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CLAUDIO CLAUDIANI:
TRASPORTI, ASSENTE
LA STRATEGIA COMPLESSIVA

a cura di
FRANCESCO REA

 

Claudio Claudiani,
Segretario generale della FIT,
Federazione Italiana Trasporti
aderente alla Cisl


«L’alta velocità
ha liberato rotaie e linee,
ma se non si costruisce
una interconnessione
che le renda convenienti
ed efficienti restano
sottoutilizzate.
Occorre una strategia
che renda efficiente la rete
esistente e la metta
a sistema»

ato a Terni nel 1948, Claudio Claudiani ha ricoperto negli anni molti incarichi sindacali: è Segretario generale dal 2000. «Quello che è mancato in tutti questi anni e che continua a mancare è una strategia complessiva che renda il sistema dei trasporti una delle infrastrutture portanti del Paese, piuttosto che un arcipelago di realtà diverse, spesso incapace di parlarsi», sostiene. Non nasconde di attendere segnali dal ministro dei Trasporti Altero Matteoli e dal Parlamento; e afferma di condividere in pieno la relazione della Commissione Trasporti della Camera sul sistema aeroportuale, sia nelle analisi che nelle possibili risposte, e si augura che non resti una mera testimonianza di quello che avrebbe potuto essere. Con Claudiani si può compiere un viaggio nel mondo dei trasporti: la prima tappa è costituita dal sistema ferroviario.
Domanda. Sarà anche vero che l’introduzione della «Freccia Rossa» si è rivelata vincente, ma non si è penalizzato troppo il resto del sistema ferroviario, in particolare quello dedicato al «pendolarismo»?
Risposta. Nel sistema ferroviario esistono mali profondi che riguardano anche il trasporto merci e più in generale la logistica. Però dobbiamo guardare alla realtà dei fatti. Dal 2006 in poi si è pensato particolarmente ai bilanci. L’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti ha ereditato una situazione disastrata. Ha dovuto compiere delle scelte e ha puntato a portare a termine il progetto dell’alta velocità, che non è di ieri ma è nato negli anni 90. Se non ci fosse stata l’alta velocità oggi staremmo raccontando un’altra storia. Se non ci fosse il sistema Eurostar, il bilancio delle Ferrovie sarebbe ancora disastroso e non ripianabile. Questo non vuol dire che non vi siano problemi da risolvere. C’è un deficit infrastrutturale. L’alta velocità è stata concepita in realtà come un sistema ad alta capacità, per il trasporto di persone ma anche e soprattutto di merci. L’alta velocità ha liberato rotaie e linee, ma se non si costruisce una rete di interconnessione che le rendano convenienti ed efficienti, restano sottoutilizzate. È necessaria una strategia che renda efficiente la rete esistente e la metta a sistema. In Germania si è investito notevolmente nei microinterventi realizzandone oltre 200, perché è inutile far arrivare le merci in un luogo se poi non si sa come inviarle alla loro destinazione finale. Di fatto si creano dei colli di bottiglia, per cui si finisce per mettere tutto, più convenientemente, su i camion.
D. Che cosa manca per mettere mano al problema?
R. Manca l’elaborazione di un modello, anche di un modellino. Che non può essere affidata alle Ferrovie dello Stato, ma deve provenire dal Parlamento e dal Governo. Bisogna dire che negli ultimi tempi si era vista un po’ di luce, tanto che sono stati stanziati due miliardi di euro per migliorare il sistema e per garantire ai lavoratori il rispetto del contratto. Ora la recente manovra finanziaria del Governo può mettere in crisi gli accordi già raggiunti, con il rischio di incidere negativamente sul livello dei servizi e dell’occupazione. I lavoratori hanno dato un notevole contributo al risanamento delle Ferrovie. Al netto dell’inflazione, i salari sono gli stessi di 10 anni fa e i ferrovieri sono scesi a 78 mila, ci sono circa 150 mila unità in meno degli anni 90 e molta tecnologia in più. Insomma i lavoratori e i sindacati che li rappresentano hanno dato un proprio, notevole contributo. Ma non possono essere gli unici; se vogliamo dare al sistema una capacità di sviluppo, bisogna compiere un salto di qualità. Nel settore merci occorrerebbe una legge di sostegno che favorisca soluzioni consortili, come accade in altri Paesi europei, ed eviti che l’Italia sia terreno di sfruttamento da parte di aziende dell’Est europeo che, a costi più bassi ma anche con molta minore sicurezza, assicurano il trasporto delle merci su gomma.
