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oliticamente e istituzionalmente il Paese è come paralizzato, ha goduto di quest’ultima vacanza con la sensazione di ballare sul Titanic, con il timore o meglio la paura di quello che potrà succedere dopo, cercando di non saperlo, di non pensarci. Un momento come ve ne sono stati, dall’Unità d’Italia, solo altri due, nel 1922 prima dell’avvento del Fascismo, e nel 1945 prima dell’avvento della Repubblica.
In entrambi i casi la classe politica al potere non offriva più alcuna certezza, alcun futuro agli italiani. Solo inerzia governativa, lotta accanita tra fazioni, contrasti interni ai singoli schieramenti, incapacità di governare, disconoscimento dei sacrifici del popolo che, in entrambi i casi, aveva subito i lutti e le distruzioni di una guerra mondiale.
Oggi fortunatamente quest’ultima condizione non c’è ma non si può dire se sia meglio o peggio, dal momento che la pace, il benessere, la cultura in generale hanno eliminato la possibilità di paragonare l’attuale alla passata situazione, facendo considerare scontati solo i diritti e ignorare i doveri. La legislazione di questi ultimi vent’anni ha rispecchiato questa involuzione della società, della politica, della giustizia, del concetto di diritto, di popolo e di Stato, favorendo la scomparsa di valori diffusi e predominanti e il proliferare di arrivismo, personalismi, egoismo.
Un’involuzione che ha determinato l’abolizione dei controlli sulle Pubbliche Amministrazioni, la riesumazione dopo secoli di forme di feudalesimo, la tendenza all’ingiudicabilità dei governanti, la loro pretesa di essere «legibus soluti» ovvero esonerati dal rispetto delle leggi, l’asserita difesa del popolo da inesistenti attacchi e minacce ai suoi diritti. Quello della cosiddetta difesa della privacy è l’esempio più clamoroso di un subdolo strumento legislativo adottato ad uso e consumo esclusivamente di una classe politica terrorizzata dall’idea di una seconda Mani Pulite, cioè di una stagione di inchieste giudiziarie atte a destabilizzare, come avvenuto nei primi anni 90, l’intero sistema istituzionale.
Quanto capitò alla classe politica a cavallo degli anni 80 e 90 infatti - la sua decimazione ad opera di una sola Procura della Repubblica, se non di un solo piemme, Antonio Di Pietro -, ha insegnato molto alla classe politica, ma in senso negativo: più che a ripristinare i valori di serietà, onestà, senso civico, rispetto del diritto, etica nella vita pubblica ma anche e soprattutto privata, l’ha indotta a mettere in atto una serie di stratagemmi diretti a sottrarla alle conseguenze della malapolitica e della corruzione nelle quali ormai era platealmente finita negli ultimi decenni del secolo; soprattutto dopo la venuta meno, con la caduta del Muro di Berlino, di ogni pericolo comunista.
Via via scaglionati in un decennio a partire dal 1990, i politici hanno escogitato provvedimenti diretti solo a trasferire le loro responsabilità all’apparato burocratico nazionale e locale, cercando di porre anche questo, ove possibile, al riparo dalla richiesta di rendiconti sul loro operato; hanno eliminato pressoché tutti i controlli interni alla Pubblica Amministrazione, hanno attribuito pieni poteri a sindaci e presidenti di Province e di Regioni, distorcendone nell’opinione pubblica il ruolo perfino con il cambiamento del nome: ad esempio chiamando «governatore» il presidente della Giunta Regionale.
Con il pretesto di importare modelli di istituzioni straniere - valide in altri Paesi, e spesso neppure in essi -, hanno introdotto lo spoil’s system usandolo per fini opposti a quelli enunciati: per la creazione, cioè, di dirigenti e funzionari assunti senza concorso, con il compito di emanare provvedimenti, anche i più illegittimi, al riparo di una resa dei conti grazie alla temporaneità dell’incarico e ai successivi, sicuri incarichi presso altre Amministrazioni pubbliche dello stesso colore politico.
Gli esempi di corruzione, di appropriazione di beni pubblici, di illegalità compiute da politici di ogni colore e di ogni livello, talmente frequenti, clamorosi e di grandi dimensioni, non hanno però portato la massa ad abituarvisi, ad accettarli come facenti parte del costume, delle abitudini, adirittura delle necessità. Sono stati tanto arrogantemente difesi, giustificati e addirittura negati, nonostante le manifeste colpevolezze, da convincere un numero crescente di elettori ad astenersi dal voto, tantopiù che la definitiva, per ora, versione della legge elettorale serve solo a confermare il potere e l’immunità dei disonesti, anziché a consentire al popolo la scelta di persone conosciute, oneste, competenti.
L’estate appena trascorsa è stata la più tragica di quelle degli ultimi decenni. Perfino nel 1943, dopo il 25 luglio, la caduta del Fascismo, la resa dell’8 settembre, la sconfitta, le distruzioni, l’arrivo delle Armate nemiche, la massa non era così sconsolata come quella dell’estate che sta morendo: c’era ancora la speranza. Anzi, a prescindere dalle aspettative e prospettive politiche contrapposte, c’era la certezza di un domani nuovo, diverso, più giusto, più sano per le famiglie e per il Paese.
Ma nelle città e nei luoghi di vacanza, anche in quelli in cui l’evasione dalla vita quotidiana è più spinta, distratta, inconsapevole e irresponsabile, c’era, in questo scorso mese di agosto, una speranza, almeno un filo di speranza, in un domani migliore di quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo? Non mi pare. Ma non c’era neppure la rassegnazione; c’era solo il vuoto, non soltanto politico e istituzionale ma soprattutto morale. Perché politica e istituzioni debbono basarsi sulla morale e sulla moralità, se queste non vi sono più, anche esse non vi sono più. Sono solo fantasmi, anime morte che si agitano inutilmente in un teatrino dalla platea vuota, o tuttalpiù, gremita anch’essa di fantasmi.

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