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EMANUELE SPAMPINATO: INNOVARE VUOL DIRE,
PER SICILIA E-SERVIZI,
TECNOLOGIA
E CORAGGIO
DI CAMBIARE

a cura di Romina Ciuffa

Emanuele Spampinato,
presidente di Sicilia e-Servizi


 


è un ponte invisibile in Sicilia, che è ancora più inafferrabile di quello che congiunge Messina con la Calabria. È quello che la società per azioni Sicilia e-Servizi si propone di realizzare, un allaccio virtuale dei residenti al resto del mondo e allo stesso territorio interno, ossia opportunità di sviluppo socio-economico create dall’informatica e dalle telecomunicazioni. L’innovazione diviene, per il presidente Emanuele Spampinato, un ponte da costruire affinché, percorrendolo, l’imprenditorialità sicula giunga nelle altre regioni italiane, in Europa, in America, nel vicino Mediterraneo, e crei a sua volta nuovo valore. Una laurea in Ingegneria informatica a Catania, un master in Gestione e Strategia di impresa, esperienze imprenditoriali in aziende del settore dell’ICT (Information & Communication Technology) e in Confindustria - ha creato in Sicilia il distretto produttivo Etna Valley, il Consorzio Etna Hi Tech e la sezione High Tech e ICT per la Confindustria catanese - è questo il più realistico e pragmatico uomo del ponte siciliano (virtuale) di questo millennio, che nella società dell’informazione vede l’unico, il più efficace canale di crescita di una regione terrorizzata dalla maturità imprenditoriale anche per una burocrazia frenante. Si ripromette, a 37 anni, di ringiovanire i modi che la politica usa per operare: non amministrare valore, ma crearlo; non misurare i chilometri di fibra ottica realizzati, ma aggiornare i software che su di essa si sviluppano; non isolarsi come farebbe per costituzione un’isola, ma far fronte comune con le altre società regionali che credono nel potere dell’innovazione. In quello non della sola fibra, bensì dell’ottica.

Domanda. Sicilia e-Servizi: la «e» sta per tecnologia. In che modo, nella pratica, riesce a congiungere la Sicilia con i servizi?
Risposta. Sicilia e-Servizi è una società mista - il 51 per cento di proprietà della Regione Sicilia e il 49 per cento di un socio privato - che ha il compito di realizzare e gestire tutte le soluzioni di Information & Communication Technology (ICT) della Regione Sicilia. Rientra tra quelle società regionali - secondo un modello abbastanza consolidato a livello nazionale - che fanno da regia all’adozione delle tecnologie nel territorio e costituiscono lo strumento dell’amministrazione pubblica per realizzare e fornire i servizi di informatica e telecomunicazione in collaborazione con le imprese private, in un confronto costante.

D. Chi rappresenta il socio privato?
R. Esso è stato selezionato con gara di evidenza pubblica secondo il modello del partenariato pubblico-privato definito a livello comunitario. Nella gara è stato definito il soggetto che diviene responsabile del servizio da rendere privatamente in qualità di socio operativo o industriale e nell’ambito di una partecipazione a tempo. Obbligate dal bando ad operare tramite una società di capitali congiunta che si configura come socio operativo e industriale, le due società di consulenza selezionate - Engineering ed Accenture - hanno creato una joint venture, la società consortile a responsabilità limitata Sicilia e-Servizi Venture.

D. In che modo il socio pubblico, ossia la Regione Sicilia, è legato al privato?
R. Sicilia e-Servizi realizza esclusivamente i progetti commissionati dalla Regione siciliana, che costituisce il socio operativo per un tempo di 5 anni dalla costituzione della società. Oltre a tale termine il socio privato non potrà essere riconfermato, ma si procederà a nuova gara oppure la Regione ne acquisirà le quote in modo da lavorare in autonomia. Il privato, entrato nel dicembre del 2005, resterà di diritto fino ai 5 anni successivi, ai quali sono aggiunti ulteriori 18 mesi così giungendo alla data del giugno 2012.