D. Come è stata accolta dal sindacato la recente conferma di Mauro Moretti al vertice delle FS?
R. Positivamente. La sua rinomina rappresenta un segno di continuità. Ora però vorremmo vedere il piano strategico e industriale per i prossimi anni, che noi pensiamo debba essere incentrato su due filoni: il miglioramento del servizio e in particolare, del servizio pendolari; e un piano merci e della logistica. Sono necessari molti più treni nuovi, non solo quelli che saranno acquistati per i Frecciarossa. Il rinnovo dei materiali rotabili per i pendolari e per i servizi delle aree metropolitane deve essere ulteriormente ampliato e portato a termine in tempi assai rapidi. Occorre, d’altro canto, procedere rapidamente alle nuove assunzioni, concordate da molto tempo con il sindacato ma non attuate. È una pesante inadempienza che grava ancor più sul lavoro. Abbiamo chiesto un’iniziativa al Governo, al ministro Matteoli. Ma ogni volta si presenta una nuova priorità, come il «caso Tirrenia», e il tema sul tappeto finisce in coda.
D. Veniamo al sistema marittimo e, in particolare, alla privatizzazione della Tirrenia. Qual’è, al momento, la relativa situazione?
R. Non siamo stati messi a parte di essa. Conosciamo quello che abbiamo letto sui giornali, o poco più. Sappiamo che c’è un’offerta della Mediterranea, la holding di cui la Regione Sicilia possiede il 30 per cento. Ma dov’è il piano industriale? Parliamo di una società che ha centinaia di milioni di euro in convenzioni e contratti in essere, e che impiega, tra occupazione diretta e indotta, più di 4 mila persone. L’offerta finanziaria consiste nel versamento di 10 milioni di euro e nell’assunzione di 500 milioni di debiti della Tirrenia. Ma questa possiede circa 30 navi per un valore complessivo stimato circa 12 mesi orsono intorno al miliardo di euro. Noi abbiamo chiesto ripetutamente un’assunzione di impegni da parte del Governo e degli acquirenti perché si metta mano alla clausola di solidarietà sociale. Siamo disponibili a discutere il piano industriale compiendo la nostra parte, come abbiamo fatto per la tratta Genova-Porto Torres rendendola una delle percorrenze più redditizie.
D. Ma qual è nel complesso il sistema del trasporto marittimo?
R. Il trasporto marittimo in generale, non solo quello delle merci, ha risentito notevolmente della crisi internazionale e gli ultimi dati dello scorso giugno sembrano confermarlo. In questo contesto il caso Tirrenia diventa ancora più delicato. Anche nel settore del trasporto marittimo è venuta a mancare quella intermodalità che era prevista, per esempio, nel disegno strategico relativo al porto di Gioia Tauro, un porto con le rotaie che, però, è restato un esempio inespresso. Gli interporti, l'intermodalità, la capacità di collegare l'Italia anche per flussi di traffico orizzontali e non solo verticali, rappresentano le priorità infrastrutturali del Paese. Ma le risposte non possono che venire dalla politica.
D. E veniamo al trasporto aereo. Come ha trovato la relazione della Commissione Trasporti sul sistema?
R. La condivido in tutti i suoi aspetti, nell’analisi e nelle possibili risposte. Quello del trasporto aereo è un sistema sregolato a cui è necessario ridare organicità. E nella relazione parlamentare questo è presente; il rischio è che non si dia seguito a quanto è indicato nella relazione.
D. Crede che il sistema aeroportuale debba i propri limiti anche a come si è svolta la vicenda dell’Alitalia?
R. Non credo. La situazione dell’Alitalia è dovuta a una serie di errori commessi, tra il 2001 e il 2007, da parte di tutti, sindacati compresi. Si è consumata sull’equivoco Linate-Malpensa l’incapacità di rinunciare a Linate, impedendo a Malpensa di rappresentare quell’opportunità che interessava alla KLM e che avrebbe fatto di quell’alleanza il più grande colosso europeo del trasporto aereo. Abbiamo fatto fuggire gli olandesi, la politica ha fatto svanire la KLM fornendo l’idea che si subordinasse lo sviluppo del Paese e della sua compagnia di bandiera agli interessi elettorali. Personalmente sono contento dello sforzo compiuto per rimettere in piedi la più grande compagnia italiana, ma certo la situazione presenta le proprie difficoltà. La concorrenza delle ferrovie, la crisi internazionale, l’incapacità di immettere nel mercato tariffe competitive, il fatto che siano le rotte internazionali e intercontinentali ad essere più redditizie, sono tutti elementi che fanno comprendere le difficoltà in cui si trova la compagnia. Nel prossimo autunno conosceremo come è andata l’estate del 2010 e, quindi, se l’Alitalia ha avuto un rilancio o meno. Sarà uno snodo importantissimo per prevedere il probabile andamento del 2011.
