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ISABELLA RAUTI:
LE DONNE IN ITALIA,
ACROBATE DELLE PARI OPPORTUNITA'

a cura di
PAOLO RUSSO

ISABELLA RAUTI, consigliere
regionale del Lazio e consulente
del Ministero per le Pari Opportunità


«Tutte le donne vivono
come acrobate tentando
di conciliare lavoro e famiglia.
Come è per molte, nelle mie acrobazie mi soccorre la rete
informale fatta di amiche e parenti, che chiamo un tentativo
di conciliazione soggettiva,
essendo assente
una struttura oggettiva
di effettivo sostegno»

sabella Rauti non è solo la «first lady» del primo cittadino di Roma; in politica da giovanissima, è da sempre impegnata nel campo sociale e a sostegno della maternità e dell’infanzia: una donna che non brilla di luce riflessa e, come tutte, «costretta a vivere da acrobata, nel tentativo di conciliare vita lavorativa e familiare». Magari con il soccorso di amiche e parenti.
Già vicepresidente della Consulta femminile della Regione Lazio, poi Consigliera nazionale di Parità nel Ministero del Lavoro e fino al maggio scorso Capo del Dipartimento del Ministero per le Pari Opportunità, dove attualmente ricopre la carica di consulente del ministro Mara Carfagna, Isabella Rauti, eletta nel listino di Renata Polverini, presidente della Regione Lazio, fa parte ora dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale come Consigliere Segretario. Un punto di osservazione privilegiato del «laboratorio laziale», nel quale l’Udc è nella Giunta al fianco del Pdl per gestire una crisi aggravata, nel Lazio, dalla voragine dei conti di Asl e ospedali. Ma anche una stanza dalla quale la professoressa Rauti (laureata in Pedagogia e docente universitaria) sta già lavorando freneticamente a più di un progetto per alleviare il peso della crisi che grava sulla famiglie. Ad esempio studiando come introdurre il «quoziente familiare» per rendere il fisco amico dei nuclei più numerosi, o come assegnare voucher alle famiglie in difficoltà per acquistare beni e servizi sociali e sanitari. Non senza tagliare qualche privilegio ai politici che, nel Lazio, incassano l’assegno vitalizio a soli 50 anni. Tutte proposte e idee destinate a far discutere, e forse ad essere esportate anche fuori dei confini laziali.
Domanda. Come ha influito la condizione di donna, moglie e madre nella sua carriera politica?
Risposta. Come ha rilevato l’Eurispes, tutte le donne vivono come acrobate nel tentativo di conciliare vita lavorativa e familiare. La metafora delle acrobate è calzante anche per me. Ognuna di noi attua tentativi di «conciliazione» soggettiva dei propri impegni, seguendo il modello fai-da-te, rincorrendo una «conciliazione oggettiva», ossia un’offerta di servizi capace di sostenere realmente le famiglie: come è per molte donne, in tali acrobazie mi soccorre la rete informale costituita di amiche e di parenti. Senza vittimismi né eroismi, direi che sono perfettamente in linea con le difficoltà oggettive, che tutte noi abbiamo, di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari. Del resto i dati forniti dall’Istat parlano chiaro: il 70 per cento del lavoro di cura grava ancora sulle donne, e l’evidenza statistica dimostra che bisogna investire di più e meglio per aiutarle nei loro molteplici compiti.
D. In che modo è possibile conciliare concretamente vita familiare e lavorativa?
R. Potenziando i servizi che servono alla famiglia nel suo insieme: penso prima di tutto ai servizi rivolti alla prima infanzia, ma anche a quelli per la terza e quarta età e a tutti i modelli di nuova organizzazione del lavoro basati sulla flessibilità, che favoriscano la conciliazione e rispondano ai bisogni di una società complessa come la nostra. Quello di cui abbiamo bisogno è un modello di welfare sussidiario che metta al centro delle sue articolazioni i bisogni della famiglia.
D. Donne e politica: nonostante i proclami la loro presenza nei luoghi di decisione è ancora lontana dall’essere paritaria. Cosa manca per tingere più di rosa la nostra politica?
R. Partiamo da un dato quantitativo: in Italia le donne votano e possono essere elette dal 1946, quindi scontiamo un ritardo storico rispetto a buona parte dell’Europa. Nella prima legislatura le donne nel Parlamento erano solo il 6,3 per cento, oggi sono il 21,3 per cento alla Camera e il 18 per cento al Senato. Nel mezzo c’è stato il tentativo di introdurre le «quote rosa» e, soprattutto, la modifica dell’articolo 51 della Costituzione, che promuove la realizzazione di condizioni di pari opportunità tra uomini e donne. Nonostante questo l’obiettivo minimo del 33 per cento di rappresentanza femminile indicato dall’Onu è ancora lontano. Ma a quella soglia bisogna tendere, non per un rivendicazionismo femminista ma per garantire l’efficacia del sistema democratico.