D. La separazione prevista tra la «venture» privata e la Regione comporterà effetti destabilizzanti?
R. La scossa nella struttura si farà sentire prima, al momento della preparazione della nuova gara, che coincide anche con la scadenza del Consiglio di amministrazione da me presieduto e con l’approvazione del bilancio 2011 nel maggio 2012. Il 2010, invece, sarà un anno interamente dedicato al nostro lavoro.

D. A cosa si dedica Sicilia e-Servizi?
R. Il nostro compito è la realizzazione della «società dell’informazione» attraverso lo svolgimento delle attività informatiche di competenza delle amministrazioni regionali, la gestione della piattaforma telematica integrata e l’uso di tutte le nuove componenti info-telematiche prodotte. Non si parla esclusivamente della fornitura di beni e servizi: la tecnologia, infatti, è solo il primo passo di un percorso di innovazione generale che va a modificare i processi di funzionamento dell’amministrazione e di interlocuzione tra essa e il cittadino o l’impresa. È necessario avere una visione a 360 gradi del presente e del futuro attraverso il coinvolgimento diretto dei privati che offrono tecnologia e, nel contempo, è indispensabile modificare i processi sottesi al suo utilizzo, cosa non facile. Lasciare questo compito all’amministrazione senza che essa sia dotata di una visione imprenditoriale risulta particolarmente arduo, ed è questo il motivo per cui si è sviluppato il modello di una società rivolta all’informazione e alla comunicazione tecnologica, mutuato da altre regioni d’Italia come nel caso della Ciesse Piemonte o della Lombardia Informatica.

D. Nel vostro codice etico vi definite una società «post-moderna»: perché?
R. L’accezione di «post-moderno» fa riferimento al rapporto esistente tra la parte pubblica e la parte privata; in qualche modo Sicilia e-Servizi è un esempio concreto di partenariato pubblico e privato istituzionalizzato, così come viene definito dall’Unione Europea, nel quale il contratto sociale tra Pubblica Amministrazione e mondo privato per la realizzazione, l’erogazione e la manutenzione di determinati servizi è l’espressione più innovativa del rapporto fra pubblico e privato.

D. A che punto è il progetto di innovazione della Regione Sicilia?
R. La nostra Sicilia e-Servizi nasce alla fine del 2005, quindi è una realtà decisamente giovane e, facendo la fotografia dello stato dell’innovazione e della tecnologia nella regione, sicuramente c’è molta strada da fare, per la quale il piano d’investimenti utilizzerà prevalentemente fondi comunitari e cercherà di impiegare le risorse destinate alla Regione, oltre a reperire ulteriori risorse.

D. Il discorso di una Sicilia tecnologica è legato principalmente a fattori politici o, più eclatantemente, infrastrutturali?
R. Dovremmo chiederci se la politica vede l’innovazione come obiettivo prioritario e strategico per lo sviluppo del territorio. Prima del maggio 2009, quando ho assunto il ruolo di presidente all’interno della società, seguivo questa vicenda con un’altra giacca, quella di un esperto imprenditore che, dalle file della Confindustria, si occupava di innovazione ICT: dall’esterno della macchina regionale già osservavo come la politica non avesse la sensibilità di intendere l’innovazione quale leva per lo sviluppo. Feci anche una ricerca per rispondere a una domanda: la Sicilia come esce, in tema di innovazione, dal confronto con le altre Regioni d’Europa? L’Eris,ossia l’European Regional Innovation Scoreboard, strumento adoperato dalla Commissione Europea per valutare il livello di innovazione di un sistema, colloca la Sicilia in posizioni di estrema retroguardia. Ciò ci impone di seguire, innanzitutto, un primo obiettivo quantitativo: oggi siamo 140esimi, dobbiamo puntare a scalare la classifica rendendo la nostra Regione un’opportunità per numero di laureati in materie scientifiche e tecnologiche e di imprese operanti nel settore, per tasso di «digital divide» e, più in generale, per tutti quei fattori che, insieme, costituiscono l’indice aggregato di innovazione. La politica deve farsi carico di una nuova strategia, vedere oltre, avere una finestra di riferimento simile a quella della nuova programmazione comunitaria, che dà un limite - il 2013 - per confrontare gli obiettivi con i risultati. Puntiamo ad avere l’indice di innovazione più alto e spingeremo ogni singola voce che lo costituisce.

