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BLACK OUT, IL GOVERNO
LASCIA ANCORA
NEL BUIO

 

di MASSIMILIANO DONA
segretario generale
dell’Unione Nazionale
Consumatori



Oggi dovrebbe essere tutto più facile rispetto al black out di 10 anni fa, ma così non è: la lungamente invocata azione di classe non ha dato i frutti sperati e resta l'amara sensazione che nulla cambi veramente in un Paese nel quale ingiustizie appariscenti, come l'inefficienza dello stesso sistema giustizia, restano tali, nonostante
i dibattiti e un confronto politico fatto a suon di programmi e promesse

osa stavate facendo la mattina del 28 settembre 2003? Potrebbe sembrare uno sforzo di memoria sovrumano ma, se aggiungo che si tratta del giorno del black out elettrico che lasciò al buio l'intero Paese, forse ricordare diventa più facile. Numerosissimi romani (e non solo) passeggiavano per le strade della Capitale per la «notte bianca»: alle 3 e 20 del mattino la città calò nell'oscurità mentre la gente vagava spaventata non riuscendo a comprendere cosa stesse succedendo.
Qualche anno dopo, nel dicembre del 2010, l'Italia trattenne di nuovo il fiato, questa volta schiacciata dalla morsa del maltempo. Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre, a causa di un'improvvisa nevicata, migliaia di automobilisti rimasero bloccati in autostrada, in particolare sulle tratte A11 (Firenze-Pisa) e sulla A1 (tra Firenze ed Arezzo). Neve e gelo provocarono disagi anche per i numerosi treni fermi per ore senza che nessuno offrisse l'adeguata assistenza ai passeggeri. Ad accomunare questi episodi (ma la storia è la stessa per il blocco dei conti postali o per il recente stop della piattaforma Blackberry che ha reso inutilizzabili per giorni i servizi di email e messaggistica degli utenti) è la difficoltà delle vittime di far valere il proprio diritto ad ottenere un adeguato risarcimento.
Sulla carta, i passeggeri di Trenitalia e gli utenti della Società Autostrade dovrebbero essere maggiormente tutelati rispetto alle vittime del black out elettrico, grazie all'introduzione nel nostro sistema (dal primo gennaio 2010) della cosiddetta «class action», che dovrebbe mettere a disposizione dei consumatori, almeno in linea teorica, un'opportunità in più per reagire nei confronti di controparti tradizionalmente più forti (banche, assicurazioni e grandi multinazionali dell'industria), riducendo i costi necessari al singolo per attivare un processo tradizionale.
Oggi dovrebbe essere tutto più facile rispetto al black out di quei dieci anni fa, ma così non è: la lungamente invocata azione di classe non ha dato i frutti sperati e resta l'amara sensazione che nulla cambi veramente in un Paese nel quale le ingiustizie, pur così appariscenti come l'inefficienza dello stesso sistema giustizia, restano tali nonostante i dibattiti e un confronto politico fatto a suon di programmi e di promesse.
Così, a farne le spese è la fiducia dei consumatori: le analisi annunciano l'indice di fiducia più basso degli ultimi tre anni e cresce un malessere generale alimentato dalla consapevolezza di trovarsi in un'Italia bloccata. È un sentimento che si avverte su molti piani: nelle infrastrutture (pensiamo alla rete elettrica, a quella ferroviaria, a quella autostradale), nella pubblica amministrazione (a quando la sua digitalizzazione), nelle scelte di politica finanziaria che affondano i consumi nella stagnazione preservando le rendite di posizione di pochi privilegiati. Il Paese si scopre ingessato nella burocrazia (quando saranno abolite, ad esempio, le Province come è stato più volte promesso?), e incapace di stare al passo con i tempi.
Non c'è bisogno di ricerche per avere la controprova, perché abbondano le conferme: il censimento lanciato proprio lo scorso ottobre è il nuovo emblema dello stato dei fatti; quanti hanno cercato di compilare i moduli online, infatti, si sono ritrovati il sito dell'Istat in panne con un' inutile perdita di tempo per i cittadini di buona volontà. È mai possibile che gli italiani siano più veloci di chi dovrebbe misurarli?
In un recente dibattito televisivo mi è stato chiesto «chi paga la crisi». La risposta è semplice: paga la gente comune, quindi ciascuno di noi. L'ultima manovra finanziaria è l'ennesima dimostrazione del fatto che nel nostro sistema le emergenze sono affrontate vessando le fasce più deboli. I cittadini avrebbero apprezzato tagli e razionalizzazione dei privilegi anche, ma non solo, per una questione di sensibilità: se i sacrifici sono condivisi, ciascuno di noi è maggiormente incline ad assumersi la propria parte di responsabilità; in caso contrario, il sistema non può reggere e la preoccupazione è che l'atteggiamento di rifiuto dei consumatori si trasferirà nella propensione al consumo, frenando gli acquisti sul versante quantitativo con il rischio anche del dilagare di comportamenti irrazionali.
Il nostro Paese non merita un Governo che gioca a salvare il salvabile, ma neppure un'opposizione bloccata dall'anti-berlusconismo. I veri black out sembra siano nelle stanze del potere e, a volte, ci sembra che ad essere «bloccata» sia soprattutto l'Italia. Come 10 anni fa, anche oggi siamo al buio e aspettiamo di capire, proprio come allora, di chi è la responsabilità.

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