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SISTEMA GIUDIZIARIO.
GLI EFFETTI POSITIVI
DEL DECRETO
SUI REATI DI MAFIA

 


di COSIMO MARIA FERRI
Componente del Consiglio
Superiore della Magistratura


Scongiurato l’annullamento
delle condanne già emanate
contro capi e promotori
di associazioni mafiose
e camorristiche
e la loro scarcerazione


Il decreto legge n. 10 del 2010, recentemente emanato dal Governo, si è prefisso di «salvare» alcune centinaia di processi in materia di criminalità mafiosa che fino a ieri rischiavano l’annullamento. La questione è venuta all’attenzione del Governo in seguito a una pronunzia della Cassazione la quale, risolvendo un conflitto di competenza fra il Tribunale e la Corte di Assise di Catania, ha affermato la competenza di quest’ultima in materia di reati di associazione a delinquere armata di tipo mafioso, per i quali la legge n. 251 del 5 dicembre 2005, ex legge Cirielli, ha elevato a 24 anni di reclusione la pena massima prevista per capi, promotori e organizzatori dell’associazione.
Il più elevato limite di pena fa scattare l’art. 5 del Codice di procedura penale che prevede appunto la competenza della Corte di Assise. Nonostante tale previsione, molti processi in corso sono stati incardinati davanti al Tribunale come accadeva prima del 2005, ed era dunque tangibile il rischio che su di essi si abbattesse la scure dell’annullamento per incompetenza dell’organo giudicante. Il decreto legge ha stabilito invece che i processi in corso e quelli futuri relativi a delitti di associazione a delinquere di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis del Codice penale, comunque aggravati - e dunque anche laddove sia contestata l’aggravante dell’associazione armata - siano attribuiti alla competenza per materia del Tribunale anziché alla Corte di Assise.
Sono evidenti gli effetti positivi di tale misura che da un lato scongiura l’annullamento di tutte le sentenze di condanna già emesse, ma non ancora passate in giudicato, nei confronti di capi e promotori di associazioni mafiose e camorristiche; dall’altro stabilisce che tutti i processi attualmente pendenti in primo grado per la medesima tipologia di imputati di quei reati debbano ricominciare daccapo innanzi alla Corte di Assise, con il concreto rischio di scarcerazione di boss mafiosi per decorrenza dei termini; si consideri che si tratta di persone quasi sempre detenute in regime di 41 bis del Codice penale proprio in ragione della loro elevatissima pericolosità sociale.
Nel decreto legge, benché sia previsto anche l’ampliamento della competenza per materia delle Corti di Assise a nuove figure di reato ritenute di particolare gravità, ne rimangono però esclusi quelli di stampo mafioso in quanto la competenza per materia del Tribunale viene chiaramente determinata non solo per il delitto di cui all’art. 416 bis del Codice penale (comunque aggravato), ma anche per tutti i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose, se non già rientranti nella competenza della Corte d’Assise per effetto delle altre disposizioni dell’art.  5 del Codice di procedura penale, a parziale modifica del quale è intervenuto il decreto legge.
Ciò segna un cambio di indirizzo del Governo rispetto al disegno di legge di riforma del processo penale tuttora all’esame delle Camere, il quale ampliava anch’esso la competenza della Corte di Assise includendovi, però, il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso. Su questo punto, nel parere al disegno di legge reso alcuni mesi or sono, il Consiglio Superiore della Magistratura aveva espresso valutazioni critiche soprattutto perché l’attribuzione dei processi per reati di mafia a collegi giudicanti integrati da giudici popolari avrebbe esposto questi ultimi a possibili pressioni o intimidazioni, che ne avrebbero potuto condizionare l’operato. Tale rischio, secondo quanto prevede il testo del nuovo decreto legge, deve ritenersi scongiurato, essendo esplicitamente stabilita la definitiva permanenza della competenza dei Tribunali per reati di mafia.
D’altra parte, nella stesura dell’ultima ora del decreto si è anche posto rimedio a un problema interpretativo che poteva sorgere in ragione del testo originariamente formulato quanto alla competenza del Tribunale per il delitto di cui all’art. 74 del decreto del presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (associazioni finalizzate al traffico illecito di sostanze stupefacenti).
L’art. 5 del Codice di procedura penale, sul quale è intervenuto il decreto legge, alla lettera a) del primo comma escludeva, infatti, la competenza della Corte di Assise per i reati di cui al suddetto decreto presidenziale, mentre la lettera e) del medesimo comma, introdotta proprio dal decreto legge, nel prevedere la competenza della Corte di Assise per i delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis diversi da quelli di stampo mafioso, nella sua originaria formulazione rischiava di farvi rientrare anche l’art. 74 dello stesso decreto presidenziale che appartiene, infatti, proprio a questi ultimi. Ciò avrebbe creato due diversi problemi.
Il primo, legato al fatto che, poiché spesso si procede contestualmente per il delitto di cui all’art. 416 bis del Codice penale e per quello di cui all’art. 74 del decreto presidenziale in applicazione delle norme sulla connessione, in molti casi si sarebbe corso il rischio che l’associazione di stampo mafioso ritornasse alla competenza della Corte di Assise. Il secondo avrebbe, invece, determinato il concreto rischio di un’inutile duplicazione di processi.
Se si considera infatti che quasi sempre, oltre al delitto di cui all’art. 74 del decreto presidenziale, sono contestati anche i delitti di cui all’art. 73 di quest’ultimo, nei non pochi casi in cui il giudice avesse ritenuto che tra i reati non ci fosse connessione - e la regola interpretativa generale è che non sussiste connessione tra delitto associativo e delitto scopo -, si sarebbe determinato lo smembramento del processo per cui, nei confronti degli stessi imputati la Corte di Assise, avrebbe proceduto per il delitto di cui all’art. 74 del decreto n. 309 mentre  il Tribunale avrebbe giudicato quelli di cui all’art. 73 del decreto presidenziale.
Nella stesura definitiva del decreto legge, invece, si è ovviato anche a tale problema e il combinato disposto delle lettere a) ed e) dell’art. 5 del Codice di procedura penale, così come riformulato, è ormai tale da non lasciare dubbi sul fatto che il reato di cui all’art. 74 (associazione finalizzate al traffico illecito di sostanze stupefacenti) non rientra nella competenza della Corte di Assise bensì resta assegnato a quella del Tribunale.

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