D. E come considera il sistema aeroportuale?
R. Come ho detto, condivido in pieno la relazione della Commissione Trasporti. Però devo anche registrare qualche passo avanti. Recentemente abbiamo firmato il contratto unico dei lavoratori e delle lavoratrici degli aeroporti italiani. È una prima assoluta vittoria del sindacato che da sempre desiderava una forma di contrattazione unica, e che si augura di poter ottenere lo stesso con le compagnie aeree, mettendo fine a quell’anarchia dei contratti che finisce per penalizzare le stesse società aeree e gli aeroporti, anche perché il sistema non può vivere sulla concorrenza del costo del lavoro. È un accordo quadro che prevede poi la definizione delle singole attività in tre settori specifici, aeroportuali, handler e catering, cioè i servizi aeroportuali, il servizio bagagli e quello di ristorazione. È un primo passo, ma molto significativo, che mette anche al riparo da sperequazioni o differenze tariffarie non comprensibili.
D. Assistiamo a una situazione complessa e frammentata nel settore del trasporto pubblico locale; quali sono le prospettive?
R. È ancora aperto il confronto per il rinnovo del contratto di lavoro e non riusciamo a consolidare la trattativa. I contratti dei lavoratori sono arretrati e le organizzazioni imprenditoriali, però, non hanno intenzione di accettare un contratto unico nazionale, che possa poi nel proprio interno prevedere settori di competenza diversificati, come per gli aeroporti. È una situazione tanto rilevante quanto complessa e difficile. Il trasporto pubblico locale è un settore fondamentale anche per il rapporto con le popolazioni, soprattutto nelle grandi città. Eppure è nello stesso tempo un settore completamente frammentato. Ogni Comune ha la propria azienda dei trasporti. Queste sono emanazioni della politica e non sempre hanno brillato nella gestione, perché non sempre hanno il cittadino come riferimento.
D. È un paradosso che un settore trasporti così fondamentale sia nello stesso tempo così frastagliato?
R. Purtroppo è così. In alcuni casi ci troviamo di fronte a costi di gestione elevati, ad autobus vecchi, a tante microaziende e a poche aziende interregionali. Inoltre non hanno dimensioni europee, neanche quelle di Roma e Milano. Se si mettesse invece in collegamento il sistema raggruppando varie aziende, queste da una parte assumerebbero dimensioni che le porrebbero in grado di competere a livello europeo e di andare quindi a fare affari anche al di fuori dell’Italia, dall’altra metterebbero in sinergie le spese, con centri unici per la loro gestione per cui, grazie ai grandi numeri, otterrebbero una riduzione dei prezzi, sull’esempio di quanto ha fatto la Consip per la Pubblica Amministrazione.
D. È possibile, e come, promuovere il servizio di trasporto pubblico e scoraggiare il ricorso ai mezzi di trasporto privati?
R. Non è un problema delle aziende del trasporto pubblico, riguarda piuttosto le Amministrazioni pubbliche locali. Ma manca una visione complessiva, capace di elaborare piani di viabilità che permettano di aumentare la velocità dei mezzi pubblici e di convincere i cittadini a lasciare a casa o nei parcheggi di scambio l’auto privata. Il problema interessa prevalentemente le grandi città, ma va affrontato secondo un concetto generale. È necessaria una riforma del trasporto pubblico locale che consenta una maggiore qualità dei servizi, nella consapevolezza del fatto che il cittadino è disposto a pagare un po’ di più per un servizio migliore, piuttosto che poco ed esserne scontento. Di fronte a una maggiore qualità si avranno un maggiore costo ma anche una maggiore soddisfazione dell’utente il quale, alla fine, è il vero proprietario dell’azienda, della quale egli elegge gli amministratori locali. Un trasporto pubblico efficiente è condizione essenziale per una società che si misura in modo crescente sui problemi ambientali, sull’inquinamento e sul risparmio energetico.

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