D. Quando sono presenti, in che modo sono attive le donne?
R. Riguardo l’aspetto qualitativo bisogna dire che è aumentata la presenza femminile nelle istituzioni anche se il rapporto tra donne e politica resta controverso, a volte escluse ma a volte autoescluse. Le donne si impegnano con slancio nelle forme associative e nel settore sociale, raramente puntano a portare a casa qualcosa per se stesse. Sono spesso protagoniste della partecipazione politica di secondo livello, quella multidimensionale, non istituzionalizzata e meno visibile. È comunque cambiata l’antropologia delle donne in politica, che rappresentano oggi un plurale femminile piuttosto che una categoria dal pensiero unico. È anche caduto lo stereotipo che ascriveva ai mali della destra quello di aver impedito alle donne di occupare posizioni di vertice: i molti esempi nazionali e internazionali di leadership femminile mostrano proprio il contrario.
D. A volte si ha però l’impressione che l’apparenza abbia il sopravvento sulla sostanza: cosa ne pensa?
R. Sono una convinta sostenitrice dell’antivelinismo e di una partecipazione che sia espressione del reale sentire politico. La cultura dell’immagine vale per le sfilate di moda, la politica deve essere sostanza e concretezza. Nella Prima Repubblica le donne in Parlamento erano meno numerose ma davano l’impressione di contare di più. Questo perché il metodo delle cooptazioni di vertice, sia di partito che di corrente, pur nel rispetto delle numerose eccezioni, porta con sé il rischio di creare gregari e gregarie. Andando anche oltre la concezione delle «quote rosa», occorre qualificare la rappresentanza, sia maschile che femminile, definendo criteri rigidi di selezione delle candidature.
D. Da maggio ricopre un incarico delicato nella Regione Lazio: che giudizio dà dei primi 100 giorni dell’incarico da presidente di Renata Polverini?
R. È stato un inizio difficile ma entusiasmante, che ho potuto vivere in prima persona da «osservatorio privilegiato”, che è l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del quale faccio parte. I dodici decreti di riorganizzazione della sanità emanati dalla presidente Polverini sono stati un impegno importante, così come la mediazione con il Governo sulla manovra finanziaria per chiedere modalità e tempi idonei a rendere attuabile il piano di rientro dal deficit sanitario. Formare la Giunta ha richiesto tempo ma il suo allargamento all’Udc è un grande risultato politico: la Giunta rappresenta tutta la maggioranza che ha sostenuto la candidatura di Renata Polverini e che ha sottoscritto il suo programma di governo della Regione. Abbiamo avviato, inoltre, un’azione decisa di lotta agli sprechi e di rigore amministrativo che condivido pienamente; c’è ancora molto da fare ma siamo sulla buona strada.
D. La Regione Lazio è caratterizzata da conti in rosso sulla sanità: come proposto dal Governo, il suo risanamento deve necessariamente passare attraverso l’aumento di Irpef ed Irap?
R. La mediazione che la presidente della Regione sta svolgendo con il Governo punta proprio ad evitare che scattino aumenti automatici delle addizionali regionali. Il piano di rientro dal deficit sanitario, che abbiamo ereditato, punta da un lato ad eliminare gli sprechi, dall’altro ad ottimizzare le risorse, ad esempio riconvertendo molti posti letto ospedalieri in più efficaci ed economiche strutture di assistenza territoriali, accorpando le Asl e riducendo così il costo degli apparati ma ottenendo anche economie di scala nell’acquisto di beni e servizi sanitari. Per questi ultimi introdurremo una centrale unica di acquisto che garantirà risparmio e trasparenza nelle forniture. Alternative agli aumenti di imposta dunque esistono, il problema è che per raggiungere i risultati occorre tempo. Il rischio di aumento delle addizionali non è scongiurato ma, se anche non si trovassero alternative, c’è già l’impegno a ridurre le imposte quando il piano di rientro comincerà a dare i propri frutti.
D. Il piano di rientro punta soprattutto sul taglio dei posti letto. Molti ritengono che per le Regioni in rosso sia una strada obbligata. Ma siamo sicuri poi di riuscire a garantire i ricoveri effettivamente necessari?
R. Non c’è un taglio ma una riconversione dei posti letto. La sanità del futuro sarà sempre più territorio e meno ospedale, perché la popolazione anziana aumenta e le malattie da acute si cronicizzano. Il piano socio-sanitario riconverte i posti letto ospedalieri in strutture e servizi nel territorio, lasciando agli ospedali le emergenze e le cure per le malattie acute e più gravi. Stiamo ragionando anche su come introdurre dei buoni non solo per l’acquisto di prestazioni socio-sanitarie ma per tutti i beni e servizi necessari al sostegno delle famiglie in difficoltà. Le Commissioni e gli Assessorati competenti valuteranno come trasformare l’idea in realtà.