D. In che modo intende operare?
R. Vengo scelto dalla politica e faccio parte della nuova classe dirigente che cerca di modificare il modo di pensare, attuando strategie. Il problema è il coro: una sola voce fa poco e il rinnovamento della classe dirigente consentirebbe una politica giovane, basata sugli obiettivi e sul confronto con i risultati. Non si tratta del problema di amministrare l’esistente, strategia utilizzata dalla classe dirigente meno giovane solo per mantenere il proprio posto, bensì di amministrare per costruire qualcosa di nuovo.

D. Non è un problema di fondi?
R. Le risorse ci sono, inutile accanirsi nel ripetere il contrario: il problema è la classe dirigente e quanto essa sia disposta a lavorare in questo modo sulla creazione di un nuovo modo di amministrare la cosa pubblica creando valore. L’amministrazione dell’esistente mantiene il valore, ma ciò richiede che siano sopportati costi rilevanti; creare nuovo valore è sicuramente più rischioso e non sempre gli obiettivi perseguiti sono raggiunti. Ritengo che la cultura di capire l’errore sia fonte di nuove opportunità e di crescita, non lo è invece il modo classico di vedere nell’errore il fallimento di un’azione politica. Se l’obiettivo non viene raggiunto, possiamo leggere i nostri sforzi in un’altra chiave: l’aver appreso un metodo non è sinonimo di fallimento, perché dagli errori compiuti possiamo ripartire. Il problema della politica, non solo siciliana ma nazionale, è quello di intenderli come una sconfitta irreparabile dalla quale non si può uscire; nella cultura anglosassone, invece, l’errore è opportunità di confronto e di rilancio.

D. Quali sono gli altri freni, oltre a quello politico, che a suo parere impediscono la crescita?
R. Le difficoltà che vive il Paese sono amplificate in Sicilia, una terra che ha il reddito pro capite più basso del Paese e gli indici di invivibilità più alti, ha un sistema politico e un tessuto sociale basati sulla clientela che non premiano l’impresa né il merito, ma solo l’amicizia. Questo è un grande freno rispetto agli obiettivi strutturati e strategici che richiedono le risorse, le competenze, i cervelli migliori.

D. In tema di ICT, in quale modo è possibile valutare l’innovatività di una struttura?
R. Per anni in Italia, soprattutto in Sicilia, si è guardato all’ICT tenendo in considerazione il divario digitale rappresentato dagli accessi alle nuove tecnologie, spostando quindi il problema. La misurazione del grado di innovatività di un territorio va effettuata su qualcosa di immateriale, legato alla conoscenza, all’innovazione dei processi e agli strumenti che li supportano, alle soluzioni organizzative che diventano software. Cambiamo il processo perché comunichiamo in maniera diversa, non utilizziamo carta ma software e l’interlocuzione verbale diviene una soluzione informatica. Invece di misurare le soluzioni informatiche e il loro grado di penetrazione, si è pensato solo a misurare quanto è materiale, i collegamenti a internet e la loro velocità, la quantità di fibra ottica collocata in un dato territorio, mantenendosi dunque su un livello esclusivamente quantitativo e non qualitativo. Il tasso di accessibilità a internet supera abbondantemente il 90 per cento, nel 2004 si assestava intorno al 65 per cento, ma la connessione oggi non è un problema né è idonea a dare un indice dell’innovazione di un luogo: ciò che va verificato è il modo in cui le reti vengono utilizzate, la qualità di questo uso.

