle delle silenziosissime comparse di questi riti.


Victor Ciuffa

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