D. Intanto però anche la politica deve fare la propriparte. Lei ha presentato una proposta per tagliare i vitalizi dei consiglieri nel Lazio: cosa comporterà la modifica e quante possibilità crede che abbia di essere approvata?
R. Se, rispondendo alle sollecitazioni dell’Europa, alziamo l’età pensionabile delle donne a 65 anni, mi sembra giusto che anche i politici diano un segnale di rigore. Non si possono chiedere i sacrifici agli altri e mantenere i propri privilegi. Per questo ho presentato una proposta di legge che innalza da 55 a 60 anni l’età nella quale è possibile ottenere l’assegno vitalizio ed esclude la possibilità, oggi prevista, di percepire la rendita già a 50 anni con una decurtazione solo del 5 per cento. Riguardo alle possibilità di approvazione, sono ottimista E comunque è una proposta che andava fatta e vedremo chi si allineerà.
D. Il suo impegno per il settore sociale è noto. Non le crea qualche imbarazzo l’introduzione del ticket per i disabili curati in centri residenziali o semi residenziali?
R. Renata Polverini ha già annunciato che nel Lazio ci sarà un’esenzione in base al reddito e che presto verrà emanato un decreto; riguardo al problema specifico si sta dunque andando verso la direzione giusta. Quando ho ricoperto l’incarico di capo del Dipartimento del Ministero delle Pari Opportunità, ho avuto l’occasione di presiedere anche la Commissione disabili e l’esperienza mi ha insegnato che bisogna attuare politiche di sistema e non solo di settore per favorire tutte le forme di integrazione e inclusione sociale.
D. Dove si concentra il suo impegno in campo sociale?
R. Da sempre mi batto per la difesa della maternità e dell’infanzia. Ho recentemente visitato l’asilo nido del carcere romano di Rebibbia, nel quale bambini fino a tre anni vivono la totale violazione dei diritti dell’infanzia. Per questo stiamo lavorando con altri colleghi consiglieri e con l’assessore Pino Cangemi per introdurre nel Lazio gli istituti di custodia attenuata, specie di case-famiglia nelle quali le detenute possono vivere con i loro figli in un ambiente più umano, con personale di custodia in borghese e operatori specializzati in grado di guidare i bimbi nei servizi esterni, come gli asili nido. Sono impegnata, insieme all’Assessorato di riferimento, nello studio per l’introduzione del quoziente familiare nel Lazio, ossia di un meccanismo che alleggerisca il peso fiscale per i nuclei familiari più numerosi o che abbiano a carico anziani e disabili: un modo per rendere il fisco amico della famiglia. Il collega Giancarlo Miele ed io abbiamo presentato la proposta di legge per istituire l’Osservatorio regionale anti-discriminazioni per disabilità, genere, età, appartenenza etnica, orientamento religioso e sessuale. Ho sottoscritto la proposta di riforma e riqualificazione dei consultori familiari e sostenuto iniziative a favore dell’imprenditorialità femminile e per le neo-mamme in difficoltà, alle quali l’associazione «Salva mamma, Salva bebè» fornisce i primi beni essenziali. Sono queste azioni che segnano una continuità con la mia storia personale e politica di impegno a tutela delle fasce vulnerabili, delle donne, della maternità e dell’infanzia.
D. A proposito di fasce deboli, la crisi ha colpito soprattutto i ceti medi e bassi. Quale politica occorre per invertire il processo di impoverimento?
R. Questa crisi, che è globale e non di settore, segna un punto di rottura rispetto al modello di un liberismo estremista e non governato. L’esplosione delle contraddizioni deve trasformare la crisi in una opportunità per l’intero corpo sociale, che deve raccogliere la sfida per uscire rafforzato dalla recessione. In questo senso faccio mie le riflessioni di Giulio Tremonti nel suo libro «La paura e la speranza»; dalla paura per la crisi, insomma, alla speranza di un modello di welfare sussidiario, familistico e comunitario, che intreccia pubblico e privato, riconoscendo anche l’enorme energia che viene dal no-profit. Ma è soprattutto dalle donne che può scaturire la ripresa: oggi solo il 46,3 per cento di loro ha un’occupazione. Favorire una maggiore presenza femminile nel mercato del lavoro significa dare una spinta al prodotto interno, stimolare la competitività e attivare un circolo virtuoso occupazionale, perché ogni posto di lavoro femminile in più crea nuovi occupati nei servizi alla persona che oggi gravano per lo più proprio sulle donne. Il Times ha scritto che una «rivoluzione economica silenziosa» è in atto, e passa attraverso la valorizzazione del lavoro femminile. Come dire che è anche e soprattutto sulle donne che bisogna puntare per uscire dalla crisi.

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