D. Un Codice dell’amministrazione digitale è stato emanato, con il decreto legislativo n. 82 del 2005, allo scopo di regolare l’emissione e la fruibilità dell’informazione digitale, utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione all’interno dell’Amministrazione; di recente il ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta ne ha avviato positivamente l’esame della riforma: dal 2006, anno della sua entrata in vigore, cosa è cambiato?
R. Considero il Codice un libro dei sogni che, pur contenendo buoni propositi, non ha mai acquisito quella sistematicità, strutturazione e pervasività nella Pubblica Amministrazione e nei rapporti con i privati che da esso ci si doveva aspettare. Il Cad deve disegnare un nuovo modello di funzionamento della P.A. in cui i processi di comunicazione vengano ridisegnati sulla base di soluzioni informatiche: posta elettronica certificata, firma digitale, archiviazione sostitutiva, ossia le tre grandi rivoluzioni che, una volta attuate, sostituirebbero la carta e spingerebbero a modificare i processi di informazione e interlocuzione. Oggi tali strumenti sono difficilmente utilizzati, pur importando un risparmio notevole. Uno dei grandi poteri che hanno i burocrati, e che intendono mantenere, è il controllo del protocollo, la possibilità di cambiare la pratica e sostituirla a proprio comodo, che verrebbe meno una volta che tutto sia stato informatizzato e automatizzato. Ciò costituisce sotto tutti gli aspetti una perdita di potere.

D. Quale è il senso più pregnante della definizione di una cosiddetta «società dell’informazione»?
R. Le società sono sempre state basate sull’informazione; il punto è come quest’ultima circola. In quella che è per noi la società dell’informazione lo spettro è più ampio perché si parla di un’informazione che viaggia in modo nuovo e automatico; l’informatica significa informazione automatica che, tramite le macchine, comincia a girare. All’interno del Fondi per le Aree Sottosviluppate (Fas) che il Cipe dovrebbe riconoscere alle Regioni ad Obiettivo 1, l’unico piano regionale approvato è stato quello per la Sicilia ad agosto del 2009, con un capitolo di circa 90 milioni di euro per la realizzazione del Cad della Regione siciliana. Tale finanziamento, per quanto ci riguarda, è più rivolto alla modifica dei processi che non alle componenti, essendoci dotati della posta elettronica certificata ed avendo già distribuito i kit per la firma digitale. Le nostre difficoltà riguardano la resistenza al cambiamento. Noi oggi abbiamo il protocollo informatico installato ma la carta ha ancora valenza legale, cosicché il primo è solo la fotografia informatica di un protocollo cartaceo: è questo l’ultimo miglio da percorrere con i fondi Fas.

D. Operate solo in Sicilia, o anche in Italia e all’estero?
R. Dal punto di vista del rapporto transattivo economico possiamo lavorare solo con l’ente che ci partecipa, quindi con la Regione Sicilia, accettando commesse solo da essa nel territorio nazionale; a livello internazionale siamo una società per azioni a tutti gli effetti, e questo è uno dei fronti in cui stiamo cercando di muoverci, considerato che le nostre imprese hanno grandissime difficoltà ad operare all’estero. Facendo fronte comune con le altre società regionali per l’innovazione intendiamo andare all’estero, incontrare opportunità di lavoro, ricevere commesse come società regionali e coinvolgere il nostro territorio, così assumendo il ruolo di veicolo per le imprese nazionali che hanno difficoltà fuori dal territorio italiano fino in America. La Sicilia e-Servizi farà da traino per le imprese siciliane, mentre ciascuna agenzia regionale penserà alle proprie imprese di riferimento. Stiamo cercando opportunità con gli Stati Uniti, con l’America Latina e con i Caraibi per realizzare servizi e progetti di ICT a favore delle nostre imprese.

D. La vostra vicinanza ai Paesi del Mediterraneo non vi sprona a investire?
R. Guardiamo con particolare attenzione ai Paesi del Nord Africa, anche in linea con l’indirizzo del presidente della Giunta regionale Raffaele Lombardo, sia da un punto di vista di infrastrutture materiali che, nel nostro caso, immateriali, per creare un ponte tra la Sicilia e la Libia, la Tunisia, Malta, e per portare le nostre imprese fuori, far crescere il prodotto interno del territorio e dare valore alla Sicilia.

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